Italicum

Dopo la decisione della Corte ripartire da una legge proporzionale. di Felice Besostri ed Enzo Paolini

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La inammissibilità del referendum pro maggioritario proposto da otto regioni (ma sostanzialmente dalla Lega), dichiarata dalla Corte costituzionale in seguito agli argomenti da noi avanzati, rimette al centro del dibattito politico la questione della legge elettorale. Che è la madre di tutte le questioni, essendo relativa alle modalità di selezione della classe dirigente e quindi alla qualità della nostra politica.

Partiamo da cosa ha detto la Corte con la sentenza di ieri, sul piano generale in ordine all’uso dello strumento referendario (su quello tecnico specifico dovremo aspettare le motivazioni). Tre principi: 1) il quesito da rivolgere ai cittadini deve essere chiaro ed intellegibile per tutti, senza incomprensibili richiami o rimandi. 2) Il parlamento può delegare il governo ad emanare un atto avente forza e forma di legge. La stessa delega non può, però, darla il popolo attraverso il referendum perché così si creerebbe un corto circuito nella architettura della democrazia parlamentare. 3) Il quesito referendario non può essere «eccessivamente manipolativo», cioè proposto mediante un cosiddetto «ritaglio per sottrazione», per incastro linguistico e terminologico, così che la normativa residuale all’abrogazione abbia l’effetto di creare una nuova norma senza passare per il percorso legislativo parlamentare. Ad esempio, nel caso specifico: cambiare il metodo elettorale mediante l’abrogazione per via di referendum di parole o frasi inserite in leggi non afferenti al metodo elettorale.

La Corte ha ritenuto la proposta priva dei requisiti della chiarezza e della omogeneità logica del quesito, insomma della semplicità essenziale necessaria ed indispensabile per sottoporre ai cittadini questioni importanti, e non ve n’è di più importante sul piano istituzionale di quella del metodo elettorale. Da qui dobbiamo (ri)partire se vogliamo convincere anche chi, destato dal campanello della Corte, si riassopisce subito con le tranquillanti, superficiali e pericolosissime parole di Prodi e Veltroni (ieri) e di Beppe Sala (oggi): dobbiamo pensare alla «governabilità», dunque al maggioritario. Ma in nessuna parte della Costituzione è scritto che le elezioni debbano garantire la «governabilità» o, addirittura, che la sera dello scrutinio si debba sapere chi ha vinto e chi ha perso. Questo succede alla Domenica sportiva.

La governabilità non è la ragione, il fine delle elezioni, ma il necessario, auspicato effetto, determinabile dalla convergenza delle forze politiche rappresentate in parlamento sui programmi proposti agli elettori e sulle mediazioni imposte dalle alleanze atte a costruire le maggioranze utili per governare. Questa è la governabilità. Dunque non è affatto vero che con il maggioritario (cioè con un sistema che assegna alla formazione che non ha raggiunto la maggioranza ma è prima in classifica, un premio in seggi), sia assicurata ipso facto la «governabilità» stabile. A meno di un risultato elettorale con una maggioranza assoluta (i «pieni poteri»), ci vogliono sempre un’alleanza e un compromesso. La differenza tra i due sistemi, cioè tra quello attuale, con le nomine dei capi partito e quello proporzionale con le preferenze degli elettori è decisiva: la qualità della classe dirigente.

La storia di questo ultimo anno e mezzo e dell’annesso cambio al governo (ma possiamo dire la storia del paese da quando c’è il maggioritario per nomina, sia esso Porcellum, Italicum o Rosatellum con i suoi ribaltoni, cambi di casacche, compravendita di parlamentari) lo dimostra. La spiegazione è semplice: il sistema pensato dai costituenti, cioè il proporzionale puro con le preferenze, non fu scelto solo per impedire nuove temute derive autoritarie. La paura o meglio il rifiuto della tirannide era il presupposto. Ma il sistema recava in sé un fine tessuto di ingegneria costituzionale. Esso fotografava la realtà politica, il sentire del popolo italiano, fino a quello dell’ultimo cittadino, con un voto «diretto, libero ed uguale» per cui la sera dello scrutinio si sapeva chi eravamo, cosa pensavamo, quali erano gli orientamenti condivisi e in quale misura, appunto proporzionale, si traducevano in seggi parlamentari.

Così che i rappresentanti istituzionali sin da subito potevano/dovevano avviare i confronti per giungere alle alleanze con le quali costituire le maggioranze necessarie affinché un governo potesse avere la fiducia delle camere. Un lavoro duro e affascinante che si chiama politica. Così il quadro era stabile, poteva mutare sulla base di questioni politiche non di migrazioni di senatori e deputati fondate su posizionamenti e convenienze personali. E ciò per il semplice fatto che, essendo i parlamentari eletti con le preferenze, rispondevano del loro comportamento agli elettori che tali preferenze avevano espresso e non, come oggi avviene, al capo del partito che li nomina o che gli promette la rinomina.

In questo sciagurato mo(n)do il parlamento viene nominato dai cosiddetti leader, non viene assicurata alcuna governabilità politica, le maggioranze sono drogate dai premi, la vera volontà popolare non conta niente e le elezioni sono solo esercizi di posizionamento personale. Ciò è peraltro affermato dalle ripetute sentenze della Corte costituzionale sui parlamenti che ormai da un decennio sono eletti sulla base di leggi dichiarate incostituzionali. Il problema si acuirà con la riduzione del numero dei parlamentari. Meno rappresentanti, più potere nella nomina, più controllo di pochi. Si chiama oligarchia.

