Socialismo

La grande truffa del taglio dei parlamentari. di Nicolino Corrado

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Nicolino Corrado (2)

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Alla fine, il 20 settembre andremo a votare per il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari. Catalizzando decenni di lamentele da bar e di fantasie della gente comune sulla bella vita degli onorevoli, il Movimento 5 stelle, accozzaglia eterodiretta nell’ombra da una società, è riuscito a portare all’ultimo miglio la sua proposta di svalorizzazione delle istituzioni rappresentative della repubblica. Nel farlo non ha incontrato nessuna opposizione; anzi, ha avuto l’appoggio opportunistico delle altre forze parlamentari, anche di quelle, come il PD, che, in base alla passata difesa della “centralità del parlamento”, avrebbero potuto organizzare un decisa opposizione al delirio pentastellato, ma che per viltà, per opportunismo, per timore di perdere voti, si sono accodate a questa grande truffa ai danni del popolo italiano. 

Non apparteniamo alla schiera dei difensori ad oltranza della “Costituzione più bella del mondo” (Roberto Benigni dixit), anzi, ci rendiamo conto da decenni che essa necessita di aggiustamenti nella parte relativa ai pubblici poteri, per adeguarli ad una società civile che non è più quella uscita dalla macerie della seconda guerra mondiale. Ma siamo consapevoli, altresì, che nel procedere a queste riforme, occorre avere la consapevolezza che una costituzione è un organismo vivente, che ha un proprio equilibrio, che modificando una sua parte si producono conseguenze sul tutto. Una costituzione liberaldemocratica, qual è la nostra, vive di un equilibrio delicato all’interno dei suoi organi e tra i suoi organi, di pesi e contrappesi, di “checks and balances”.

Invece, l’iniziativa dei pentastellati e dei loro compagni di strada interviene con un taglio di spada sulle rappresentanza delle due camere in nome dei risparmi di spesa e dell’efficienza che si raggiungerebbero, non ponendosi alcuna domanda sui contraccolpi determinati dalla riduzione dei parlamentari sulle procedure parlamentari e sulle rappresentanze dei territori, indice questo di una mentalità semplicistica e demagogica, della ventata antipolitica che svaluta il parlamento al posto del quale meglio farebbero – nelle varie tendenze – o il Presidente della Repubblica o il partito o i capigruppo parlamentari in veste di consiglio d’amministrazione.

Il governo in carica, abbinando il referendum con elezioni amministrative in alcune regioni e comuni ha da parte sua, ha dato la propria dimostrazione di svalorizzazione del referendum, perchè la campagna elettorale in tali realtà sarà monopolizzata da partiti e candidati. Ci sarà una distorsione dell’afflusso al voto: grazie all’effetto traino, i votanti al referendum saranno più numerosi dove si svolgono le elezioni amministrative.

Venendo al merito del referendum, il taglio di 215 deputati su 630 e di 115 senatori su 315 (circa il 36% del totale) sembrerebbe vantaggioso economicamente (una tazzina di caffè al giorno per ogni contribuente!), ma non essendo compreso in progetto di riforma più organico di riforma, lungi dal rendere più efficienti le Camere, si rivela una vera sciagura per il funzionamento delle funzioni di indirizzo e di controllo e del procedimento legislativo.

Territori di una certa vastità avrebbero pochi rappresentanti parlamentari, in altri si avrebbe una rappresentanza maggioritaria di fatto, elevando cosi in modo contradittorio la soglia della rappresentanza in un periodo di crisi della rappresentanza, a causa della riduzione del numero dei parlamentari i gruppi parlamentari piu piccoli non potrebbero esprimere rappresentanti  in tutte le commissioni in cui (in sede legiferante) vengono approvate la maggior parte delle leggi.

I propugnatori del taglio, inoltre, sono tutti responsabili maggiori del fondamentale fattore di debolezza e perdita di prestigio del Parlamento: non la quantità, ma la scarsa qualità dei suoi membri. L’esorbitante numero di leggi elettorali sfornate dopo la caduta della prima repubblica ha prodotto un ceto parlamentare di nominati dai vertici di partiti, i quali non sono più i luoghi di selezione e le scuole di politica di una volta, ma entità oligarchiche o proprietà di un solo leader (ed a tale definizione non sfuggono i movimenti populisti paladini del “nuovo”): risultato, un  personale politico impreparato che spesso non ha alcuna esperienza politica o amministrativa, che produce leggi e, perfino, dichiarazioni e interviste alla stampa di scarsa qualità.

Il problema del Parlamento italiano non è il numero dei suoi membri, ma (come per altri organi costituzionali) il costo complessivo delle istituzioni Camera e Senato (spese generali e personale). Per i parlamentari il problema è rappresentato dal basso livello della loro qualità: per risolverlo sarebbero necessari partiti politici regolati per legge, in grado di selezionare e proporre all’elettorato candidati in possesso di quella qualità politica che gli attuali onorevoli non hanno.

Quindi, il 20 e 21 settembre alle urne, a respingere con un NO socialista e riformista la grande truffa del taglio dei parlamentari!

Nicolino Corrado

Articolo pubblicato al link:

https://www.socialismoitaliano1892.it/2020/08/25/la-grande-truffa-del-taglio-dei-parlamentari/?fbclid=IwAR2MeoCUA0CC_Bh3fIlS8K3vzw3qX3HEl03_zuvLhW6oWkWtxY1QVTC-wdg

Le ragioni del NO. di Alberto Benzoni

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Alberto Benzoni

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Manca meno di un mese all’appuntamento referendario. Ma non ci sono ancora i relativi cartelloni; e questo perché ci sono dei partiti che non sanno ancora cosa scriverci sopra: sì, no, forse o magari fate voi. E magari dei partiti che hanno votato più e più volte sì alla proposta di riduzione del numero dei parlamentari.
Una scelta dettata, evidentemente, non da un reale convincimento ma, insieme, da calcoli e da viltà. Si chinava il capo di fronte ad un vento populista che sembrava irresistibile; oggi questo vento ha perso la sua intensità e allora si ricomincia a fare dei calcoli.
Noi socialisti con o senza tessera rimaniamo invece fermi nella nostra opinione.
Votiamo no per difendere l’onore e il ruolo dei parlamentari, costretti al voto favorevole da un sistema politico ed elettorale che ha reso il parlamento un parlamento di nominati.
Votiamo no perché la politica e la stessa democrazia non sono un costo ma uno strumento essenziale per la collettività nazionale.
Votiamo no per difendere il ruolo essenziale del parlamento come limite e controllo alle pretese del potere; e perché l’esercizio della riflessione e del dibattito produce leggi migliori.
E votiamo, infine, per noi stessi, come cittadini perché la capacità e la stessa dignità dei nostri rappresentanti dipenderà anche dal recupero della nostra possibilità di sceglierli. e perché il pieno esercizio dei diritti democratica è il miglior antidoto all’attesa passiva dell’ennesimo salvatore della patria.

