Costituzione italiana
Perché i socialisti ti chiedono di votare NO, di Bobo Craxi

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I socialisti sono favorevoli ad una modifica della Costituzione finalizzata a modernizzare il Paese e le istituzioni e a garantire quel il bisogno di partecipazione popolare cresciuto in Italia e in Europa ormai da molti decenni.
I socialisti hanno posto l’esigenza di una profonda modifica della Costituzione più di trenta anni fa, ma dopo l’entrata in vigore di leggi elettorali di tipo maggioritario hanno sostenuto che l’unico organo abilitato alla modifica della Costituzione sia una Assemblea Costituente eletta dal popolo con metodo proporzionale, indipendente dalla maggioranza parlamentari e di Governo.
I socialisti quindi non sono contrari a riformare la Costituzione, ed anzi non la ritengono per nulla la “migliore del mondo”, ma sono contro i contenuti di questa riforma, perché non è vero che una riforma qualsiasi è meglio di niente.
1. UNA LEGGE CHE PRODURRA’ CONFLITTI
No ad una legge incomprensibile, un ibrido, che invece di semplificare e velocizzare il sistema lo complicherà, aumentando il contenzioso e i conflitti tra istituzioni diverse e tra Camera e Senato.
2. NON SUPERA IL BIPOLARISMO PARITARIO
No ad una legge che fa credere di superare il bicameralismo paritario e non lo fa. Il Senato, ancorché stravolto e ridicolizzato, rimane e ancora numerose saranno le sue competenze, comprese le funzioni legislative.
3. AVREMO UN SENATO CHE NON HA SENSO
No ad un Senato di nominati, che non ha senso, composto da 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 senatori nomati dal Presidente della Repubblica, non rappresentativo in modo proporzionale né della popolazione, né delle istituzioni. Neppure confrontabile con quel Senato delle Regioni, sul modello di quello tedesco, tanto discusso nei decenni passati.
4. IL SENATO POTEVA ESSERE ABOLITO
No ad una legge che di fronte a tanta confusione non ha avuto il coraggio di abolire il Senato del tutto.
5. PIU’ POTERI AL PREMIER E MENO AL PARLAMENTO
No ad una legge che rafforza il potere del solo Presidente del Consiglio a scapito di quelli del Parlamento, dei rappresentanti del popolo e della democrazia.
6. PIU’ POTERI AL PREMIER E MENO AGLI ENTI LOCALI
No ad una legge che rafforza il potere del solo Presidente del Consiglio a scapito dei poteri delle istituzioni locali e che affossa definitivamente qualsiasi processo di rafforzamento delle autonomie locali e della struttura federale dello Stato.
7. NON RIDUCE I COSTI DELLA POLITICA
No ad una legge che fa credere che si possano ridurre i costi della politica riducendo un po’ i costi del Senato. Ma se questo fosse vero perché non abolirlo del tutto o non dimezzare sia il numero dei senatori che quello dei deputati.
8. RIDUCE LA PARTACIPAZIONE POPOLARE
No ad una legge che riduce in processo di partecipazione polare nella formazione delle leggi prevedendo che le firme per la presentazione di proposte di legge di iniziativa popolare passino da 50.000 a 150.000. Per i referendum se si vuole che conti la maggioranza dei votanti (alle ultime elezioni) e non quella degli aventi diritto al voto occorre raccogliere 800.000 firme e non 500.000.
I Comitati Socialisti del No sono aperti a tutti coloro che si riconoscono nelle nostre critiche e che propongono l’elezione diretta di un’Assemblea Costituente per la riforma della Costituzione.
Bobo Craxi
Questa voce è stata pubblicata in Assemblea Costituente, Costituzione italiana, democrazia, Parlamento, Riforma Renzi Boschi, Senza categoria, Socialismo, Riforme, Referendum, Governo Renzi, PSI, Comitato socialista per il NO.
Le vere intenzioni del governo nella riforma costituzionale, di Vincenzo Russo

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Udite, udite le vere intenzioni del governo per la voce di Maria Elena Boschi, ministro dei rapporti con il Parlamento, che a torto o a ragione viene considerata vice-premier. A proposito della riforma costituzionale, ieri sera ha detto letteralmente: ” vogliamo ridurre i poteri delle regioni per semplificare la vita dei cittadini”. E’ questa la concezione della democrazia della Boschi e probabilmente anche del premier. Le regioni, il decentramento il federalismo non implementano la democrazia ma complicano la vita dei cittadini. E a complicarla sono proprio le regioni non il governo centrale che costringe un Parlamento di nominati e, per giunta, eletti con una legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale ad approvare leggi kilometriche incomprensibili ai più. Ma la Boschi non si rende conto che se si ridicono i poteri delle regioni e, conseguentemente, quelli dei comuni che insistono sul territorio delle stesse, alla fine si riducono i poteri dei cittadini. Non si rende conto che se si eliminano – si fa per dire – le province e si trasformano in aree metropolitane dov’è i dirigenti sono sempre i sindaci o politici non scelti direttamente dai cittadini, si annulla o si riduce la rappresentanza dei cittadini. Ma la Boschi e il governo dicono che, in questo modo, si riduce il costo della politica, alias, si riducono le poltrone. Argomento di un certo effetto ma sempre ingannevole. Perché i costi della politica non si riducono tagliando solo le poltrone ma verificando l’efficienza e l’efficacia delle funzioni svolte. Se fosse vera la premessa del ragionamento del governo, bisognerebbe abolire la Camera dei deputati e ogni organismo collegiale e affidare tutte le decisioni ad un solo uomo, all’Uomo della Provvidenza. Questa sì che sarebbe vera semplificazione. Ma il massimo di semplificazione distrugge la democrazia in una società moderna e complessa. Forse bisogna spiegare alla Boschi che riducendo le sedi di partecipazione dei cittadini alle scelte pubbliche, si riduce la democrazia, si conculcano i diritti dei cittadini, si scivola inesorabilmente verso la dittatura. Nel merito la costituzione del 1948 prevede un c.d. Stato regionale, qualcosa di molto diverso da quello centralizzato, come era stato il regime fascista, qualcosa di molto vicino allo stato federale. Per oltre 20 anni il parlamento italiano ha approvato leggi rubricate come provvedimenti mirati ad introdurre e attuare schemi federalisti. Adesso scopriamo che non solo non vogliamo più il federalismo ma non vogliamo neanche lo Stato regionale. La riprova è che nella riforma costituzionale che stiamo valutando il senato che rimane non è un senato federale, non è un senato delle regioni ma delle autonomie perché ci sono anche i sindaci e i Comuni hanno solo autonomia amministrativa. Renzi, che è stato sindaco per due mandati, abrogando le imposte di tipo patrimoniale sulla prima casa ha ridotto l’autonomia tributaria dei Comuni ma ora fa partecipare alcuni sindaci al processo legislativo e può quindi vantarsi di avere valorizzato il loro ruolo.