In pieno mese di agosto questo giornale ha pubblicato un appello, «Il governo riparta dalla Costituzione», sottoscritto da tanti autorevoli osservatori. Ne riproponiamo il brevissimo, fulminante ed imprescindibile punto 1: «Legge elettorale, proporzionale pura: l’unica che faccia scattare tutte le garanzie previste dalla Costituzione. Per mettere in sicurezza la Costituzione stessa, cioè la democrazia».

Felice Besostri ed Enzo Paolini

da “Democrazia Socialista” Anno XVI n. 3, 30 gennaio/2 febbraio 2020

Toccato il fondo, di Angelo Sollazzo

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Il dibattito di questi giorni sulla legge elettorale dimostra come la classe dirigente politica abbia ormai toccato il fondo.

A fronte di una chiara decisione della Corte Costituzionale, che ha spazzato via Procellum, Italicum ed ammennicoli vari, i partiti maggiori si sono arrovellati per tentare di approvare una legge che potesse solo tutelare gli interessi delle forze politiche maggiori. Prima il preferito era il sistema Mattarellum, quindi il Provincellum, infine quello tedesco. In queste ore anche la scelta germanica è stata accantonata e siamo di fronte ad un nuovo pastrocchio, sempre che superi il vaglio postumo dell’Alta Corte.

Cosa che fa specie è la rinuncia a ritornare alle preferenze, che erano state invocate da tutti per riavvicinare l’eletto all’elettore. Perfino il PD, per non parlare di Forza Italia, declamavano la loro volontà a far eleggere direttamente dai cittadini i loro rappresentanti. Cosa ancora più eclatante è stata la inversione di marcia dei 5Stelle, che dopo avere considerato il ritorno alle preferenze come loro linea del Piave, si sono miseramente attestati sulle posizioni degli altri. La verità è che Grillo è come Renzi e Berlusconi e vuole parlamentari dimezzati e non autonomi in quanto nominati dei padroni del vapore. Poco importa se in un sondaggio ben l’82% degli italiani ha detto di preferire il ritorno alle preferenze, per scegliere il proprio rappresentante e non funziona neanche la pantomima della governabilità, visto che dal 1994, senza preferenze, i Governi sono caduti come birilli, che il potere di ricatto ha avuto notevole espansione e che i gruppi parlamentari sono cresciuti da 7/8 a 25/30. Quindi non raccontiamoci frottole.

Per non parlare dello sbarramento del 5% che potrebbe anche significare la non rappresentatività di 8 o 10 milioni di elettori.

La democrazia si esprime con la rappresentanza di tutti, anche con le forze minori ,ed i Costituenti scelsero il proporzionale per tutelare il diritto di tribuna delle minoranze. Renzi ,Grillo e Berlusconi sono la rappresentazione della stessa politica. Basta con le finzioni . Si ritorni al partiti veri, si applichi l’art.49 della Costituzione sulla trasparenza e democrazia interna delle formazioni politiche, si ritorni agli ideali puri ed alle culture politiche che hanno governato e consentito la libertà di espressione da decenni nel nostro Paese.

Angelo Sollazzo

Socialisti in Movimento- Intervento di Angelo Sollazzo

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Nelle ultime settimane il panorama politico ha subito cambiamenti profondi e niente può essere rapportato alla situazione di solo qualche mese fa.

La scissione nel PD, la nascita del Campo progressista di Pisapia, lo scioglimento di SEL e la comparsa di Sinistra Italiana ed in ultimo l’incauta convocazione di un congresso straordinario del PSI, rappresentano un quadro modificato della sinistra italiana con il quale confrontarsi con speranza e preoccupazione.

I socialisti italiani si stanno riaggregando in nuove forme e stanno riprendendo un loro specifico ed autonomo ruolo nella società politica.

L’appiattimento sulle posizioni del Governo renziano di Gentiloni, la mancanza di un qualsiasi dibattito interno, la determinazione a voler continue rese dei conti, hanno ridotto il glorioso PSI a poche rappresentanze nelle istituzioni, iscrizioni in calo e nessun dato elettorale in quanto da anni il Partito non si presenta con il proprio simbolo alle elezioni.

Se il dato è sconfortante per manifeste responsabilità del gruppo dirigente, non si può ritenere utile la fuoriuscita dall’attuale Partito che, nel bene e nel male rappresenta la tradizione socialista, per approdare a improbabili movimenti di nuovo conio che non hanno riferimenti ideologici chiari, a cominciare dal nome, anche se abbiamo apprezzato la presa di distanza dall’imbroglio renziano. Quindi dentro il PSI per cambiare il PSI. Le scorciatoie non servono, le parole riformista e progressista sono per noi aggettivo del sostantivo socialista e non accetteremmo di aderire a nessun movimento che non si definisca socialista. I partiti e movimenti  solo aggettivati non rappresentano alcuna cultura politica, nascono e muoiono a seconda delle convenienze dei loro gruppi dirigenti ed ispiratori. Il socialismo come le altre culture politiche ha storia, presente futuro poiché rappresenta una particolare visione della società.