Alberto Benzoni

Votare NO. di Alberto Angeli

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Chi contro all’opinione d’altri ha predetto il successo di una cosa nel modo che poi segue, non si pensi che i suoi contraddittori, veduto il fatto, gli dieno ragione, e lo chiamino più savio o più intendente di loro: perché o negheranno il fatto, o la predizione, o allegheranno che questa e quello differiscano nelle circostanze, o in qualunque modo troveranno cause per le quali si sforzeranno di persuadere a se stessi e agli altri che l’opinione loro fu retta, e la contraria torta”.  (Leopardi – Pensieri ). Dunque, nessun accordo tra PD e i 5stelle sul voto del 20 e 21 settembre, che interesserà circa 18 milioni di votanti e 7 regioni, oltre a 2000 votazioni di enti locali. Chi aveva avanzato una previsione ( magari ricorrendo al principio di falsificabilità della predizione scientifica ricorrendo a Popper ) “ ha predetto il successo di una cosa” che sarà negata da altri, sicuramente dai 5stelle, i quali si potranno rifare con il successo che pronosticano di poter conseguire con la conferma del taglio dei parlamentari. Questo risultato negativo si aggiunge agli altri insuccessi politici che il PD, soprattutto Zingaretti, avrà annotato nel suo blocco notes, la cui lista comincia ad essere di notevole peso, alla quale potrebbe aggiungersi il risultato elettorale del 20/21 settembre e, senza una sua pronta e decisa reazione, anche quello del referendum sul taglio dei parlamentari.

L’inganno è stato atroce. Il voto dei 5stelle su alleanze e mandato, cui è seguita l’amletica risposta di Di Maio, è stato come il canto delle Sirene per Zingaretti, confortato poi dall’intervento di Conte, che ha caldeggiato il sogno di un’alleanza PD 5stelle, almeno in questo presente, per poter gestire lui i prossimi importanti passaggi fino alla elezione del nuovo capo dello Stato, cioè alle soglie del 2022. Ora, per il PD, è il momento di svegliarsi e prendere coscienza che solo ritornando nella realtà della storia, della sua origine, può arginare la deriva caotica e pericolosa per la democrazia, che si prospetta nel caso prevalga, magari per pochi voti, la linea dei 5stella sul taglio dei parlamentari.  Infatti, ormai dovrebbe essere chiaro che la tagliola autoritaria sulla quale si voterà il 20/21 settembre, serve ai 5stelle per obiettivi incompatibili con la democrazia e con una visione dello stato fondato sul mandato parlamentare ( non populista ) e fermamente ancorato ai principi costituzionali quale unica garanzia per uno svolgimento ordinato e autorevole del potere rappresentativo.

In questo convulso momento i socialisti, e ciò che rimane della sinistra e del liberalismo democratico, sono gli unici ad organizzare una resistenza contro il tentativo di trasformare ( non riformare ) la nostra democrazia e il sistema parlamentare, attivandosi nei modi che le difficoltà organizzative e scarsità dei mezzi informativi concedono loro per richiamare l’attenzione dei cittadini a votare NO al referendum. L’affermazione del NO annichilirebbe il disegno dei 5stelle e concederebbe alla sinistra una nuova possibilità di ricostruire un fronte di lavoro e riorganizzare la sua presenza nel difficile processo politico che segnerà il presente e il futuro del nostro paese. Solo la sinistra, allora, riacquistata la sua funzione, potrà dare corso alle riforme di cui tutti avvertiamo la necessità: istituzionali, mercato del lavoro, ambiente, clima, formazione, sanità, ricerca, welfare, previdenza, e lotta per il superamento delle disuguaglianze e le discriminazioni di genere, di razza e di religione.

Ecco, votare NO il 20 e il 21 può determinare questi cambiamenti. Lavoriamo per un successo di questa linea e per sconfiggere la destra e il disegno di trasformazione del nostro sistema democratico.

 

Alberto Angeli

Facciamo del Referendum sul taglio dei Parlamentari un’occasione per sconfiggere Conte e i 5stelle. di Alberto Angeli

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Alberto Angeli 2

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Una ricerca sulle teorie della Personalità, condotta con pazienza e ridotta ad una sintesi del pensiero psichico/comportamentale, ci porta ad assimilare quella del nostro Primo Ministro alle più dotte descrizioni   che la scienza ha potuto produrre su questa materia. Una personalità di rilievo, quella di Conte, il quale, dopo l’esito positivo del vertice in cui è stato deciso il quantum del Recovery Fund, ci ha donato un saggio emblematico della sua indole vanitosa e opportunistica, annunciando che sarà lui a gestire questo aiuto dell’Europa, ( come altre partite importanti: controllo dei servizi segreti, le telecomunicazioni e la fibra, immigrazione e tante altre ) limitando il ruolo del Parlamento e delimitando quello dei partiti che lo sostengono. Allora è un fenomeno, si dovrebbe essere indotti ad esclamare: niente affatto, è solo un furbo che profitta della pigrizia del PD ad imporre ai 5stelle il rispetto degli accordi, almeno di quei punti che dovevano giustificare ( e qualificare ) l’intesa di Governo ed evidenziarne la discontinuità con il Conte uno. Che dilemma, per il PD, e quale frustrazione scoprire quale sia il vero obiettivo di Conte: superare e vincere il referendum sulla riduzione dei parlamentari, e su questa vittoria costruire la sua possibile candidatura alla Presidenza della Repubblica. Non solo quindi l’accordo su cui si è costruita questa maggioranza  non vedrà realizzarsi almeno una delle richieste del PD, ma questo partito non potrà neppure pensare o mettere in atto una crisi di governo, per non assumersi la responsabilità della catastrofe sociale e economica che si abbatterebbe sul Paese se la pandemia dovesse riesplodere nei termini vissuti.

E tuttavia il PD potrebbe trovare una via d’uscita rivedendo la sua posizione sul referendum, poiché la riforma elettorale, con il sistema  proporzionale, fatica a trovare l’accordo della maggioranza. Magari lasciando ai propri iscritti e simpatizzanti la libertà di esprimersi il 20 e 21 settembre, sperando che la riforma sia sonoramente bocciata.  Un tale risultato rimetterebbe in gioco il PD e spingerebbe i 5stelle ad una crisi di identità, avendo perso quella che dagli stessi pentestellati è considerata, per antonomasia, la più qualificante e importante, appunto perché un diretto attacco alla democrazia parlamentare costruita dopo la sconfitta del fascismo. E anche Conte sarebbe indotto a rivedere i suoi obiettivi, poiché si determinerebbe, inevitabilmente, una crisi di governo voluta dai 5stelle come reazione alla sconfitta e al giusto comportamento del PD, doverosamente chiamato dalla realtà a collocarsi dalla parte della democrazia.  Questo si prospetta come l’unico percorso per bloccare una personalità pericolosa per le sorti del Paese e per recuperare il PD a rientrare nelle file delle forze progressiste e riformiste, e riportare nella normalità il confronto politico. Un’occasione, quella del referendum, per sconfiggere il disegno dei 5stelle e di Conte, da non perdere e sulla quale richiamare il PD a riflettere e decidere per il bene del paese.