Vincenzo Russo
articolo tratto dal sito http://enzorusso2020.blog.tiscali.it/2016/09/05/le-vere-intenzioni-del-governo-nella-riforma-costituzionale/?doing_wp_cron
Questa voce è stata pubblicata in consiglieri regionali, Costituzione italiana, democrazia, Parlamento, Riforma Renzi Boschi, secondo mandato a Renzi, Senato, Senza categoria, Voto.
Un NO per restituire la Costituzione ai cittadini, di Nicolino Corrado

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Con grande risonanza su giornali e televisioni, Matteo Renzi ha lanciato la campagna elettorale per il referendum del prossimo autunno sulle modifiche alla Costituzione approvate dal Parlamento su iniziativa del governo.
A dire il vero, il dibattito si è animato solo all’interno di quel segmento della società composto da addetti ai lavori e da cittadini attenti alla vita politica. La grande massa dei cittadini, pressata da problemi più impellenti, come far quadrare il bilancio di fine mese o trovare un lavoro per i figli, non riesce a cogliere l’importanza della consultazione referendaria; per il popolo il referendum è qualcosa di astruso, un argomento denso di tecnicismi giuridici sul quale esprimono la loro opinione i vari esponenti politici nelle abituali comparsate nei telegiornali e nei talk-show.
Gli ambienti governativi hanno imposto al Parlamento, a colpi di ariete, il proprio progetto di riforma, ignorando l’ ammonimento che Piero Calamandrei, uno dei più autorevoli padri costituenti, lanciava nel 1947, durante i lavori dell’Assemblea Costituente:
“… nella preparazione della Costituzione il governo non ha alcuna ingerenza: il governo può esercitare per delega il potere legislativo ordinario, ma, nel campo del potere costituente, non può avere alcuna iniziativa neanche preparatoria. Quando l’assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del governo dovranno essere vuoti; estraneo del pari deve rimanere il governo alla formulazione del progetto, se si vuole che questo scaturisca interamente dalla libera determinazione dell’assemblea sovrana.”
Ammonimento valido ancora oggi, in quanto il Parlamento, in sede di revisione costituzionale, è ancora in possesso di un frammento di quell’originario potere costituente. Quindi, bene avrebbe fatto il governo ad astenersi dal prendere iniziative così estese e profonde in materia costituzionale, e ancor meglio avrebbero fatto le forze politiche a rimettere tutto il pacchetto di modifiche costituzionali ad un’assemblea costituente, come quella del 1946, eletta con il sistema proporzionale e, quindi, rappresentativa al massimo delle opinioni presenti nella società, come ripete da anni un “grande vecchio” della Repubblica, il senatore Rino Formica.
Invece, il governo ha cercato di accattivarsi, a priori e in blocco, la fiducia dell’opinione pubblica sulla riforma lanciando slogan efficientisti (“Le leggi verranno approvate solo dalla Camera dei Deputati”, “Il procedimento legislativo sarà velocizzato”) o ammiccanti verso gli umori dell’anti-politica (“Diminuirà il numero di coloro che vivono di politica”, “Si avranno risparmi sulla spesa pubblica”), e deviando l’attenzione dai contenuti specifici e dalle loro conseguenze una volta operanti.
Questa baldanza appare fuori luogo quando si pensi che la riforma è stata approvata da un Parlamento composto da designati dai vertici di partito, da un Parlamento formato in base ad una legge elettorale, cioè quella legge che lega il rappresentato al rappresentante, quella legge che più di ogni altra caratterizza la vita democratica e la capacità di garantire la continuità degli organi costituzionali, che è stata dichiarata incostituzionale (il famigerato Italicum). Anzi, secondo la maggior parte dei costituzionalisti, lo stesso Parlamento, che tra l’altro rappresenta poco più della metà del corpo elettorale, manca di quella legittimazione, derivante dal rispetto dei principi costituzionali, necessaria per modificare la “norma fondamentale”, il patto che lega tutti i cittadini.
Altro aspetto critico, l’esecutivo, uscito vincente dal doppio voto parlamentare sulla riforma, ma senza la maggioranza dei due terzi nella seconda votazione, ha snaturato la funzione del referendum confermativo con funzione oppositiva previsto dall’art. 138 della Costituzione. Questa norma, infatti, è prevista a garanzia delle forze contrarie al progetto di revisione costituzionale che, battute in Parlamento, vogliano appellarsi al corpo elettorale per ribaltare la decisione presa. Ma in questo caso sono stati i partiti governativi, con l’appoggio di Confindustria, CISL e altre organizzazioni di categorie professionali, a promuovere la raccolta delle 500.000 firme necessarie per la richiesta del referendum, con l’intento di ottenere una ratifica popolare che sanasse la mancanza di legittimazione del Parlamento e attuando così una torsione dell’istituto giuridico in senso plebiscitario.
Ed a togliere gli ultimi dubbi sul fatto che ci troviamo di fronte ad un qualcosa che formalmente è un referendum, ma di fatto è un plebiscito sia sul futuro ordinamento dello Stato, sia sulla persona dell’attuale Presidente del Consiglio, ci ha pensato lo stesso Renzi annunciando che in caso di sconfitta, si ritirerà dalla vita politica.