Nel particolare momento politico che viviamo diventa imperativo per i socialisti e la sinistra democratica lottare e battere i populismi di destra e sinistra.
Nell’ultimo ventennio populisti sono stati Berlusconi, Bossi e Salvini, Grillo e Renzi, che separatamente hanno ingenerato il cancro dell’anti-politica con i risultati che conosciamo.
I socialisti hanno il dovere di lavorare per l’applicazione dell’art. 49 della Costituzione per la trasparenza e la democrazia interna dei Partiti come condizione essenziale per battere il populismo.
Il PSI con il congresso di Montecatini del 2008 pose il tema come elemento essenziale del suo rinnovamento per poi dimenticarlo  pensando di poterlo applicare solo agli altri. Anzi all’inizio della attuale legislatura i pochi deputati socialisti, pur eletti nelle liste del PD, presentarono una proposta di legge in tale direzione contenente un controllo terzo (Corte dei Conti?) per la trasparenza contabile ed amministrativa e addirittura all’art.18 la possibilità di rivolgersi al magistrato da parte del militante tediato ovvero per la riduzione degli spazi di democrazia interna.
Tutto questo sembra dimenticato, ma ciò che risulta ancora più grave l’accantonamento dei fondamentali del socialismo e le stesse ragioni di ritenersi socialisti attraverso voti parlamentari ed atteggiamenti che cozzano decisamente con gli ideali socialisti.

Vi sono concetti del vivere comune che devono essere al centro della appartenenza al socialismo ed alle sue strutture organizzate.

Lo stesso concetto di libertà è socialista. Libertà dal bisogno, dalla fame, dalle malattie, dalle guerre, dalla mancanza dei diritti civili.

Anche il concetto di uguaglianza è socialista, per avere tutti non solo gli stessi doveri ma anche gli stessi diritti.
La ridistribuzione della ricchezza rappresenta il cardine principale della proposta socialista in economia politica. La forbice tra ricchi e poveri si è allargata in modo pauroso, abbiamo oggi quattro milioni e mezzo di poveri assoluti a cui aggiungere altri quattro milioni di cittadini sulla soglia di povertà. Una patrimoniale sulle rendite parassitarie ed assenteiste viene considerata equa perfino dalla Confindustria, mentre la sinistra balbetta su un tema di giustizia sociale. La verità è che molti di questa nuova classe politica ancora non ha compreso la differenza tra rendita e reddito. Chi fa profitto ed investe in innovazione e nuova occupazione va sostenuto, sono le grandi proprietà, i patrimoni fisici e bancari che vanno colpiti, non la produzione ed il lavoro. Al contrario si preferisce liberalizzare per creare nuovi patrimoni, per rendere aggressiva la concorrenza che di per sé diminuisce non accresce il lavoro. Se il numero di disoccupati si è impennato fino ad arrivare a due cifre, il motivo è proprio quello della riduzione selvaggia dei costi  che, quindi, porta alla riduzione dei posti di lavoro. Lo Stato sociale di cui tanto si parla viene ridotto ai minimi termini.
Ma vi sono concrete possibilità per affrontare il tema grave dei conti pubblici. Oltre alla patrimoniale occorre mettere mano all’assurdo capitolo delle spese militari, sia riducendo le missioni all’estero sia annullando le commesse per nuovi armamenti. Non si possono spendere diciotto miliardi di euro per gli aerei cacciabombardieri F35, considerato che noi italiani non siamo proprio gente che amiamo bombardare. Quindi non difesa ma offesa. Non possiamo tacere sullo scandalo del Vaticano che non paga le tasse allo Stato,possedendo oltre centomila edifici, alberghi, ristoranti, attività commerciali e a Roma non riesce nemmeno a pagare luce, acqua e gas.

I musei vaticani incassano 18milioni di euro al mese, non pagando alcuna tassa. Intanto lo Stato, a debito, impegna 20 miliardi per risanare le banche, regala con il Job Acts miliardi alla Fiat e soci, spende, in tempo di crisi, ben 23 milioni di euro per l’aereo della Presidenza del Consiglio, altro che sobrietà, consente il caporalato legale con la vergogna dei vouchers, sottrae risorse con mance elettorali, come per gli 80 euro, per poi accorgersi che oltre due milioni di persone, non avendo diritto, saranno costretti a restituire la  regalia. Non ci attardiamo a parlare , per amor patrio, degli scandali o presunti tali di Renzi padre, di Boschi padre, fidanzato Guidi, per non dire di Expò,di Ilva, di terremoto dell’Aquila, ma certo qualcosa non va se quello che sta accadendo in epoca renziana fa impallidire perfino tangentopoli. Non si comprende perché per molto meno sono state ottenute le dimissioni dei ministri Lupi e Guidi, mentre Lotti resta al suo posto.

Insomma siamo di fronte ad una pericolosa incapacità di comprendere come affrontare la crisi economica, non esiste un piano industriale, si procede a tentoni, si rischia un aumento, grave per le famiglie, dell’IVA, stiamo rischiando di far compagnia alla Grecia in quanto a disastro economico.
Renzi pensava di parlare di economia con i cinquettii ed i post di twitter e di facebook , mentre l’Italia faceva da fanalino di coda della ripresa economica che stava conoscendo tutta Europa. Se questi sono i nuovi, rivogliamo i vecchi.