D’altro canto, se pensiamo che non esiste una sinistra strutturata, organizzata, articolata sul territorio, tenuta insieme da un’idea, un pensiero, un obiettivo sul futuro del nostro Paese, il suo orizzonte assolutistico non ha limiti. E questo deve impensierire tutti, tutti quelli che con preoccupazione vivono le quotidiane difficoltà di questo lungo periodo di crisi covid-economica: chi non ha lavoro ma tanta miseria, i giovani senza futuro, le preoccupazioni di milioni di famiglie sull’imminente anno scolastico su cui pesa l’incognita della pandemia, gli anziani sui quali Thanatòs, Cavaliere dell’apocalisse, ha già esercitato la sua violenza e gli esclusi. E poi, i grandi problemi del momento: ambiente, clima, immigrazione, terrorismo, guerra e conflitti tra Paesi e all’interno degli stessi, e tutto ai nostri confini, generati dallo scontro tra fazioni e gruppi di potere di varia natura religiosa, dietro la regia di Stati non proprio disinteressati.  Ma allora, è vero, solo un Dio può salvarci?  ( Martin Heidegger). Oppure, bisogna guardare altrove: “Voi , uomini superiori , imparate questo da me : sul mercato nessuno crede a uomini superiori . E, se volete parlare lì , sia pure ! Ma la plebe dirà ammiccando : << Noi siamo tutti uguali , l’ uomo é uomo ; davanti a Dio siamo tutti uguali ! >> . Davanti a Dio ! Ma questo Dio é morto . Davanti alla plebe, però , noi non vogliamo essere uguali. Uomini superiori , fuggite il mercato ! “ ( Nietzsche , Così parlò Zarathustra )

Alberto Angeli

Basta con le bugie, tornare alla ragione. La scelta socialista per l’Italia del futuro, di Angelo Sollazzo

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Angelo Aran

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Il tracollo della politica iniziò con Berlusconi, con il suo movimento di rampanti ed attricette, con i suoi ristoranti pieni e con menzogne a piene mani, promettendo agli italiani di arricchirli tutti come lui.
Ma tutta la seconda repubblica è stata attraversata da personaggi in cerca di autore , populisti di basso ordine, arruffoni e dilettanti. Nascevano e morivano sigle senza alcuna cultura politica di riferimento, si annunciavano rivoluzioni, secessioni e miracoli liberisti che sono svaniti nel corso di qualche anno.

Dopo il binomio Berlusconi e Bossi, arrivavano altri due campioni del populismo a basso costo, Renzi e Grillo, le due facce della stessa medaglia. Se i nuovi personaggi avessero dimostrato sul campo capacità politiche, impegno concreto e risultati evidenti, tutti avevamo il dovere di applaudirli e riconoscere le loro qualità.

Purtroppo al dilettantismo evidente hanno aggiunto tracotanza, presunzione e cattiveria che ormai tutti hanno individuato e condannato.

Renzi spregiudicato all’inverosimile, mentitore seriale, ha inanellato una sfilza di sconfitte e dopo averci assicurato l’abbandono dalla politica, ritorna in campo sparandole più grosse di prima. Un’etica comportamentale di politici veri, comporterebbe le dimissioni dopo tante e tali sconfitte, invece nulla, si fa finta di niente e si addossano tutte le colpe della grave situazione a chi c’era prima. Ora acclarato che i suoi predecessori non hanno certo brillato per le loro qualità politiche, Renzi ha guidato uno dei governi più longevi della storia repubblicana, mille giorni al comando quando notoriamente nel nostro Paese non si riesce a resistere più di un anno. Ora o siamo di fronte ad una bella dose di faccia tosta, oppure ci troviamo nel settore della neuro-psichiatria. E non si può neanche dire che il Governo era sostenuto da numeri ballerini, vista la consistenza della maggioranza parlamentare. La verità è che il Nostro, pieno di se e dall’alto della sua presunzione, ha voluto sfidare gli italiani impegnandosi per oltre un anno a promuovere una riforma costituzionale bislenca, a proporre provvedimenti a favore dei suoi amici bancari ed industriali, e ad elargire mance elettorali che invece di sostenere l’economia l’hanno depressa.
Per non parlare degli scandali e delle inchieste giudiziarie di fronte alle quali i reati della prima repubblica impallidiscono e da considerare furti di merendine.
Non una sola delle pseudo-riforme e degli interventi di Renzi hanno funzionato, dal JobsAct, alla Buona Scuola, alla Pubblica Amministrazione, alla RAI, alla Ricostruzione post-terremoto, agli impianti petroliferi in Lucania, al sistema bancario , insomma una serie di disastri.
Ora il PD sta versando in una crisi profonda, ha subito una chiara mutazione genetica ed i sondaggi lo portano ad oscillare intero al 25%. E’ il capolavoro renziano.
Parlare del Movimento Cinque Stelle fa tenerezza. Grillo dopo che nella sua naturale veste di comico, spaccava i computers sui palcoscenici, responsabili di travisare le idee dei giovani, oggi ritiene che la Rete rappresenti l’unica verità assoluta e forma avanzata di democrazia.
Bisognerebbe parlarne con i circa venti milioni di italiani, non più giovani, che di internet pronunciano solo il nome , ovvero a coloro che abitano in montagna, nei borghi sperduti dove il segnale neanche arriva. La democrazia è partecipazione di tutti e non di parte della popolazione.
Per correttezza occorre rilevare che molte delle proteste del movimento hanno un certo senso di verità. Le loro denunce sono spesso vere non campate in aria. Ma tutto si ferma qui. Quando si passa dalla protesta alla proposta il meccanismo grillino s’incaglia. Certamente occorreva dar tempo ai nuovi arrivati della politica, di prepararsi, di conoscere, di studiare, ma dopo circa cinque anni dilettanti erano e tali sono restati.
Sarà complicato indicare un Capo del Governo che sbaglia i congiuntivi, e confonde il Cile con il Venezuela, ovvero il candidato Ministro degli Esteri che chiede i vaccini gratuiti che lo sono sempre stati. Per non parlare del disastro nella gestione delle Amministrazioni locali, che, accantonati gli aspetti giudiziari, mostrano chiaramente la loro inadeguatezza. Raggi a Roma e Appendino a Torino non sono in grado di dirigere grandi città. Dilettanti allo sbaraglio.
Il PD azzoppato, collocato in una posizione di centro-destra, che attua il programma berlusconiano, nulla ha più a che fare con la sinistra del nostro Paese. Bisognerà che qualcuno lo dica anche al PSE , che non pare l’abbiano capito.
Nel passato circa venti milioni di italiani votavano a sinistra, comunisti, socialisti, formazioni di sinistra varie. Sono tutti morti? Non lo si ritiene possibile visto che circa la metà della popolazione si astiene dal voto. Non votano più Renzi dopo le cocenti delusioni, non votano certamente Cinque Stelle che sono piuttosto da ascrivere a posizioni di destra. Allora a sinistra qualcosa non funziona.
Dopo l’eclatante risultato del Referendum, a cui i Comitati Socialisti per il NO diedero un contributo importante, sembrava che si muovessero nel Paese gruppi e partiti che avevano veramente a cuore la ricostruzione di un tessuto politico di sinistra. Vennero convocate e tenute iniziative pubbliche di rilievo, al Brancaccio, a Piazza Santi Apostoli e per i Socialisti alla Bonus Pastor. Una sola invocazione: tutti insieme per una lista unitaria della sinistra alle Elezioni. Ciò anche in previsione di una legge elettorale proporzionale. Convergenze, adesioni, manifestazioni in tutta Italia. Poi il meccanismo si inceppa. Qualcuno si dice più bravo dell’altro, la rete moderata non accetta le fughe in avanti di quella estrema, si litiga sul leader futuro ed anche su chi deve essere citato o deve parlare nelle manifestazioni. La presunzione e l’arroganza lasciamole a Renzi. Serve da parte di tutti una buona dose di umiltà.