Quindi, i cittadini mai come in questa occasione farebbero bene ad interessarsi del referendum, e non solo perché l’espressione del diritto di voto dovrebbe essere meditata in ogni occasione, ma anche perché questa volta la riforma in gioco ha una forza d’urto in grado di scardinare gli equilibri tra organi e poteri dello Stato per come li abbiamo conosciuti finora, e tale da ridurre ai minimi termini la partecipazione dei cittadini alla vita dello Stato: in caso di vittoria del SI si avrebbe un accentramento di potere nel capo del governo ed un simmetrico allontanamento di settori di società dallo Stato, aumentando il distacco dalle istituzioni e ingrossando le fila dei movimenti a base populista.
Infatti, la filosofia che pervade il progetto di riforma è quella della verticalizzazione del potere, riscontrabile nel superamento del bicameralismo paritario attraverso una camera elettiva con pieni poteri legislativi formata, grazie alla vigente legge elettorale (Italicum), dai nominati dei vertici dei simulacri di partito di questo periodo storico e un Senato delle autonomie composto da consiglieri regionali e sindaci che risponderebbero non ai territori di riferimento, ma ai vertici politici che li hanno indicati. Una riforma del bicameralismo paritario é necessaria, ma é ancor più necessario evitare, in materia di riforme costituzionali, una eccessiva fretta ritornando al metodo di riflessione e di confronto che contraddistinse il lavoro dell’Assemblea Costituente.
Gli stessi istituti di democrazia diretta vengono piegati a questa logica: se le firme raccolte per il referendum abrogativo saranno 800.000, invece delle 500.000 richieste perché la proposta venga presa in esame, il quorum verrà abbassato e per approvare o respingere la proposta di abrogazione basterà che si raggiunga il 50% più uno dei votanti e non che si rechino alle urne il 50% più uno degli aventi diritto. Con questa “correzione” si vogliono favorire le minoranze più forti e non le maggioranze effettive nel Paese (come si è già fatto con l’Italicum). E diventerà più difficile proporre una legge d’iniziativa popolare: attualmente, per proporre una legge d’iniziativa popolare sono sufficienti 50.000 firme, mentre con la riforma saranno necessarie 150.000 mila firme, cioé il triplo.
Si vuole instaurare un rapporto diretto tra capo del governo e cittadini, unidirezionale, dall’alto verso il basso, utilizzando i media e internet, tagliando fuori i corpi intermedi istituzionali e associativi tra lo Stato e i cittadini (enti locali, sindacati, associazioni di categoria), in modo tale da produrre in tutti i campi una legislazione non rispondente ai bisogni del Paese, ma a quelli delle lobbies che sostengono il Presidente del Consiglio. Così, i meccanismi reali con i quali opera il potere verrebbero resi invisibili ai cittadini, allo scopo di garantire piena libertà d’azione (anche illegale) al complesso di gruppi e conventicole che dirige di fatto il Paese. Ma tutta questa opacità va a ledere uno dei principi fondamentali della democrazia, quello di trasparenza che, come diceva Norberto Bobbio, significa visibilità, conoscibilità, accessibilità, e quindi controllabilità degli atti di chi detiene il potere pubblico: perché senza quella visibilità, senza quelle informazioni, i cittadini vengono privati dell’unica arma che hanno per sanzionare l’operato del governo, il voto.
Per Bobbio, la persistenza delle oligarchie rappresentava il tradimento della democrazia, “una promessa non mantenuta della democrazia”. La perpetuazione del potere in mano a ristrette èlites, associata alla sua invisibilità, ha come effetto quello di ridurre le forme democratiche a mera rappresentazione esteriore, a copertura di un potere che agisce nell’ombra.
Ecco il punto essenziale in discussione con il referendum: con la riforma della Costituzione voluta da Renzi l’opinione pubblica diventa inerme, i cittadini tornano ad essere sudditi.
Nicolino Corrado
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Un salto di qualità nella campagna per il NO, anzi due. di Alberto Benzoni

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C’è stata in primo luogo l’entrata in campo dei leoni, tutt’altro che spelacchiati, della vecchia Dc. Sentire De Mita ( ebbene sì !) e lo stesso Cirino Pomicino ( ebbene sì !!!) demolire, con intelligenza e passione l’Oca giuliva di turno e le sue formulette imparate a memoria; e, attenzione, in nome dei valori della politica come persuasione, mediazione, inclusione, intelligenza delle persone e delle cose, mi ha ripagato, credetemi, di anni trascorsi in un silenzio impotente: vedere demoliti, giorno dopo giorno, i principi in cui credevo e le conquiste cui avevo assistito da parte del primo cialtrone nuovista di turno e senza che nessuno si azzardasse a difenderli pubblicamente è un’esperienza che non auguro a nessuno. Ma ora, finalmente, qualcuno aveva detto che il nuovo re era nudo; e l’incantesimo/incretinimento collettivo era rotto.
Ancora, più importante, e questa volta per il futuro della sinistra, la dichiarazione di Tocci a favore del no. Per le cose che dice. E per le prospettive che apre.
Sinora l’atteggiamento della minoranza del Pd ( e, per dirla tutta anche della Cgil ) era stato equivoco e subalterno a dir poco. “Caro Renzi e caro governo, noi siamo disposti ad appoggiare la riforma ma tu ci devi dare una mano, che so, modificando la legge elettorale, riaprendo la concertazione eccetera eccetera”.
Al di là di ogni considerazione di merito, una fuffa vergognosa. A contrastarla, il solo D’Alema, con la qualità intellettuali e le sue debolezze personali. Ma, l’entrata in campo di Tocci il quadro è destinato a cambiare radicalmente. Primo perchè le sue considerazioni vanno finalmente al cuore del problema: dimostrando che la riforma non è ,come molti pensano, una roba neutra resa negativa dal cappello dell’Italikum, ma una costruzione complessiva tenuta insieme da logiche e da principi del tutto estranee alla sinistra e alla democrazia. E ancora, e soprattutto, perchè, con la sua presenza, il “no” di sinistra acquisisce, finalmente, la massa critica che finora gli era mancata.
E questo, credetemi, cambierà molte cose. Nell’oggi, con la crescita della probabilità di vincere. E per il domani, nella formazione, attraverso le lotte, di una sinistra degna di questo nome.
Alberto Benzoni
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Comitati per il NO e socialismo largo, di Roberto Biscardini

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I Comitati socialisti per il No sono aperti a tutti coloro che si riconoscono in questa battaglia e riconoscono nelle ragioni ideali del socialismo le ragioni sostanziali per un No a questa riforma costituzionale.