Quello che non si comprende è come dopo le catastrofi elettorali delle amministrative e del Referendum nessuno si dimette. Renzi fa solo finta di abbandonare, Alfano,Nencini e company non fanno una piega, come se niente fosse avvenuto. Probabilmente per spostarli dai loro scranni ci vorrebbe un terremoto ondulatorio e sussultorio. Eravamo abituati  alle dimissioni dopo una sonora sconfitta, invece si fa finta di nulla, anzi si è ancora più arroganti e strafottenti di prima, attribuendo agli altri le proprie carenze e sconfitte. Questo è il nuovismo.

Anche nel PSI si fa finta di nulla, con un partito che non si presenta più alle elezioni, ma chiede ospitalità ad altri, come se importante non sia l’affermazione delle idee, ma la sistemazione di qualcuno. I sondaggi elettorali non rilevano la presenza socialista e quando lo fanno siamo attorno all0,1%. Siamo soddisfatti? Auguri.

Il PSI ha bisogno di far tornare il proprio simbolo sulla scheda elettorale, con liste, nel nome e nella simbologia, di chiara impronta socialista, evitando alleanze spurie  (NCD etc.), rivedendo con accortezza il rapporto con il PD che ha subito una vera mutazione genetica, spostandosi su posizioni di centro-destra, e difficilmente Emiliano riuscirà a modificare tale situazione.
Queste sono le sfide che i socialisti devono affrontare.

Angelo Sollazzo

Socialisti in Movimento- Lettera di Rino Formica

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Carissimi,

la sinistra in generale ed i resistenti del socialismo italiano in particolare devono molto all’impegno politico di coloro che hanno difeso i diritti costituzionali di libertà e democrazia nella battaglia referendaria del 4 dicembre scorso.

Ma chi ha perso il 4 dicembre e chi ha perso il 24 gennaio con la sentenza della Corte Costituzionale sull’Italicum, non ha cambiato idea, vuole il tanto peggio tanto meglio, vuole l’implosione del sistema politico a cui bisogna dare una risposta alternativa.

Presto si aprirà un nuovo e decisivo scontro elettorale e il nascente movimento dei socialisti potrà partecipare nelle forme possibili per affermare la propria identità e le caratteristiche socialiste di cui la sinistra ha bisogno.

I socialisti sopravvissuti alla grande glaciazione devono dare vita ad una concentrazione della sinistra riformista e revisionista distinta dal renzismo del PD.

Ai compagni dei “Socialisti in Movimento” auguro un buon lavoro, un buon inizio e li invito a non mollare.

Affettuosamente

Rino Formica

Patti chiari e amicizia lunga, di Felice C. Besostri

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Non ho in programma di organizzare una nuova impugnazione collettiva della terza legge elettorale incostituzionale. Non perché sono stanco di farlo, ma perché significa che si sono disattese per la terza volta le sentenze della Corte Costituzionale e, fatto ancora più grave, significa che sono state disattese le indicazioni del popolo italiano il 4 dicembre 2016. I casi sono due o la nuova legge è sostenuta dal PD con una maggioranza di centro-destra ovvero da un nuovo centro-sinistra. Nel primo caso significa che il PD è inaffidabile come partner, nel secondo che il nuovo centro-sinistra è inaffidabile come forza di rinnovamento politico. L’esito del referendum costituzionale e la sentenza della Corte Costituzionale sull’Italikum hanno segnato la fine di un’epoca o, per non esagerare, di un triennio di governo a guida di Matteo Renzi e di scelte politiche in contrasto con ogni idea di centro-sinistra, come politica popolare e di progresso. Hic Rhodus, hic salta: non c’è credibilità senza segni tangibili di un cambiamento di rotta, specialmente da parte di chi abbia contribuito a far approvare l’Italikum con forzature regolamentari e in contrasto con l’art. 72 c. 4 Cost. e abbia sostenuto le ragioni del SI’ alla deforma costituzionale. La cartina di tornasole è la nuova legge elettorale, che non deve essere, almeno per questa volta, una riedizione di leggi, che per la governabilità sacrifichino la rappresentanza in violazione dei principi costituzionali sul diritto di voto, eguale, libero e personale(art. 48 Cost.) e diretto per Camera(art. 56 Cost.) e Senato (art58 Cost.). Ogni premio basato su una soglia percentuale nazionale, che venga spalmato sui collegi viola il principio del voto personale e diretto. Proprio l’Avvocatura dello Stato per difendere davanti alla Corte Costituzionale il premio di maggioranza fissato in 340 seggi , cioè il 55% dei deputati eletti nel territorio nazionale, ha sostenuto che fosse necessario non essendoci alcun obbligo di un eletto di non cambiare casacca. Tuttavia, se così è, non si giustifica il sacrificio della rappresentanza a fronte di una governabilità del tutto aleatoria. Se, invece, il premio di maggioranza fosse vincolante per gli eletti della lista beneficiaria, allora la violazione del divieto di mandato imperativo ex art. 67 Cost. sarebbe patente. Dopo la sentenza n.1/2014 la sola scelta costituzionalmente corretta, visto il riferimento in sentenza agli artt. 61 e 77 c. 2 Cost., sarebbe stata di concedere alle Camere uno spatium deliberandi di 60/70 giorni per adottare una legge elettorale conforme ai principi della Consulta, trascorso inutilmente il quale il Presidente avrebbe dovuto scioglier le Camere per consentirne il rinnovo con una legge di impianto proporzionale a parte le assurde soglie di accesso per il Senato, il doppio di quelle Camera con la metà dei suoi membri. Pensate che con il 4% Camera si poteva eleggere con sicurezza un solo senatore soltanto nelle Regioni, con almeno 25 Senatori, cioè Sicilia, Campania, Lazio e Lombardia e forse coi resti in Veneto e Piemonte. Senza l’abolizione del premio di maggioranza al primo turno diventerebbe forte la tentazione di reintrodurre le coalizioni come beneficiarie  del premio di maggioranza. Un nuovo centro-sinistra non sarebbe altro che lo specchietto per le allodole per legittimare un premio di maggioranza al primo turno e confermare i capilista bloccati, logica conseguenza di liste composite di diverse anime (Campo Progressista, ex PD, ex SEL e personalità indipendenti) per garantirsi una quota di eletti: un film già visto con la Sinistra Arcobaleno, cioè un ennesimo tramonto della sinistra altro che sole dell’avvenire di un’alba radiosa. Il referendum è stato vinto dagli elettori ignoti influenzati dalle ragioni del NO, ma non solo, in ogni caso elettori ed elettrici, che si sono recati autonomamente alle urne, senza che nessun comitato o partito ve li conducesse per mano. Se non diamo una risposta politica adeguata alla loro protesta, ritorneranno delusi all’astensione. Malgrado il successo del M5S tra il 1996 e il 2013 sono scomparsi 3 milioni di voti validi. Non deludiamoli, altrimenti non possiamo prevedere quale direzione prenderanno, quando riemergeranno dalla clandestinità elettorale.