Vecchio vizio della sinistra che si divide prima ancora di unirsi. Una cosa è certa, non si può essere assenti dalla tenzone elettorale, ognuno deve essere disponibile a fare qualche passo indietro senza sentirsi menomato, nessuno deve ritenersi unto dal signore e pretendere ruoli che si guadagnano sul campo. In Italia vi è una forte domanda politica di sinistra, purtroppo manca l’offerta. Allora facciamo uno sforzo tutti insieme, nessuno deve restare indietro , tutti devono poter giocare in serie A, e solo dopo scopriremo il vero goleador.

I socialisti non possono che giocare in tale squadra e fare la stessa partita. Non esiste un Partito che si chiama socialista e che può avallare le scelte scellerate del renzismo. Sarebbe una contraddizione in termini. Per questo motivo nasce Socialisti in Movimento, un’Associazione e non un Partito, a cui hanno aderito parte significativa degli iscritti al PSI e tantissimi militanti sfiduciati ed allontanatisi nel passato. L’Unità dei Socialisti si può raggiungere su un terreno squisitamente politico. Chiara collocazione a sinistra, presa di distanza da Renzi e dal renzismo, ritorno ai fondamentali del Socialismo per riprendere la lotta in difesa dei ceti meno abbienti e dei lavoratori. Il nuovissimo renziano non ci appartiene, rifare la democrazia cristiana riveduta e peggiorata non è cosa nostra, il socialismo rappresenta l’ideale più alto della storia dell’umanità, oggi ritorna ad essere moderno ed attuale di fronte ai fallimenti dei rottamatori nuovisti che sono sulla strada del tramonto. Quando si fa politica solo per garantirsi il seggio per se o per i suoi amici, prima o poi si viene travolti. Senza ideali non si può fare politica. Per un quarto di secolo gli ideali e le culture politiche erano state accantonate. Oggi la cultura socialista, dopo il fallimento delle altre, è l’unica in grado di dare risposte concrete alla crisi che attanaglia il Paese. Insieme si, ma con una linea politica chiara, con democrazia interna e trasparenza nei comportamenti.

Gli egoismi e le furbizie non pagano più, è superfluo rinvangare gli errori fatti dalle dirigenze nel recente passato. Riflettiamo insieme per tornare insieme.

Angelo Sollazzo

Socialisti in Movimento, di Alberto Angeli

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Il confronto che si è aperto tra i sostenitori dell’area culturale “Socialisti in movimento”, con l’intento di ridefinire identità e ruolo del socialismo, si svolge in un momento in cui la crisi sociale, politica e economica ha raggiunto livelli di seria preoccupazione per la tenuta del sistema. Per dirla con Bauman : “le politiche neoliberiste degli ultimi vent’anni hanno posto le condizioni per lo sgretolamento del tessuto sociale, esaltando la libertà dell’individuo a scapito della dimensione collettiva. Ma una simile libertà, basata sull’assenza di limiti, sul disinteresse al bene comune e sul conformismo, è in realtà illusoria per la sua sudditanza ai modelli e ai consumi imposti dal mercato, e ha come conseguenza l’aumento dell’impotenza collettiva e la paralisi della politica, diventata sempre più locale e insignificante”.

Da qui prende corpo la sfiducia e il senso di solitudine e di precarietà che spinge il cittadino ad una sorta di rivolta contro il sistema, di cui denuncia con rabbia l’incapacità a mettere in atto i necessari meccanismi di protezione dalla crisi economica vissuta attraverso la disoccupazione, in specie tra i giovani, dalla profondità ed estensione  della povertà, dalla mancanza di un reddito minimo garantito. Con la fine delle ideologie, che consegue a questa crisi, la rivolta travolge ogni senso di solidarietà, di umanità e spinge l’uomo a manifestare diffidenza e preclusione verso forme aperte di accoglienza, in specie nell’attuale momento storico in cui il fenomeno della migrazione è divenuto drammatico.

Albert Camus, nell’Uomo in rivolta, dà un’antologia di questa filosofia della ribellione, che percorre la storia dell’uomo, dalla Grecia fino a noi, intesa come ribellione contro ogni oppressione e contro ogni ordine umiliate per l’uomo. Su questo terreno, l’uomo rimane prigioniero della sua solitudine se non si ribella e per questa via trovare le forme di una nuova solidarietà sociale.  Quindi, passare dall’Io di Max Stirner dell’Unico e la sua proprietà, al NOI della solidarietà.

Si tratta di una passaggio difficile, se si considera la portata della crisi in cui siamo intrappolati. Circa 240 guerre si svolgono quotidianamente in numerosi paesi, milioni di bambini soffrono la fame e sono in pericolo di vita; milioni di donne e uomini cercano di fuggire dalle guerre, dalla fame e dalle carestie, mentre il pianeta terra è sottoposto alla depredazione delle sue risorse con gravi ripercussioni sul clima e sulla tenuta del sistema climatico globale. Il capitalismo finanziario è il dominus di questo sistema globale; l’occidente e le grandi potenze sono asservite al suo dominio e alle regole che presiedono la governabilità del sistema. Non occorre qui richiamare Karl Marx per descrivere il concetto del feticismo delle merci, ma pur semplificando quanto Engels ha completato di tale pensiero, ad esso si deve la forza e la portata teorica del materialismo, cioè dei rapporti che costituiscono la struttura economica della società, in cui determinanti sono le forze produttive e i rapporti di produzione.

Il fenomeno, di cui sinteticamente abbiamo parlato, cioè della ribellione dell’uomo, nel nostro Paese assume un rilievo ancora più marcato. La crisi della sinistra è un dato ineludibile. I tentativi di trovare una risposta mediante aggregazioni alla sinistra del PD renziano, avanzano con difficoltà, e non paiono offrire un richiamo elettorale convincente, come riportano gli ultimi dati elettorali. Quello che però interessa al cittadino ribelle sono le proposte, che la sinistra deve formulare per recuperare il consenso; per l’occupazione, per il diverso modello economico, per una vera riforma della scuola, dell’Università e rilancio della ricerca. Come sostenere uno sviluppo economico industriale compatibile con la difesa dell’ambiante e del clima globale, come abbattere il debito pubblico e sostenere con forza una politica di solidarietà sociale, abbattere le disuguaglianze e affrontare i temi della sicurezza e dell’accoglienza con seri progetti politici. Impostare un’educazione civica e storica tesa a valorizzare la Repubblica e recuperare il senso della democrazia e del rispetto delle istituzioni.