I Comitati socialisti per il No che si stanno moltiplicando in tutta Italia e che stanno raccogliendo un grande interesse tra tanti compagni socialisti ma non solo, sono la riprova che, al di là delle logic…he parlamentari e indipendentemente dal sostegno che un partito o meno dà al governo, nel momento in cui sul piatto ci sono questioni che mettono in discussione le convinzioni democratiche più profonde, i socialisti, ma non solo loro, ragionano con la propria testa e si mettono alla testa di una battaglia di chiarezza e onestà.
La chiamata per andare a firmare per il Si in nome di una banale appartenenza ad un partito o le reiterate dichiarazioni di parte a favore del Si, per fare piacere a Renzi, scorrono via come acqua fresca, non bastano a cambiare le coscienze o a mutare la natura delle cose.
I socialisti riaffermano così con i Comitati per il No il valore originario della propria storia democratica e di libertà. Non tradiscono la loro storia e, di fronte ad una riforma costituzionale che rischierebbe di minare quelle libertà, reagiscono. Si fanno sostenitori e promotori di una battaglia destinata nelle prossime settimane e mesi ad allargarsi e a farsi ancora più dura.
I socialisti si riuniscono, parlano tra loro al di là della loro ormai vecchie scelte politiche. E d’altra parte non c’è centrodestra o centrosinistra che tenga: di fronte alle grandi questioni della vita democratica di un paese ognuno è solo con la propria coscienza, si riscatta e scopre le forza di una battaglia che non può non essere combattuta. I socialisti colgono l’opportunità di diventare protagonisti su una posizione di forte autonomia e di forte identità, perché hanno aderito ad un percorso delineato con assoluta chiarezza. Le ragioni socialiste del No non rispondono a logiche di parte ma stanno dalla parte del paese. Come ad un tempo: o Repubblica o il caos. Quindi per vincere bisogna abbattere steccati e parlare a tutti, ad un mondo socialista ancora potenzialmente largo, ma non solo. Parlare a tutti i socialisti che hanno ancora una coscienza, ma non hanno più una forte organizzazione politica di riferimento e parlare ad un mondo di sinistra democratica, che sta anche dentro il Pd, ma che ha assolutamente bisogno di uscire dalla ubriacatura del governo e della sola logica dell’esecutivo. Si, quel socialismo largo che i Comitati socialisti per il No possono far riemergere e contribuire a riorganizzare.
Il documento di ieri dei dieci parlamentari del Pd a favore del No è solo un inizio e poveracci coloro che pensano che i socialisti possano seguire la logica opportunistica del Si.
Roberto Biscardini
Questa voce è stata pubblicata in Costituzione italiana, Riforma Renzi Boschi, Senato, Senza categoria, Socialismo, Riforme, Referendum, Governo Renzi, PSI, Comitato socialista per il NO, Voto.
Renzi e soci e la linea del Piave, di Angelo Sollazzo

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La linea del Piave, la madre di tutte le battaglie, erano rappresentate per Renzi ed il suo Governo dalla nuova legge elettorale e dalle cosiddette riforme costituzionali.
Tali provvedimenti avrebbero risolto tutti i problemi del Paese, e non si capisce come e perché, a cominciare da quelli economici.
Anche gli osservatori più attenti facevano osservare che voler mischiare il diavolo e l’acqua santa non aveva senso, tranne che per lo sprovveduto Centro Studi della Confindustria renziana.
Ora la linea del Piave è caduta, le truppe di difesa si ritirano in disordine, l’Italicum può essere modificato, anzi non funziona più, nonostante le difese ad oltranza di Maria Boschi che non sa più che pesci pigliare, se il suo Capo accetta che il Parlamento cambi ciò che per mesi entrambi avevano definito intoccabile e la migliore legge elettorale possibile.
Ma già si sentono scricchiolii anche sul fronte delle pseudo-riforme costituzionali.
La paura di perdere il referendum, che sta divenendo una certezza, consigliano al Premier maggiore prudenza, nascono come funghi in tutta Italia i Comitati per il NO, e le motivazioni addotte sono inattaccabili e concrete.
Se poi tali provvedimenti dovevano risolvere i gravi problemi derivanti dalla crisi economico, gli effetti sono esattamente all’opposto.
La produzione industriale frena pericolosamente, il sistema bancario barcolla, dopo il capolavoro della Banca Etruria e delle Popolari, il Jobs Act è stato un totale fallimento ed un regalo al mondo confindustriale, con, nel 2016, un -78% dei contratti a tempo indeterminato e con un aumento del 43% dei voucher liberalizzati.
La “deforma “ della scuola avvantaggia quella privata e danneggia la pubblica che sta assumendo connotati aziendalistici e d’elite, nonostante la contrarietà di tutto il mondo scolastico, la deflazione blocca i consumi con il -0,2%, riportandoci ai valori del 1959 (fonte CGIA di Mestre), le bollette per le famiglie riprendono a salire. e infine per evitare l’aumento dell’IVA bisogna trovare almeno cinque miliardi di euro.
Nel passato Premier, ministri e vice-ministri quando sbagliavano analisi, proponevano e votavano leggi e provvedimenti errati si dimettevano.
Cambiare idea si può, importante e trarne le conclusioni facendosi da parte.
Angelo Sollazzo
Questa voce è stata pubblicata in CGIA di Mestre, Costituzione italiana, Parlamento, Riforma Renzi Boschi, secondo mandato a Renzi, Senato, Senza categoria, Socialismo, Riforme, Referendum, Governo Renzi, PSI, Comitato socialista per il NO.