Felice C. Besostri

Socialisti in Movimento: Introduzione, di Roberto Biscardini

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Ringrazio tutti i presenti e i nostri osservatori esterni venuti qui oggi alla prima assemblea dei Socialisti in Movimento. A me tocca spiegare il senso di questa iniziativa, che non saremmo riusciti ad organizzare senza le tante sollecitazioni che abbiamo ricevuto in questi mesi da amici e compagni di diversa formazione politica, socialisti, socialdemocratici, laici e liberali, per dare avvio ad un nuovo percorso e ad un nuovo progetto. Ringrazio anche tanti che abbiamo avuto modo di sentire in questi giorni e che non hanno potuto per ragioni diverse essere qui.

Mi interessa sottolineare quindi che questa non è un’iniziativa di pochi promotori, ma il segno di tanti socialisti che dopo un quarto di secolo sentono il dovere di dare una risposta alternativa all’anomalia italiana.

Considero questo il punto di partenza del nostro ragionamento, la cornice entro cui chiarire il profilo politico di questo progetto: dare una risposta alternativa all’anomalia italiana che si è caratterizzata a sinistra, non solo con la progressiva cancellazione dei socialisti dalla scena politica, ma soprattutto dalla capacità con la quale il più grande partito della sinistra degli ultimi venticinque anni, dal Pds al Pd, ha saputo cancellare non solo il nome “socialista”, ma anche “la cosa e la sostanza”.
Ha cancellato il socialismo e quindi la sinistra è andata in difficoltà. Fino al punto non solo di avvallare ma anche di promuovere nel corso degli anni riforme di stampo liberista, profondamente contrastanti con in valori e le conquiste del socialismo e della sinistra.

E’ da questa amara constatazione e dall’analisi impietosa sulle tante riforme sbagliate degli ultimi decenni, e approvate con il consenso anche della sinistra, le tante riforme che sarebbero da cambiare, che possiamo e dobbiamo ripartire per ricostruire un’area socialista nuova, larga e unitaria, moderna, indipendente e distinta dall’attuale Pd, aperta a tutte le esperienze che i socialisti hanno fatto nei lunghi anni della Seconda repubblica. 
Un movimento politico nuovo, inclusivo e non diviso, aperto soprattutto alle giovani generazioni, ai tanti giovani che sono socialisti senza saperlo per dare alla cultura socialista una nuova rappresentanza politica e per cogliere oggi, subito, il punto di svolta che sta di fronte a noi, la grande nuova opportunità. Il sistema politico italiano non è finalmente più bipolare, la crisi economica mette in evidenza la giustezza delle battaglie storiche del socialismo, la questione internazionale ed europea richiede una nuova azione della sinistra.
Ma ritorniamo al punto, dobbiamo continuare a domandarci e a capire perché e da dove viene l’involuzione della sinistra italiana, che ha reso possibile la riforma costituzionale per fortuna bocciata dagli elettori il 4 dicembre, l’Italicum bocciato dalla Corte, il Jobs Act e le riforme del lavoro contro le quali 3.000.000 di italiani hanno raccolto le firme per indire un referendum abrogativo o la Buona Scuola contestata dagli insegnanti.

E capire per quali ragioni la cosiddetta sinistra abbia sposato molte cause liberiste, si sia fatta comandare da forze economiche e finanziarie esterne e abbia fatto, senza colpo ferire, prevalere la logica del mercato contro l’idea classica che l’economia debba avere nello Stato un soggetto regolatore, unica condizione per potere intervenire consapevolmente ed in modo equo nella ridistribuzione della ricchezza prodotta.
Si è aperta così nel Paese oltre alla questione economica e del lavoro, la grande questione democratica, che ci consegna prima di tutto una società non democratica, ma che è soprattutto non democratica nelle istituzioni, da quelle centrali a quelle locali, ai comuni per esempio, che non sono più la sede della democrazia dal basso, della partecipazione e della libertà.