Qui il ruolo del socialismo diviene il marcatore della diversità politica. La storia del PSI è parte della storia del Paese. Non è questo il tema che i “Socialisti in movimento” intendono valorizzare, poiché l’identificazione del PSI è limitata alla figura di un piccolo e insignificante raggruppamento che sta perdendo il senso della storia e della sua funzione. Nella nostra prospettiva si colloca la ricerca di un socialismo che è si storico, ma per il fatto che appartiene ad un filone filosofico e sociologico su cui si è impegnato l’interesse di studiosi ed economisti di grande rilevanza culturale.

Engels, è dopo Marx, il pensatore più acuto che ha dato un senso teorico allo studio del socialismo scientifico, alternativo a quello utopico e riformista.

Non è questa la sede per approfondire le linee percorse dal lavoro engelsiano sulla definizione del socialismo scientifico, poiché intendiamo limitarci solo a considerare come il socialismo debba oggi rispondere ad una crisi che non può più essere affrontata usando le vecchie formule del passato, o ricorrendo a tentativi pasticciati di una sinistra che gioca nell’ambito del sistema capitalistico per portare correzioni. Il socialismo, per il quale intendiamo lavorare, deve guardare oltre e porsi l’obiettivo di una società nella quale l’uomo riacquisti il desiderio della comunità e della socialità, si senta libero e partecipe del benessere che è chiamato a produrre, liberandosi dalla schiavitù del consumismo e dallo sfruttamento capitalistico.

Alberto Angeli

Renzi, Alfano e Nencini a casa, di Angelo Sollazzo

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Ci vuole una bella dose di faccia di bronzo rimediare una sonora batosta elettorale e far finta di nulla.
Cosa deve accadere ancora per vedere delle dimissioni vere? Un terremoto ondulatorio e sussultorio, uno tsunami, una guerra mondiale per far muovere dalla poltrona Renzi e soci?
Renzi governativo è stato un vero disastro, ha tentato di realizzare da sinistra il programma di Berlusconi, solo che gli italiani tra copia e originale preferiscono l’originale.

Dopo il rovinoso risultato del Referendum, di una prima cocente sconfitta alle amministrative , della perdita di circa un milione di voti alle primarie e con la disfatta di ieri , sarebbe stato logico aspettarsi le dimissioni. Invece il commento è allucinante: gli sconfitti sono gli altri, non esiste un nesso politico e nessun risvolto nazionale.Nessuna autocritica alla mutazione genetica del centrosinistra, alla perdita di consenso tra i lavoratori, i giovani ed i ceti poveri.

Il Renzismo è stato rigettato più volte in tutte le sue sfumature, i rampanti , i rottamatori e gli arroganti hanno avuto il ben servito. Se Renzi è stato sconfitto in modo inequivocabile, Grillo non può certo gioire visto che è scomparso quasi ovunque. È un gioco lezioso e da sprovveduti parlare di un passo avanti visto che cinque anni fa non esistevano. La forza politica si misura su quello che si è oggi e non ieri o prima ancora.

Renzi e Grillo hanno fatto il miracolo di resuscitare Berlusconi, ormai considerato ibernato.
La sinistra, liberata dai lacci centristi e dai pruriti prodiani, deve ricostruire la sua unità con un programma chiaro, con una scelta di campo decisamente a favore dei poveri e del lavoratori e con una classe dirigente che lotta per gli ideali e non per la propria poltrona.
Del manipolo nenciniano evito di parlare per amor di patria. Il socialismo, ideale più alto della storia dell’umanità, merita ben altro.

I socialisti tra breve verranno chiamati a raccolta per ricostruire insieme e senza esclusioni di sorta la loro casa comune.

Angelo Sollazzo

Legge elettorale e prima Repubblica, di Angelo Sollazzo

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Nel frasario politico attuale la prima repubblica viene definita la “madre dell’inciucio”, i suoi protagonisti espressione della corruzione, i partiti politici ferrovecchi del 900.
All’inizio tutti, o quasi,gli italiani erano stati presi dalla mania di cambiare, modificare o rottamare. Senonché i risultati degli ultimi venticinque anni sono stati a dir poco disastrosi.
Iniziò Berlusconi che in politica ci arrivò per salvaguardare i propri interessi, inizio a parlare di teatrino dei partiti, ad usare massicciamente il potere televisivo, a mobilitare aziende e dipendenti, a trasformare la politica in un vero spettacolo di cabaret. Tutto ciò senza affrontare il tema dei comportamenti personali, olgettine, pupe e via dicendo, che ci hanno creato la derisione di mezzo mondo. Sono quindi arrivati sulla scena Grillo e Renzi. Quest’ultimo, da buon comunicatore, cerca sempre di attribuire ad altri le sue pecche. Con grande coraggio parla di lotta alla corruzione, anche nel momento in cui si vedono in grande difficoltà suo padre e la sua amica Maria Elena Boschi, mentre una componente del Governo, incappa nello scandalo dei petroli in Basilicata, in casa PD ci sono arresti a valanga, etc.

Renzi parla di cambiare l’Italia, dopo essere stato per ben tre anni capo del Governo senza combinare nulla e dando la colpa a chi lo ha preceduto. I politici brutti e cattivi sono altri, lui è buono e vergine. Una bella faccia tosta quando, dopo aver annunciato il ritiro dalla politica per la sonora batosta rimediata al Referendum costituzionale, ritorna in campo come niente fosse. Sulla legge elettorale cambiare idea è divenuta un’abitudine. L’ultima prevede il 50% dei seggi assegnati in collegi uninominali piccoli, e l’altro 50% con il proporzionale e liste bloccate.
Insomma il fatto che l’82% degli italiani vuole il ritorno al voto di preferenza, per scegliere direttamente il proprio rappresentante a Renzi non interessa affatto. Per i collegi uninominali sceglie il Partito, per le liste proporzionali sceglie sempre lui. In barba alla Corte costituzionale ed alla volontà degli italiani. Tutti nominati e tutti amici. Grillo inizia denunciando malcostume ed imbrogli vari, da comico arguto tocca le corde della sensibilità degli italiani arrabbiati.
Si perde, invece quando tenta di trasformare il suo movimento protestatario in forza di Governo.
Protestare è importante, ma poi serve governare. Le scelte dei capi del Gruppo non sono tra le più felici. Il prescelto capo del Governo si confonde nell’uso del congiuntivo, mostrando chiaramente qualche difficoltà con la lingua italiana, poi confonde ancora la professione del sociologo con quella dello psicologo, afferma che Pinochet è stato dittatore del Venezuela e non del Cile, invece il candidato ministro del esteri chiede i vaccini gratuiti per tutti, non informandosi che lo sono sempre stati. Insomma strafalcioni a ripetizione. Possono questi governare l’Italia? No, non è possibile.
I tanto vituperati partiti selezionavano la classe dirigente, preparavano i quadri, escludevano gli incapaci. Il politico prima di aspirare allo scranno parlamentare doveva fare la gavetta in periferia , veniva sottoposto a continue valutazioni e veniva eletto direttamente dagli elettori.
Certo vi erano comportamenti scorretti, corruttele varie , responsabilità gravissime, ma mai a livello di quanto accade oggi. Basterebbe applicare l’articolo 49 della Costituzione sulla trasparenza e sulla democrazia interna ai Partiti, per avere una classe dirigente degna di questo nome. Ritorniamo alla politica vera , ricostruiamo i Partiti, selezioniamo i candidati, ritorniamo agli ideali ed alle culture politiche. I personalismi portano male, il collettivo evita avventure.