Riforma costituzionale e l’Italicum rischiano di azzoppare la democrazia, di Vincenzo Russo

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Due considerazioni preliminari. La prima è che bisogna avere chiaro l’obiettivo fondamentale del sistema costituzionale che si vuole costruire. Da un quarto di secolo almeno, a parole, diciamo che vogliamo costruire un sistema federale. Va ricordato che la questione del federalismo entrò nell’agenda della politica italiana per merito o demerito (a seconda dei punti di vista) di Bossi e della Lega Nord che addirittura minacciavano la secessione se non si fosse realizzato il federalismo entro un ragionevole lasso di tempo. In un sistema federale, il Senato ha ragion d’essere al livello centrale del sistema federale e non a livello dei paesi membri federati o in via di essere federati. In Italia dove i discorsi sulla riforma costituzionale non hanno mai tenuto conto di quello che sta avvenendo in Europa tranne nel caso della modifica dell’art. 81 della Costituzione collegato all’adozione Fiscal Compact a livello europeo. Si è partiti dall’idea bizzarra che il bicameralismo perfetto fosse la causa dell’inefficienza del nostro sistema istituzionale. Per approfondimenti di questo punto mi sia consentito rinviare a http://enzorusso2020.blog.tiscali.it/2016/02/16/l%E2%80%99irrilevanza-della-riforma-del-senato/?doing_wp_cron
Adesso abbiamo un bicameralismo differenziato, non elettivo e composto da esponenti delle regioni e dei comuni. Qui mi basta dire che un senato che non ha voce decisiva sulla legge di stabilità nega la partecipazione non solo delle Regioni e dei Comuni ma direttamente e indirettamente anche dei cittadini. La riforma nega non solo un sistema genuinamente federale, come sarà prima o poi il sistema dell’Unione Europea, ma nega anche lo Stato regionale come previsto dalla nostra Costituzione del 1948.
La seconda premessa che ha a che fare non solo con la riforma costituzionale ma anche con la legge elettorale c.d. Italicum è ovviamente collegata alla forma di governo, perché in nome della stabilità – non della governabilità che dipende anche da altri fattori – prevede un ritorno ad un sistema elettorale peggiore del c.d. Porcellum legge n. 270/2005 che la Corte costituzionale ha già censurato in diversi punti con sentenza n.1/2014. Di queste censure il governo e il Parlamento non hanno tenuto conto approvando l’Italicum, rectius, legge n. 52/2015. Questa assicura una maggioranza di 340 seggi al partito che vince le elezioni. Considerata la frantumazione del sistema politico con l’emergere di tre principali schieramenti si è previsto un grosso premio di maggioranza non ad una coalizione ma ad una lista partitica. L’argomento dei difensori di questa soluzione è che senza un cospicuo premio di maggioranza, nessun partito sarebbe in grado di assicurarsi una maggioranza in Parlamento e, quindi, non sarebbe in grado di governare senza ricorrere all’aiuto e/o alla cooperazione con altri partiti. Anche su questo punto gli argomenti del Presidente Renzi, nonché segretario del PD, a mio giudizio, sono molto deboli perché una riforma della costituzione non può partire dalla situazione contingente della crisi dei partiti. Una costituzione si deve proiettare in un orizzonte temporale di lungo termine e, se così, non sappiamo se fra 5-10-20 anni la situazione dei partiti sarà come quella attuale. Secondo la Constitutional Political Economy la definizione delle regole va fatta avvolti nel velo dell’ignoranza, ossia, senza sapere chi potrà essere avvantaggiato da quelle regole. Più in generale, se il pluralismo delle forze politiche è l’essenza della democrazia, non si può azzoppare la democrazia perché ci sono tre partiti di pari forza. Un partito al governo non può ridisegnare da solo ( a colpi di maggioranza risicata) la legge elettorale secondo le sue necessità, per garantirsi una maggioranza blindata. Nel 2005, lo fece il governo Berlusconi ma nel 2006 vinse Prodi.
Proseguendo per questa strada si può anche ipotizzare l’abrogazione delle elezioni – come fu ipotizzato in chiave satirica attorno al 1975 da Anonimo in “Berlinguer e il Professore”, Rizzoli, 1975: 82-83). È questo non sarebbe del tutto sorprendente se si considera la deriva autoritaria e tecnocratica in corso in Europa e nel mondo che affligge la democrazia.
In un paese coeso, funzionano le coalizioni, in un paese non coeso dove, da un quarto di secolo, prevale la logica dell’amico-nemico, il sistema non funziona o funziona male con l’abuso continuato della decretazione d’urgenza, i canali speciali per i provvedimenti del governo, i canguri per togliere la parola all’opposizione , i voti di fiducia sui maxi-emendamenti, ecc. Se oggi viviamo nell’era della sfiducia come sostiene il politologo francese Pierre Rosanvallon, (Controdemocrazia La politica nell’era della sfiducia, Castelvecchi, collana le navi, Roma, 2012), bisogna prenderne atto e l’impegno di tutti i partiti dovrebbe essere quello di superare tale sistema e ricostruire la fiducia necessaria. Se invece la previsione è che questo sistema della sfiducia reciproca tra le forze politiche e i poteri dello Stato, va bene ed è destinato a restare nel lungo termine , allora servono i poteri di veto di cui parla Gorge Tsebelis, un politico americano di origine greca (vedi il suo: Poteri di veto. Come funzionano le istituzioni politiche, il Mulino, Bologna, 2004). Per essere chiari il sistema dei poteri di veto è quello in essere nella Costituzione americana dove c’è la separazione netta dei poteri specialmente tra il Congresso ed il Presidente, quindi tra il legislativo e l’esecutivo per cui il Presidente può porre il veto alle leggi approvate dal Congresso e viceversa il Congresso o una delle sue camere può non approvare le leggi proposte dal Presidente. Congresso e Presidente risultano eletti con procedimenti elettorali significativamente diversi ed ottengono mandati di durata diversa (4 e 6 anni) proprio per raccogliere eventuali cambiamenti di opinione pubblica. Il Congresso si rinnova parzialmente ogni due anni. Il mandato del Presidente dura 4 anni. I senatori durano in carica 6 anni e 1/3 di essi si rinnovano ogni due anni. Le due camere del Congresso hanno sostanzialmente gli stessi poteri legislativi anche in materia di bilancio. Quindi negli Stati Uniti c’è il bicameralismo perfetto o quasi tanto deprecato in Italia perché secondo gli esponenti della maggioranza sarebbe lento e farraginoso mentre oggi servirebbero procedimenti legislativi veloci ed efficaci per affrontare i problemi della globalizzazione. Si dà il fatto che gli USA restano la potenza egemone a livello mondiale che affronta giornalmente detti problemi ma nessuno o quasi – che io sappia – sostiene che il bicameralismo vada cambiato. Una breve precisazione circa i poteri di veto. I padri costituenti americani li previdero perché non assunsero che i politici siano angeli ed ispirerebbero sempre le loro scelte alla leale collaborazione e/o cooperazione e al perseguimento dell’interesse generale. In altre parole, non hanno prescritto di utilizzare sempre e comunque i poteri di veto ma solo quando la cooperazione tra le forze politiche non funziona.