Così come non è democratica nella politica, e nei partiti. Non lo è nella forma partito. Non è più democratica la gestione dei partiti che vorrebbero rappresentarla. Altroché come ha detto Renzi l’altro giorno: “chi spara contro il Pd indebolisce l’argine del sistema democratico”, semmai l’esatto contrario. Tutto ruota intorno ad una costruzione del consenso che fa rabbrividire e che viene prima di ogni altra cosa. Certamente prima degli interessi generali del Paese e di chi ha più bisogno. Una costruzione del consenso basata sulla minaccia e sulla paura della regressione, quello che abbiamo vissuto sulla pelle durante la campagna referendaria da parte del governo e dei sostenitori del Sì.
Vecchie teorie, una politica all’insegna del bullismo che fa ribollire idee nella vaghezza, tutto e il contrario di tutto, perché il capo, il leader deve disdegnare i programmi, è il più bravo di tutti per definizione, dei programmi non ha bisogno e non ha mandati di alcun genere da rispettare.
Come nei peggiori modelli autoritari dove la personalizzazione e l’identificazione del partito nella figura del leader fa sì che il leader non abbia alcun obbligo da rispettare.  Il leader è l’essenza carismatica del partito, quindi non può e non deve essere vincolato da nulla, né dal proprio partito, né da valori e principi. Questo virus che pensavamo tutto di destra, si è infilato nelle vene dei nostri partiti.
Per arrivare al punto centrale, quello più grave, il nodo dei nodi, sul quale nessuno sembra voler accendere una luce: il popolo della sinistra si sta inconsapevolmente saldando alla peggiore cultura della destra e mentre Renzi invita gli italiani ad essere “allegri e frementi”, gli italiani di sinistra, non per via istituzionale, non sulla base di accordi nazionali o locali tra sinistra e destra, non in nome di grandi coalizioni, ma nei comportamenti e persino nei sentimenti più profondi si associano a disvalori che non gli sono propri, a quelli dell’egoismo e dell’intolleranza. Sembrano infatti non funzionare i principi di cui erano portatori: giustizia, uguaglianza, solidarietà, dignità della persona, giustizia fiscale, stato di diritto, diritto al lavoro. Queste parole sembrano parole vecchie e c’è un popolo di sinistra che si avvicina e potrebbe votare Lega o M5S, favorendo la nascita di un governo della destra.

Di chi la responsabilità? Lo dico con molta serenità ai compagni del Pd, quando le “ditte” falliscono bisogna farne delle altre.

Le crisi vere non si risolvono con operazioni di facciata o con complicati tecnicismi. Quindi cambiamo passo e tutti siano disponibili a fra rinascere la sinistra su basi nuove. Ma ad una condizione, tutti devono partire alla pari e nessuno è in lista di attesa, ma nella consapevolezza che senza il socialismo, che è cosa ben diversa dai socialisti, una sinistra credibile non rinasce.

Noi ci impegniamo a metterci in movimento per interloquire con tutte le forze della sinistra democratica e riformista, per costruire una fase nuova della sinistra italiana coprendo uno spazio che si è aperto con la frantumazione, scomposizione e ricomposizione della sinistra.

Il bipolarismo è finito è questo è un bene. Dovrebbero saperlo anche coloro che con una certa ingenuità, mi riferisco anche all’amico Pisapia, invocano la riedizione di un centrosinistra unito. Ma quale centrosinistra, anche con Renzi?

Sarebbe un centrosinistra senza visione del Paese, una sorta di assemblea condominiale, senza rendersi conto che il Mattarellum, l’Ulivo, quello che consentì l’alleanza da Dini a Bertinotti, o da Mastella a Turigliatto, non c’è più.

Anche per questo è arrivato il momento perché tutti i socialisti incomincino a fare altro, a mettersi in gioco con generosità, senza egoismi, senza frenesia e senza pensare solo ad occupare posti.
Come ha detto Nicola Cariglia in un articolo che ci ha inviato per l’occasione di oggi, di fronte ad un processo di forte inquietudine “bisogna guardare avanti senza più recriminare” costruire un’area politica che sa interloquire con tutti e che può dare un grande contribuito ad una nuova sinistra socialista e liberale.

Dobbiamo operare nel concreto così come abbiamo fatto quando ci siamo trovati davanti il referendum costituzionale.
Abbiamo dato vita ai Comitati socialisti per il No in tutta Italia, abbiamo girato il Paese in lungo e in largo, abbiamo ritrovato vecchi compagni, non abbiamo chiesto che tessera avessero in tasca e per la verità la maggioranza di loro non ne aveva in tasca nessuna. Abbiamo incontrato tanti giovani, quelli che il 4 dicembre sono stati decisivi per far prevalere la bilancia a favore del No.

E con i tanti socialisti senza saperlo, così come con i compagni più anziani, ci siamo ritrovati uniti, non sulla nostra storia o sui nostri ricordi, ma su una battaglia politica concreta.
Così dobbiamo continuare, individuando battaglie concrete e iniziative da condurre insieme.

Dall’esperienza dei Comitati socialisti per il No, che nei mesi scorsi abbiamo deciso di non abbandonare, siamo arrivati all’assemblea di oggi, che è l’assemblea di tutti coloro che ci stanno e ci credono e che hanno deciso di mettere tutte le loro energie dentro questo progetto.