Angelo Sollazzo

Introduzione di Roberto Biscardini all’Assemblea “Socialisti in Movimento” di Milano

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Biscardini

Socialisti in Movimento rappresenta l’inizio di un percorso per la costruzione di una sinistra socialista nuova, in una fase in cui finita la Seconda Repubblica e non chiari i contorni della Terza, è comunque certo che non c’è né una sinistra né tantomeno una sinistra socialista.

Questo è lo spazio che possiamo occupare.

Socialisti in Movimento nasce soprattutto dall’esperienza dei Comitati Socialisti del No con la quale abbiamo sperimentato il valore di una battaglia concreta e abbiamo capito bene come vecchi partiti e vecchie sigle non sono più assolutamente sufficienti per delineare una politica nuova, soprattutto una politica coraggiosa che sappia raccogliere compagni e cittadini anche finora lontani, quindi nuove energie.

Allo scenario patetico e umiliante dell’attuale situazione abbiamo il dovere di reagire e chi ha più esperienza e più anni ha il dovere di fare qualcosa per avviare un processo che guardi al futuro, incoraggiando e aiutando le più giovani generazioni.

Qualcosa da fare non per i socialisti, e per soddisfare la loro voglia di ritornare in azione, ma per il socialismo e per una nuova società socialista.

Per i tanti “socialisti di fatto”, che lo sono senza saperlo, e per costruire una forza agile che sappia indicare con strumenti innovativi le risposte ai bisogni dell’oggi, coerentemente ai vecchi ideali e ai vecchi principi, senza paura di volare alto, sopra la povertà che spesse volte caratterizza il convento della sinistra attuale.

Quella sinistra che fa fatica a muoversi perché ha troppe incrostazioni consociativistiche su di sé. Perché ha alle sue spalle troppi compromessi con pratiche di governo sbagliate. Quella sinistra che ha votato tutto, 60 fiducie, ha votato le cosiddette riforme costituzionali, elettorali, il jobs act, la Buona Scuola.

Quella sinistra che ormai è piegata alle logiche finanziarie e capitalistiche senza alcuna dignità e che si porta dietro una responsabilità ancora più grande: aver tradito i propri valori, i propri principi. Inducendo con ciò il popolo italiano a riconoscere come di sinistra normali politiche di destra, e peggio ancora, abituando il popolo di sinistra anche a pensare come il popolo di destra, ad avere gli stessi sentimenti e le stesse pulsioni.

Cosicché se noi Socialisti in Movimento solleviamo questioni di giustizia e di libertà proprie della sinistra e del socialismo veniamo tacciati come radicali o populisti.
Ma non è così, cerchiamo di porre solo questioni che appartengono al programma minimo di una sinistra da ricostruire. Partendo dal basso e dall’individuazione di battaglie concrete.
Perché è solo nel concreto che può rinascere una forza della sinistra socialista, larga e unitaria, dialogante, ma con le proprie idee, per costruire una sinistra ad oggi distinta e distante dal Pd.
Per esigenza di sintesi, il nostro programma di lavoro, anche a partire da Milano e dalla Lombardia deve concentrarsi sui temi della democrazia e del lavoro e sui temi di carattere internazionale che riguardano in particolare i rapporti tra la nostra sovranità e l’Europa.
Battaglie immediate per programmi immediati e prima fra tutte già nei prossimi giorni, la battaglia per una legge elettorale proporzionale, senza premi di maggioranza e senza capolista bloccati.
Per questo Socialisti in Movimento si organizza a livello centrale ma si articola nei comitati locali, anch’essi impegnati a costruire il programma nazionale e locale del movimento.
In Lombardia i prossimi appuntamenti saranno sui contenuti, anche in vista delle prossime elezioni regionali da far valere indipendentemente dalle modalità con le quali ci presenteremo alle prossime elezioni.

Roberto Biscardini

29/04/2017

Nascita dei Movimenti e del movimentismo, un pensiero minoritario o un’alternativa ai partiti ?, di Alberto Angeli

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Alberto Angeli 2

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Uno strano fenomeno sembra pervadere la vita politica del nostro Paese, i partiti della tradizione repubblicana cambiano la loro natura di massa ( seguendo il lessico Weberiano) e al loro posto nascono movimenti, circoli, comitati, raggruppamenti. Insomma, alla tipica rappresentanza dei partiti si va sostituendo quella del movimentismo. Un contagio, si badi bene, che colpisce pure la tradizione della chiesa, delle parrocchie, nel passato animatrici di comitati parrocchiali e di gruppi per la preparazione catechistica. Questa propensione al movimentismo, dunque, sembra non avere preferenze di colore o collocazione politica, nasce a sinistra come a destra della rappresentanza politica. Ma, mentre per la destra politica la costituzione di un movimento politico non costituisce l’abbandono di una ideologia, questo non vale per la sinistra, la quale sembra muoversi in un orizzonte di superamento del marxismo come ideologia “ufficiale”, uccidendo contestualmente ciò che di più profondo la legava alla concezione Gramsciana della forma partito.

La scissione dal PD della parte costituitasi in MDP, quindi alla nascita di un nuovo movimento, non pare ai più attenti osservatori che abbia portato alla produzione di un altro “pensiero forte”, cioè strutturalmente definito e abbastanza univoco nella sua interpretazione e applicazione ai tradizionali modelli di rappresentanza partitica. Così anche per quella parte di socialisti ( PSI) che, a seguito del risultato referendario, si sono definiti “Movimento”, vale la domanda se ciò possa qualificarsi come un “pensiero forte”, cioè strutturato in termini di prospettiva e di valenza politica

Chi scrive rimane ad ogni modo convinto che non per questo le sinistre, tanto “di movimento” quanto quelle che ancora mantengono un legame con la tradizione/partitica, abbiano rinunciato o tagliato completamente le radici della tradizione ideologica su cui hanno fondato la loro esistenza. Questo rilievo vale soprattutto per quelle forze della sinistra radicale, quella parte della sinistra purista, che si è formata tra il post-strutturalismo di suolo francese (Foucault, Deleuze, Guattari), e con una dose della scuola di Francoforte (Marcuse) alla quale è associabile la speculazione politico-filosofica post-operaista di Toni Negri, esegeta di Spinoza, e Michael Hardt, per arrivare fino a Marcuse, tra i più ricordati filosofi del ‘900; e poi Foucault, filosofo critico del potere costituito e delle sue articolazioni,

Se lo stato delle cose è quello descritto, questa la domanda: la sinistra non è più nella condizione di rappresentare un’alternativa al capitalismo? Oppure si deve essere indotti a pensare che il momentaneo passaggio al movimentismo costituisca una scelta momentanea, una sosta per riflettere e rielaborare una progetto su cui ricostruire il Partito della sinistra?. Un progetto su cui si deve scommettere, per il semplice fatto che al di là delle critiche, come quelle di Jean Claude Michèa ed altri, il pensiero che prevale all’interno delle sinistre, sia riformiste che radicali, si fonda sul pensiero filosofico Marxiano e sulla consistente forza culturale del progetto Gramsciano.