Tornando all’Italia, bisogna aver chiaro in mente che il nostro sistema era ed è ingovernabile non perché c’era il bicameralismo perfetto ma perché in Italia prevale il particolarismo, non c’è coesione sociale, non c’è un’idea condivisa di giustizia sociale né di quella tributaria. C’è una tradizione di familismo amorale. Tutti antepongono l’interesse di parte a quello generale. Nel nostro Paese prosperano tre organizzazioni criminali tra le più potenti del mondo. Si vive in un clima di illegalità diffusa. La corruzione grande e piccola è una vera metastasi, che non può essere curata solo con la prevenzione lodevole dell’Anac di Cantone.
Tutti amano i privilegi; disobbediscono alle regole a partire da quella della puntualità. In politica prevale l’idea che i problemi si risolvono approvando nuove leggi senza un’analisi preventiva delle cause per cui la precedente legge non ha funzionato, senza un’analisi preventiva dell’impatto amministrativo ed economico della nuova legge.
E tuttavia, a mio giudizio, non c’è un rischio grave di paralisi (e/o di inciucio)- come sostiene Renzi – perché fortunatamente siamo inseriti nel sistema istituzionale dell’Unione europeo. Con tutti i suoi limiti e con tutte le conseguenze anche negative che l’UE produce negli ultimi tempi per come sta gestendo la crisi economica e finanziaria che ci affligge dal 2008, essa rimane una garanzia insostituibile ed una speranza per un futuro migliore.
Il Belgio è rimasto due anni e mezzo senza governo. La Spagna é senza governo da circa sei mesi ; il caso più grave è quello greco di due anni fa quando l’UE costrinse i Greci a votare di nuovo nel giro di qualche mese. O prendiamo atto che i governi dei Paesi Membri della UE sono governi regionali oppure continuiamo a trastullarci con l’idea di governi dotati di piena sovranità di stampo ottocentesco che sarebbero meglio attrezzati ad affrontare i problemi della globalizzazione. Lo ripeto, non si può fare una riforma costituzionale senza tener conto del contesto costituzionale ed istituzionale in cui siamo inseriti da circa sessanta anni.
Non si può fare una riforma costituzionale pensando solo all’oggi. Non dico che bisogna trascurare del tutto il presente ma le riforme costituzionali si possono e si devono fare pensando anche al futuro di lungo termine.
Penso alla Costituzione degli USA che in 228 anni ha subito solo 27 emendamenti. Quelli si che erano padri costituenti non quelli nostrani di oggi.
Vincenzo Russo
tratto dal Blog dell’autore http://enzorusso2020.blog.tiscali.it/2016/06/17/riforma-costituzionale-e-l%E2%80%99italicum-rischiano-di-azzoppare-la-democrazia/
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Il PSI non è terminato nel 1992! Un patrimonio politico che non può essere di altri, di Paolo Gonzales

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Il servizio sulla storia del PSI, riproposta da RAI STORIA l’8 luglio c.a.,risulta ben fatto anche se risente della ovvia ristrettezza dei tempi tecnici. Molto puntuali i commenti e in particolare della professoressa Simona Colarizi che chiarisce, con argomentazioni ed analisi non contestabili, i veri motivi che hanno determinato la svolta politico-giudiziaria del ’92. Ma la storia del PSI non si limita ai soli grandi leader del servizio: Nenni, De Martino e Craxi così come non sono terminati nel ’92 il ruolo ed i valori del socialismo nel nostro Paese e fuori dai nostri confini. Manca un benché minimo accenno ad una grande parte storico-politica che è quella molto più direttamente riferibile al mondo del lavoro, alla scuola, al meridione, alle risposte concrete che hanno dato i socialisti per la crescita democratica, sociale, culturale ed umana della nostra società e di tutta la società europea ed internazionale.
Vale ricordare il contributo di alcuni altri importanti leader quali Giacomo Mancini, Lombardi, Codignola, Antonio Landolfi; Sisinio Zito, Signorile, Ruffolo e tantissimi altri che hanno avuto un ruolo determinante per il radicamento dei principi e valori del socialismo nelle popolazioni del nostro Paese e dove esistevano condizioni di non libertà. Giova riportare parte della “lettera ai calabresi” di Giacomo Mancini del 29 gennaio 2000, nel ricordo del segretario B. Craxi:
“[…] Il PSI deve impegnarsi per sfatare una falsità che qualcuno ha interesse a diffondere e che riguarda la sua storia. Dobbiamo dire, gridare se necessario, che il PSI è stato sempre un partito dell’area di sinistra, non socialdemocratico, Nessuno può decidere che la nostra presenza in quest’area sia usurpata. Il PSI è stato a sinistra in tutta la sua storia, anche con la segreteria Craxi. Elemento determinante della nostra storia, che ha comportato il pagamento di prezzi altissimi, è stato sempre l’attenzione per chi operava a sinistra, da Nenni al momento della scissione saragattiana, a Craxi che è rimasto nel partito al momento della scissione di Tanassi. A questa nostra collocazione nazionale e internazionale dobbiamo restare fedeli… specialmente in ogni campagna elettorale alla quali dobbiamo dare un forte connotato di presenza socialista.
In tutti i periodi, i socialisti hanno concorso, anche più di altri, al successo dei programmi e delle posizioni moderne del socialismo italiano ed europeo. Dobbiamo difendere queste caratteristiche e non saremo mai alleati della destra […] senza di noi la destra vince. Quella parte della destra che abbiamo visto ai funerali di Craxi non può ritenere di giovarsi né del nostro dolore né della nostra giusta polemica nei confronti di non è stato nostro amico in questi ultimi anni.