Dovremmo concludere questa assemblea con un appello che si rivolge a tutti i socialisti, laici e liberali, delle più diverse appartenenze, ma anche a coloro che ritengono di dover rimanere nelle loro “case”, associazioni, partiti e circoli, e non intendono abbandonarle, ed anche a tutti coloro che hanno intenzione di iniziare con noi un percorso nuovo per fare insieme “cose” nuove.

Dobbiamo farlo oggi, perché le condizioni sono favorevoli oggi. Per senso del dovere, non solo per noi stessi e per i tanti nostri compagni chiusi da anni nella propria autoreferenzialità, ma per dare ai socialisti un ruolo nuovo nella politica e nella società italiana.

Non un partito, ma un movimento di iniziativa politica, che, con un Comitato promotore nazionale, sappia organizzarsi soprattutto a livello locale, su tutto il territorio nazionale in Comitati regionali, provinciali e municipali, sede dell’iniziativa politica dei socialisti a livello locale.

Naturalmente ci saranno da affrontare anche le elezioni, e un vero movimento politico non esiste se non sa mettersi alla prova anche dal punto vista elettorale. Per questo bisogna costruire le condizioni perché i socialisti ritornino a partecipare con la propria identità alle competizioni elettorali nazionale e locale.
Vi propongo di dare mandato al Comitato promotore nazionale di insediare al più presto due commissioni, la prima con il compito di affrontare gli aspetti organizzativi del movimento compreso la scelta del nome e di un eventuale simbolo da presentare alle prossime elezioni, la seconda con il compito di organizzare momenti di approfondimento, non per fare un programma di 250 pagine come quello di Romano Prodi, ma per individuare le due o tre battaglie sulle quali i socialisti decidono di impegnarsi concretamente. 
Due battaglie sono già di fronte a noi, la prima riguarda la grande questione del lavoro. Il nostro primo impegno è quello contro il Jobs Act per sostenere i referendum promossi dalla CGIL. Inoltre ci dobbiamo impegnare ad appoggiare la Petizione nazionale per restituire la sovranità agli elettori, per garantire l’approvazione da parte del Parlamento di una legge elettorale di tipo proporzionale che escluda ogni forma di premio maggioritario, che abolisca i capolista bloccati e le candidature multiple.
Quindi la proposta di oggi è un movimento con un forte ancoraggio ai nostri principi e ai nostri valori, che può rappresentare un fatto importante per tutta la sinistra. Non è un’iniziativa che dobbiamo vivere nell’isolamento e men che meno nel solco della storia passata. Il nostro compito è portare alla luce oggi il bisogno di socialismo prima ancora che il bisogno dei socialisti.

Roberto Biscardini

Uno strano Paese, di Angelo Sollazzo

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Le analisi del voto sono proprio una coperta corta che ognuno tira dalla sua parte.
Renzi si attribuisce arbitrariamente il 40% del SI. Tutta roba mia,si diceva una volta. Altra furbata. Ma la sberla ricevuta non gli è bastata.

Con il SI si sono schierate le armate al completo della Confindustria, con le migliaia di aziende associate, la CISL con tre milioni di iscritti,la Coldiretti con un milione e passa di iscritti, l’Unione Bancaria e tutte le banche grandi e piccole,la FIAT, con quello che rappresenta ancora in Italia, quasi tutte le associazioni professionali, tutti i canali televisivi RAI e Mediaset, quasi tutta la grande stampa, il sistema finanziario italiano e straniero, JP Morgan, Goldman Sachs, l’Unione Europea, Obama e gli Stati Uniti, la Gran Bretagna,con capofila Tony Blair etc.

Tutti amorevolmente uniti per trarre vantaggio dalla riduzione di democrazia in Italia che il Referendum proponeva.

Tutti renziani? Tutti del PD? Ma non scherziamo.

Sul Fronte del NO si assegnano la vittoria da una parte la Lega e dall’altra il movimento 5Stelle.
Per carità hanno fatto la loro parte, ma dimenticano i loro stessi numeri (10% e 25%). Ed il resto? Si dimentica l’oltre l’80% dei giovani, il Sud dove il NO ha stravinto e certamente non vota Lega, i disoccupati, gli sfruttati dai vouchers, gli otto milioni di poveri, i costituzionalisti più preparati, la sinistra storica e quella giovane che dopo anni è tornata al voto, dopo aver disertato le urne, per difendere la Costituzione, facendo tornare la percentuale dei votanti al 70%.Certo i 5Stelle hanno buone ragioni da far valere e rappresentano istanze che i partiti tradizionali hanno trascurato, ma fino a quando i candidati a governare confondono il Venezuela con il Cile, Fidel Castro con Chavez, o dicono che il Kenia sia una medicina, allora proprio non ci siamo. C’è ancora bisogno di cultura.

Il fronte del NO non vuole e non deve essere una coalizione di governo.

Anche per il Divorzio avevamo per il NO dai fascisti ai comunisti estremisti.
Una domanda semplice pochi la fanno. Tu, Renzi, chiedi al popolo, vuoi non contare più nella scelta dei parlamentari, poiché con l’Italicum e trucco annesso dei capilista, i deputati li scelgo in stragrande maggioranza io, i senatori, controllando 17 Regioni su 20, li scelgo sempre io, con consiglieri regionali e sindaci che mi sono fedeli ed il tuo voto non vale un tubo? Ed il popolo ha risposto come doveva con una valanga di NO. Altra domandina. vuoi che risparmiamo solo 24 milioni,senza considerare diarie e trasferte, non abolendo il Senato, ma facendolo a mia somiglianza, ed in contemporanea spendo 170 milioni per l’acquisto del nuovo aereo presidenziale e 10 milioni per i miei consulenti fiorentini, mettendo, anche, a capo dell’Ufficio Legislativo un vigile urbano della mia città?