Se si prende in esame la più influente tematizzazione della forma partito del XX secolo, contenuta nello scritto di Lenin Che fare?, si scopre che – per Lenin – il partito funziona come l’intelletto agente di Aristotele, che giunge a noi dal di fuori: “Solo l’intelligenza giunge dall’esterno e solo essa è divina, perché l’attività corporea non ha nulla in comune con la sua attività”. Nella grammatica Aristotelica, l’intelligenza, cioè l’anima, sta al corpo, simbolicamente, come il partito sta alla classe proletaria, come appunto indicato da Lenin. In questa fase storica, ci possiamo spingere allora a dare una più compiuta valenza al pensiero Aristotelico per cui è il partito che sta agli elettori, al corpo sociale, In tale passo Aristotele sembra conferire una certa equidistanza tra la forma e la sostanza dell’anima, di tipo Platonico, per intenderci. Così come la storia del rapporto partito/classe, nella cultura contemporanea del nostro Paese, fluttua tra l’idea di un partito costituito ( quindi costituzionale) e auto-organizzato per rispondere ad un progetto di classe, e l’idea invece che il partito sia superato e arretrato rispetto alla necessità di rappresentare i movimenti che si organizzano spontaneamente su temi e rivendicazioni tra le più diverse. Così che il partito diviene informe e senza vita. Tutto questo avviene con tutte le possibili variazioni intermedie, tra le quali un’idea di tipo kantiano, secondo cui l’intelligenza che il partito rappresenterebbe sarebbe da intendersi piuttosto come un giudizio riflettente che come un giudizio determinante.

Da tutto questo ne discende dunque che il Partito perde il suo significato, non essendo più né un’appendice della classe, né la sua sola salvezza, ma qualcosa come una rappresentazione, a partire dai dati di realtà portati alla politica dalla cosiddetta “società civile”. Nonostante questa condizione, rimane che in ognuno di questi casi, il partito è indiscutibilmente un’intelligenza, e l’idea/pensiero di sostituirlo con il movimento, che può associarsi all’idea della «mobilitazione cognitiva», da questo punto di vista, risulta minoritaria e limitativa rispetto alla capacità espressiva e rappresentativa del soggetto Partito.

Per continuare con Lenin: “La coscienza politica di classe può essere portata all’operaio solo dall’esterno, cioè dall’esterno della lotta economica, dall’esterno della sfera dei rapporti tra operai e padroni”.

Ancora: “La coscienza socialista è un elemento importato nella lotta di classe del proletariato dall’esterno, e non qualche cosa che ne sorge spontaneamente. Ciò significa – per Kautsky, le cui parole appaiono a Lenin «profondamente giuste e importanti» – che la coscienza socialista non è il risultato diretto della lotta di classe proletaria, ma un’aggiunta a essa da fuori”.

Per Lenin: “Socialismo e lotta di classe nascono uno accanto all’altra e non uno dall’altra; essi sorgono da premesse diverse………

Il termine Parteiverdrossenheit in tedesco significa insoddisfazione per i partiti e spesso si accompagna alla più generale espressione Politikverdrossenheit, che indica lo stesso sentimento, esteso alla politica. Queste definizioni esemplificano la fine del protagonismo della società di massa, che si forma in Europa all’inizio del Novecento, quando nella cultura europea si afferma anche una tendenza “irrazionalista”: filosofi, letterati, artisti, politici condividono un’attenzione nuova per le componenti irrazionali dell’uomo (l’inconscio, gli istinti, gli impulsi primordiali e irriflessi) e attribuiscono ad esse un ruolo preponderante nell’orientamento della vita individuale e collettiva. Oligarchie, gruppi dirigenti inamovibili, caste autoreferenti, assumono la guida dei grandi e piccoli partiti di massa. La democrazia partecipata, elezioni universali estese anche alle donne, nuovi soggetti e superamento dell’individualismo, nascita dei grandi partiti e formazione di ristrette cerchie di dirigenti, nuova classe politica. L’Europa occidentale vive una grande rivoluzione e si muove in universo di cambiamenti sociali orizzontali diffusi e profondi.

Nel 1921 Freud pubblicò un libretto, di circa cento pagine, chiamato Psicologia delle masse e analisi dell’Io. Era quello un periodo in cui stavano nascendo le lotte operaie organizzate, le grandi ideologie, le dittature. In Austria si assiste agli effetti della disgregazione dell’Impero asburgico, avvenuta alla fine del 1918; in Italia nascono il Partito Nazionale Fascista e il Partito Comunista Italiano, mentre in Germania Adolf Hitler diventa leader del Partito nazionalsocialista tedesco. Freud cominciò ad interessarsi sempre di più ai comportamenti delle masse, affrontando i temi sociologici in chiave psicoanalitica. Prendendo spunto dal testo di Gustave Le Bon, Psicologia delle Folle, Freud cominciò a riflettere sulla psicologia collettiva, cercando di dimostrare che i fenomeni che regolano la vita di gruppo non sono poi così lontani dalle scoperte psicoanalitiche relative ai processi individuali. Vi sono anzitutto due tipi di masse: quella occasionale, transitoria, non organizzata e quella organizzata (e dunque “artificiale”), che proprio per questo è destinata a durare di più nel tempo (un esempio ne sono la Chiesa e l’esercito). L’ “anima della massa” viene dunque descritta come elementare e passionale, incline alle illusioni, essendo il Super Io temporaneamente accantonato, a vantaggio di un legame di tipo quasi ipnotico, che fa scatenare le pulsioni, perdere lo spirito critico, sentire un senso di onnipotenza e di impunità. Gli individui che fanno parte di una massa perdono dunque autonomia ed equilibrio, ma acquisiscono la sensazione di essere forti, in quanto parte di un tutto organizzato, che rassicura e protegge.

La nascita del citizen (cittadino ) offre ai partiti l’opportunità di superare il concetto di massa dando vita a nuove forme di rappresentanza politica che, lentamente ma costantemente, pervengono al superamento della forma partito di massa, per costituire nuovi soggetti rappresentativi della società, passando quindi da una forma organizzativa verticale a quella orizzontale, con l’intento di raccogliere ed intercettare gli umori e le rivendicazioni dell’elettore/cittadino che spesso si organizza in movimenti portatori di rivendicazioni specifiche ed espressione di un sentimento antipartitico e anti stato, spesso associato ad una critica durissima contro la casta politica privilegiata e aristocratica, ritenuta troppo costosa e politicamente incapace ad attuare le necessarie trasformazioni richieste dalla terribile crisi socio/economica in cui si dibatte la società italiana.