L’espiazione socialista deve avere fine ed i socialisti devono farsi sentire […] siamo il partito della verità e tra le verità c’è anche quella che molto socialisti che sono stati in passato vicino a Craxi devono rendersi conto che non è questo il momento delle loro riabilitazioni, è il momento del riconoscimento dei loro errori. Agendo con onestà possiamo riacquistare un posto nella storia italiana. Quel posto ci spetta, ne siamo orgogliosi e vogliamo insegnare questo orgoglio alle nuove generazioni, che dovranno riprendere un discorso bruscamente ed ingiustamente interrotto. Questo deve essere il nostro obiettivo di noi socialisti, di noi che qui oggi ci ritroviamo in un abbraccio doloroso, ma anche aperto ad una rinnovata voglia di esserci, di farsi sentire, di fare emergere ideali mai dimenticati di cui nessuno può privarci. […]”
Nel servizio, inoltre, manca il riferimento sia il fatto che l’assenza dei valori socialisti nello schieramento politico e nel governo del Paese ha determinato un svolta “conservatrice” che anche questo governo non intende abbandonare e che la nostra società ha sete di socialismo non fosse altro per le disuguaglianze che hanno determinato e stanno determinando nel corpo e nell’ambiente sociale i vari governi succedutesi nell’arco degli ultimi anni.
Ritengo, a margine di questa lettera di Giacomo Mancini riproposta, che noi socialisti di oggi riteniamo di avere un patrimonio politico di anni di lavoro e di impegno e non crediamo che esistano validi motivi per regalarlo ad altri partiti e ad altre formazioni politiche, in particolare oggi dove la politica degli ultimi governi ha dimenticato se non affossato la “questione sociale” nella gestione del potere quotidiano.
Per quando riguarda il Partito, noi compagni di base confidiamo nella attenzione dei nostri dirigenti per il semplice fatto che, così come ci hanno insegnato i nostri leader socialisti, abbiamo grande rispetto e fiducia nel partito e verso il gruppo dirigente anche quando non concordiamo sulle posizioni e scelte politiche. Se interveniamo lo facciamo per sconsigliare gesti, comportamenti scorretti e non in linea né con il nostro passato, ma soprattutto con quanto di oggi significa socialismo in Italia ed in Europa.
Non è nostro costume ricorrere a sistemi che discreditano il partito ed il ruolo che ha avuto per lo sviluppo democratico del nostro Paese e in molti Paesi del pianeta. Chiediamo allora se possiamo dire di no a questo PD? Possiamo dire di no al Capo del Governo? Chiediamo, inoltre, che il nostro gruppo dirigente sia coerente e non decida la linea del partito secondo gli umori della stampa o di un sondaggio. Non comprendiamo e giustifichiamo il capo del governo che un giorno afferma che quanto approvato in Parlamento, con voti di fiducia e voti senza un vero ed ampio dibattito parlamentare, sia per la revisione costituzionale che per la legge elettorale (Italicum), non sono rivedibili e se dovesse vincere il NO lui si dimette, ed il giorno dopo minimizza e afferma il contrario e che sono altri che vogliono personalizzare l’esito del referendum e non lui. Così come chiediamo coerenza ai nostri dirigenti ed ai nostri parlamentari che hanno votato “con convinzione” sia le modifiche costituzionali che l’Italicum di non fare marcia indietro perché ne va della loro stessa dignità di rappresentanti dei cittadini. Non sono e non sarebbero un buon esempio per tutti noi. Se prima siete stati “costretti a votare e non eravate d’accordo allora dovete denunciare chi via costretto e per quali motivi; in caso contrario è corretto chiedervi di essere coerenti. In aula esiste la libertà di voto e nessuno può toglierla a chi è, a chi si sente ed a chi rappresenta i socialisti. Non si può cambiare linea e posizione al piccolo stormir di fronda o per convenienza. I risultati delle amministrative di Roma, Torino non sono da insegnamento? Fate in modo di essere orgogliosi della posizione assunta anche molti socialisti non vi hanno compreso. Siate coerenti anche di fronte alle critiche interne; critiche che significano dibattito, scambio di idee e confronto aperto.
Noi compagni “non ubbidienti” riteniamo che ciò sia possibile e continueremo a portare avanti le nostre idee e chiedere un confronto quando ci troviamo di fronte a scelte di questo nuovo ed attuale PD che assumono il significato di voler rafforzare un sistema di potere e non di rottamarlo e notiamo che di fronte a questo si avverte “un grande silenzio” socialista.
Paolo Gonzales
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Strada segnata, di Bobo Craxi

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La politica non è matematica ma ha pur sempre una sua logica.
A chi si ostina a pensare e predicare una modifica della Legge Elettorale detta “Italicum” Renzi ha risposto tagliando di corto, non se ne parla neanche.
Non si tratta di ostinazione dovuta al carattere ma ad una logica stringente per la quale Egli ha raggiunto il doppio traguardo ( guida del Partito e del Governo) vaticinando una soluzione dei mali italiani attraverso il drastico ridimensionamento della democrazia politica, dei suoi costi e di ciò che viene ritenuto del tutto accessorio ovvero un pluralismo di forze politiche disomogenee unite al solo scopo di governare. Per quello basto io-Egli pensa- Una forza che ha nel suo seno la cultura di Governo ed una di opposizione. A chi obietta che ormai le forze politiche italiane in grado di superare gli scogli dello sbarramento sono almeno tre ( ma forse persino di più) Egli risponde che se la vedranno fra di loro. Dopo trent’anni di chiacchiere dobbiamo far vedere ai nostri alleati europei e mondiali che l’Italia è una democrazia fondata su un bipolarismo che la “sera delle elezioni” dovrà sapere chi ha vinto e chi ha perso.
Sin qui il pensiero logico e determinato di un uomo politico che persegue una strada che è già segnata, che non prevede curve e neanche sconfitte.
Chi aveva da porre un problema di pluralismo, di compatibilità fra Leggi Elettorali e pluralismo delle democrazie, essendo l’Italia un paese di democrazia politica matura, fondata non nel 2014 ma con forze e tendenze politiche e culturali risalenti all’inizio del secolo scorso e persino prima, avrebbe dovuto porlo in Parlamento con un voto contrario e negando queste disposizioni che nella migliore delle ipotesi consegneranno ad una minoranza politica ed al suo capo le chiavi dell’intera democrazia italiana e nella peggiore genereranno il caos politico di cui ne abbiamo visto le prime avvisaglie con l’inconcludenza ed il pasticcio del caso romano.