Ecco senza approfondire troppo,e bisognerebbe farlo, la risposta c’è stata a domande facili.
Occorre ritornare alla politica,alle culture politiche,alla preparazione politica. Le scorciatoie portano solo disastri.

La furbizia viene sempre battuta dall’intelligenza.

Angelo Sollazzo

Dopo il successo del NO al referendum del 4 dicembre

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LOGO COMITATO SOCIALISTA PER IL NO

Care compagne e cari compagni,

i socialisti che in questa lunga campagna referendaria hanno sostenuto le ragioni del No dando vita ad un proprio Comitato ringraziano tutti coloro che fin dalle prime ore hanno accolto il nostro appello, hanno fatto proprio il senso di una battaglia democratica figlia della nostra storia e della nostra cultura riformista e con un impegno e una passione, che sono andati ben oltre ogni migliore aspettativa, hanno contribuito a conseguire questo straordinario risultato di popolo.

Abbiamo così, tutti insieme, difeso la nostra identità e costruito le condizione per allargare la nostra comunità, reagendo all’arroganza e alle intimidazioni di chi voleva ingessare l’iniziativa socialista nel disegno autocratico di Matteo Renzi.

Come la maggioranza degli italiani, cosi la maggioranza dei socialisti si è ribellata e ha prodotto una “valanga di No” per difendere il proprio diritto di voto, lo spirito democratico della Costituzione, contestando sia il merito che il significato politico della proposta del governo.

Con il nostro Comitato abbiamo costruito rapporti nuovi con tanti socialisti dispersi, giovani e anziani, quelli che potranno consentire presto la rinascita di un Psi su base nuove, quelle del No, e contemporaneamente promuovere la riorganizzazione di un’area socialista larga, partendo dalla vecchia convinzione che non c’è sinistra senza una sinistra socialista riconoscibile.

I socialisti del No hanno potuto intercettare in questi mesi le speranze e il sentimento della maggioranza del popolo italiano, e dei giovani in particolare, quelli che aldilà dei partiti e delle logiche di schieramento hanno fatto una scelta di campo per difendere il potere della propria sovranità e aprendo una strada di profondo cambiamento rispetto all’involuzione politica che l’Italia ha conosciuto in questi ultimi vent’anni.

Come accadde nel ’74 con il referendum del divorzio, gli italiani hanno espresso con il NO il bisogno di un grande cambiamento politico e sociale, hanno voluto fermare un processo di continua degenerazione, hanno dato un segnale preciso, che non assolve né la politica né le istituzioni, ma rivendica una politica nuova.

Spetta quindi adesso anche a noi socialisti del No non interrompere il percorso e come avevamo annunciato prima del voto andare avanti, non disperdendo le energie che abbiamo messo in campo, ben sapendo che le forze sconfitte, sia interne che esterne al paese, non si fermeranno davanti alla battuta d’arresto che hanno subito il 4 dicembre.

Per questo dobbiamo presto moltiplicare le occasioni di incontro sia a livello nazionale che a livello locale. e presto convocheremo una riunione per una valutazione collettiva del voto e delle sue conseguenze.

Come socialisti per il No parteciperemo ad ogni manifestazione e confronto con tutti coloro che hanno vissuto la grande esperienza del No con altre sigle e altri comitati e con le forze riformiste della sinistra che hanno sostenuto il No dobbiamo sentirci impegnati a costruire un progetto politico duraturo.

Da subito possiamo individuare tre obbiettivi.

La battaglia contro l’Italicum, per seppellire ogni ulteriore tentativo di ripristino di leggi maggioritarie e contemporaneamente incostituzionali, facendo la nostra parte perché il Parlamento, libero dai condizionamenti del Governo e forte del consenso polare, approvi una legge elettorale rappresentativa del popolo, quindi proporzionale, per sostituire un parlamento di nominati con un parlamento di deputati e senatori eletti direttamente dai cittadini.

Dobbiamo saper cogliere dal voto referendario il senso profondo della riscoperta dell’amore popolare per la democrazia, da allargare alla partecipazione dei cittadini e non da restringere; dobbiamo saper cogliere il grido d’insoddisfazione che si é levato con il voto referendario che ha sottolineato quanto siano aumentate le diseguaglianze tanto nel nord industrializzato come nel sud del nostro paese; quanto sia aumentato il numero dei poveri e dei disoccupati giovani e non e il conseguente disagio sociale della popolazione. Un impegno che può essere favorito dall’approfondimento e dalla conoscenza della storia e delle esperienza del movimento socialista italiano.

Infine contribuire a riorganizzare con tutti coloro che ci stanno un’area larga della sinistra socialista italiana capace di essere influente nelle scelte di politica economica e internazionale, con un progetto chiaro di riforma per uno Stato più giusto, garante di diritti sociali uguali per tutti e di libertà, con l’obiettivo primario di dare una risposta di governo convincente ai nuovi e vecchi problemi del paese. Un’area socialista larga in grado di affrontare le prossime scadenze elettorali ed avere una significativa ed autonoma rappresentanza parlamentare.