Lungo l’arco del XX e gli inizi del XXI secolo si sono registrate trasformazioni dei Partiti, DC,PCI,PLI,PRI,MSI, PIUSP, e i tanti altri che hanno cambiato nome, modificato alla radice la loro struttura organizzativa adeguandola alle novità segnate dal progresso della moderna società, anche se con lentezza e talvolta con poche modifiche delle linee politiche, con lo scopo di meglio poter rispondere alle controverse riforme elettorali tentate per adeguare il soggetto politico alle aspettative della moltitudine, che segnalava la nascita un nuovo ordine inserito nella globalizzazione, a cui occorreva dare una diversa risposta in termini di egemonia politica.

Quindi non più il Partito di massa, non più praticabile l’esperienza del partito del cittadino guidato da una èlite politica, ma un nuovo esperimento con il quale testare la novità del coinvolgimento movimentista dell’opinione pubblica. Questa sembra essere la novità di questo inizio del XXI secolo, sulla quale occorre riflettere per capire quale orientamento prenderà la società del presente e quella che si appresta ad esplorare il futuro.

I confini dell’analisi non finiscono qui, poiché il vero spirito del pensiero del riformismo contemporaneo si situa nell’ambito di questa didattica politico-filosofica che, nel corso della storia, ha portato a sintesi la tendenza culturale del pensiero che si richiama alla sinistra sia radicale che conflittuale/riformista, che si manifesta con una certa forza ed in modi rappresentativi diversi nel nostro Paese. In definitiva, si tratta di riconoscere alla tendenza movimentista un orientamento transitorio all’interno della mobilitazione politica, poiché si rivolge a forze diverse: militanti, studenti, dirigenti, gruppi sociali, sindacati, che si muovono seguendo una logica di frastagliamento degli obiettivi e si presentano come movimenti minoritari, se comparati alla problematiche della società nel suo complesso e all’interno delle stesse classi che, guardate secondo le categorie della sinistra, risultano comunque subalterne al potere.

Per il fatto quindi che si sono raggiunti livelli di intensa contraddizione ( poca importa stabilire qui se ciò influenzi o meno il potere costituito economico e politico), la realtà delle cose ci spinge ad analizzare e comprendere le ragioni di questo minoritarismo originato del movimentismo, che si scopre essere divenuto lo strumento politico del nostro tempo. Non si guardi a questa pretesa contemporanea come ad una forzatura intellettualistica, filosofica o astratta, giacché la connotazione e la qualificazione sociale e culturale della materia qui sollevata coinvolge pienamente la vita politica, le lotte quotidiane e le prospettive che, con i movimenti, si intendono indicare al paese e alle classi sociali delle quali si sentono i rappresentanti. Il proposito di pervenire ad una comprensione del fenomeno è irrinunciabile, poiché risolvere oggi il punto, cioè come esprimere un pensiero maggioritario passando dai movimenti, se non altro nell’ambito della sinistra, diviene il tema e l’obiettivo culturale e politico per il quale lavorare, ciò per evitare quel processo di fraintendimento ( e frazionamento) sub-culturale verso cui stiamo indirizzando l’attenzione della classe lavoratrice e della sinistra democratica.

Sconfitta con il referendum l’idea del partito unico ed il proposito maggioritario che ne costituiva l’humus, anziché utilizzare la struttura del partito tradizionale, organizzato territorialmente ed “elemento imprescindibile nello stato moderno”, per usare il lessico Gramsciano, l’ala scissionista del PD ha optato per la costituzione di un movimento, MDP, in cui è stato possibile raccogliere le diverse correnti ideali che animano l’area frazionista. Una scissione non improvvisata e tuttavia sorprendente, poiché maturata lungo un percorso durante il quale molti provvedimenti, oggi contestati con durezza, sono stati approvati proprio con il consenso di gran parte dei fuoriusciti dal PD.

A questo punto è il caso di affermare: niente di nuovo, niente di reale, se intendiamo cercare un senso dottrinale o declinare a una novità metafisica la scelta di costituire un movimento politico, anche se indicativamente chiamato Democratico e Progressista. Una risposta minimale ad una crisi diffusa ad ogni livello: economico, sociale politico, alla quale il movimento DP, mancando di quella caratteristica identitaria del partito di classe, non ha acquisito in questo passaggio la fondamentale titolarità ad esercitare tale ruolo.

D’altro canto si deve considerare che i movimenti si distinguono dai partiti per una peculiarità loro immanente, in quanto si costituiscono per esercitare una pressione sociale limitata ad un tema specifico, anche se per la consequenzialità della sua natura, può in effetti influenzare tematiche più generali. Si prenda l’esempio dei movimenti ecologisti, animalisti, ambientalisti o di carattere sociale e civile. Spesso le forme attraverso cui sono sostenute le rivendicazioni assumono il carattere manicheo, di contrasto con altri movimenti portatori di contenuti rivendicativi opposti. Ecco, allora, che la funzione della politica, intesa come studio della situazione umana, dal singolo al collettivo, per cercare, proporre, imporre soluzioni, si evolve nel Partito, quale soggetto e sede di rappresentanza degli interessi collettivi e dei conflitti, impossibile da sostenersi nell’ambito di un movimento.

Il caso, o il fenomeno, qui esposto sembra interessare solo il nostro Paese. M5S, Forza Italia, Lega, molti gruppi della sinistra radicale, ma anche della destra estrema, il nuovo MDP e, se vogliamo essere obiettivi, anche lo stesso PD, con i suoi Circoli in luogo delle tradizionali sezioni, ha più vicinanza ad un movimento che ad un partito tradizionale. Quindi, più movimentismo che partiti. Se volgiamo lo sguardo verso Paesi dell’Europa occidentale non troviamo riferimenti di questa importanza e rilevanza.

Allora, dobbiamo chiederci da cosa origini la diversità dell’Italia, su questo tema della nascita di un orientamento movimentista, che decostruisce la funzione dei Partiti e del loro ruolo. Il sillogismo che ne discende individua nell’inettitudine della politica, nel gruppo dirigente, nelle aristocrazie che si sono impossessate dei Partiti, il fallimento del soggetto politico, che si è trasformato nel fallimento dei partiti.

In questa sede non è possibile cedere alla tentazione di aprire un filone di ricerca finalizzata alla comprensione dei processi sociali e politici che hanno determinato la fine dei partiti tradizionali, il superamento delle loro ideologie, l’obliterazione delle loro idee, poichè, come in un procedere apotropaico sono le oligarchie del potere politico a spezzare ogni legame con le masse, i cittadini. Si tratta di rendere evidente, non appena ci si svegli dal sonno della ragione, indotto artificialmente dai media e dalle èlite intellettuali al servizio dell’informazione, come le vecchie ed eterne questioni divengano attuali, così i conti richiedono di essere fatti mettendo in atto il tentativo di tradurre in politica e nella realtà sociale i valori della modernità.

Nella paralisi dell’azione politica che si è costretti a registrare, a cui si associa la mancanza d’immaginazione e di prospettive, le risposte politiche di questo presente storico sono gli archetipi di un atteggiamento “astorico”, per cui si finisce con l’esaltare sia la perdita del valore educativo/gnoseologico del rapporto con il passato, sia la rinuncia a pensare ad un futuro inteso come storia da costruire da parte di tutti e di ognuno.

Alberto Angeli