Capisco i dubbi sollevati dal mio amico Mauro del Bue in seno al piccolo Psi ( partito di cui continuo a far parte), ma la partita con gli alleati è da considerarsi chiusa, verrà risolta a titolo personale con un diritto di tribuna per ciascuno dei fedeli alleati che hanno garantito a Renzi una discreta navigazione ed una lealtà a diciotto carati nei frangenti dove il Governo ha avuto delle vistose defaillances.
Si tratta o di togliere la spina in questi mesi, non raccogliendo l’illusoria speranza che dopo il referendum si possa rimettere mano alla legge elettorale, oppure di cambiare la spalla al proprio fucile e passare in una limpida posizione di opposizione ai quesiti referendari, chiedendone il differimento del voto e lo spacchettamento degli stessi, dinnanzi alla ovvia considerazione che dopo la Brexit tutte le legislazioni nazionali dovranno modificare i propri assetti istituzionali calibrando il rapporto fra l’Unione e i paesi sovrani rigenerando il più possibile il carattere democratico del rapporto coi cittadini.
La strada è segnata, per evitare una resa del centro-sinistra di fronte alle forze anti-sistema è necessario cambiare politica.
Per i socialisti io penso non sia mai troppo tardi e, per quello che comincio ma constatare, è possibile che una ragionevole posizione di ripensamento e di allontanamento dalle ragioni ottuse ma logiche di Renzi sia necessaria.
Bobo Craxi
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I socialisti per il NO al referendum costituzionale, di Felice Carlo Besostri

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Quest’autunno si gioca la partita decisiva per le sorti della democrazia italiana, messa in pericolo dall’intreccio perverso tra la deforma costituzionale e una legge incostituzionale iper-maggioritaria, come l’Italikum.
Noi socialisti abbiamo un dovere storico di rispettare la nostra storia e i nostri valori: contro la legge Acerbo l’inizio “legale” del regime fascista i socialisti hanno condotto una lotta intransigente, che è stata pagata con l’assassinio di Giacomo Matteotti e senza l’Assemblea Costituente, nella quale i socialisti erano la maggiore fomazione della sinistra e che la vollero con determinazione, insieme con la forma repubblicana dello Stato, la Liberazione dal nazi-fascismo non sarebbe stata coronata dalla nostra Costituzione. ”L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, nella quale “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” formulazione che esclude ogni forma plebiscitaria e l’esistenza di ogni concentrazione di potere in un partito e in una persona. Per questo i socialisti sono stati in prima fila, con i discorsi appassionati di Pietro Nenni, contro la cosiddettta legge truffa, che assegnava il 65% dei seggi, a un passo dai 2/3 per cambiare la Costituzione senza rischi di referendum, alla coalizione, che avesse raggiunto il 50%+1 dei voti. Il sistema elettorale è essenziale per poter garantire una rappresentnza, rispettosa dei valori della Costituzione, che non può essere cambiata da forze che non rappresentino la maggioranza reale del popolo, uno depositario come corpo elettiorale della sovranità.
Non per ragioni formali, ma sostanziali, come potrebbe altrimenti realizzare i suoi compiti? Grazie al socialista Lelio Basso abbiamo un secondo comma dell’art. 3, quello sull’uguaglianza, afferma solennemente, che “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limutando di fatto la libert e l’eguagluianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva parytecipazione di tutti i lavoratori all’organizazione politica, economica e sociale del Paese”.
In particolare, come socialisti, non posssiamo tollerare l’uso della parola “RIFORMA”, che non sia una modificazione migliorativa. La revisione promossa dalla coppia Renzi-Boschi dietro al paravento demagogico di una riduzione del numero dei Senatori, mantiene una camera di 630 deputati, quando una riduzione del 10% delle indennità di tutti i parlamentari avrebbe consentito risparmi molto maggiori, come anche la riduzione dei privilegi delle Regioni autonome. Le parole contro la casta, come se questa fosse composta solo da Senatori, mette al sicuro con l’immunità consiglieri regionali e sindaci, protagonisti di malversazioni e corruzioni. Non uno dei problemi viene risolto non la semplificazione e accelerazione del procedimento legislativo, il cui problema principale è la qualità delle leggi e il loro numero eccessivo, da un articolo 70 di 9 parole, ”La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere” si passa a sei commi di 422 parole: talmente confuso, che nemmeno i costituzionalisti si sono accordati sul numero dei procedimenti di approvazione delle leggi si va da sei a dieci. Non si potranno più fare leggi organiche, come i resti unici che regolino materie la cui competenza non sia esclusiva della Cammera dei deputati.
Tamponati i conflitti Stati-Regioni, con una nuova centralizzazione, si aprono continui conflitti tra Camera dei Deputati e Senato della Repubblica. Si affermano principi come che i senatori consiglieri debbono essere eletti dai Consigli regionali “con metodo proporzionale” e si fissa un numero di 95 senatori eletti di secondo grado, di cui 21 sindaci, che nella maggioranza dei casi prevede di eleggere un consigliere senatore e un sindaco: impossibile farlo con metodo proporzionale!. La nomina del Presidente del Consiglio, in violazione dell’art.92 Cost., viene afidato ad un ballottaggio, cui sono ammesse le due liste più votate tra quelle sopra la soglia del 3%, senza alcuna soglia minima di votanti e di voti validi per avere lo stesso premio di maggioranza di 340 seggi, attribuito ad una lista che al primo turno avesse avuto il 40% dei voti validi, cioè comprensivi delle schede bianche e delle liste sotto soglia: assurdamente il premio di maggioranza è tanto più alto, quanto minore è il consenso elettorale!
Il premio di maggioranza consenta ad un sola lista e ad un Presidente del Consiglio, che ne sia alla testa come capo poliitico di controllare/determinare l’elezione del Presidente della Repubblica, per il quale dalla settima votazione non serve più la maggioranza assoluta del Parlamento in seduta comune ma solo i 3/5 dei votanti e quindi la maggioranza della Corte Costituzionale sarà controllata dall’accoppiata Presidente della Repubblica.
Basta e avanza per dire un chiaro e rotondo NO socialista!
Felice C. Besostri
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