proporzionalità e rappresentatività
Referendum: un voto menomato. di Angelo Sollazzo
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Ci troviamo di fronte a decisioni che lasciano interdetti, come quella della Corte Costituzionale che respinge il ricorso dell’Avv. Sen. Besostri sulla election-day, e quella che vede la politica portarci ad un voto in una situazione assolutamente carente di democrazia che compromette gli equilibri costituzionali.
A parte la disparità di rappresentanza tra Regioni con meno popolazione e quelle più grandi, diventa assurdo impedire ad intere aree del Paese di avere la giusta rappresentanza nelle Camere e consentendo ai capi-partito di eleggere un Parlamento di fedelissimi, anche in assenza del voto di preferenza. Insomma un Parlamento che non conterà più nulla e tutto sarà deciso dalle segreterie dei partiti, in barba al controllo democratico.
L’articolo 48 della Costituzione recita che il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Ora vi sono circa cinque milioni e mezzo di cittadini italiani che vivono all’estero e che in gran parte non potranno esprimere il loro voto referendario.
Sicuramente non sarà consentita alcuna campagna elettorale, causa la gravità della pandemia che ha colpito gran parte dei Paesi di accoglimento dei nostri connazionali, sarà anche impedita la espressione di voto per motivi organizzativi, come sempre successo per il voto politico nazionale, non si potrà votare per il rinnovo dei Consigli Regionali, in quanto sempre a causa Covid 19, non potranno rientrare in patria e che, con il sistema della legge per il voto degli italiani all’estero, legge chiaramente incostituzionale, non si potrà votare per corrispondenza ma solo rientrando in Italia.
Insomma per milioni di Italiani il voto non sarà né libero, né uguale.
Sempre che non si abbia una recrudescenza del contagio anche in Italia, ed allora il voto sarà solo per pochi intimi.
Non voler rinviare le elezioni costituisce un atto di arroganza e di tracotanza verso le forme di rappresentanza democratica.
La sinistra batta un colpo. Ma quale? Il PD sta divenendo una forza centrista e protesa solo al potere. Altri sono ben poca cosa.
Il PSI oggi compie 128 anni, primo partito dei lavoratori in Italia, deve essere saldamente ancorato a sinistra e lavorare per ricostruire la casa comune di tutti i socialisti dispersi nella galassia di associazioni e circoli che si onorano di essere socialisti. Certo contano poco. Ma almeno si fanno sentire.
Angelo Sollazzo
L’appuntamento del 20 Settembre. di Alberto Benzoni
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I regimi totalitari del XX secolo disprezzavano le elezioni e i relativi “ludi cartacei”; perchè il diritto al voto, uno dei pilastri della democrazia liberale, faceva parte dell’eredità dello stupido diciannovesimo secolo.
Oggi, almeno in occidente e nei paesi limitrofi tutti sembrano amare le elezioni. Al punto di reclamarne lo svolgimento ad ogni stormir di fronda.
Ma la loro passione è egoistica e strumentale. Ad un punto tale da pervertirne l’uso e sminuirne il valore.
Così si chiedono elezioni politiche ad ogni piè sospinto dimenticando che queste possono svolgersi alla scadenza prevista o quando non è possibile costruire in Parlamento una maggioranza a sostegno dell’esecutivo; e comunque non in base all’andamento dei sondaggi. Aggiungendo, particolare non certo piccolo che non è francamente possibile pensare ad elezioni in assenza di una legge elettorale. E che raffazzonarne una alla vigilia del voto ad uso e consumo del potere in carica non è solo disdicevole ma contrario ad ogni possibile regola.
Il disprezzo totale di Lorsignori, di destra come di sinistra, per il popolo bueè giunto, peraltro a livelli stratosferici quando si è trattato di fissare la data delle regionali e del referendum sul taglio dei parlamentari.
Si è cominciato con il votare a luglio. Una prima; ma anche una vergogna assoluta. con la destra a chiudere subito le alleanze in nome del potere; e con la sinistra a litigare in nome della subalternità e della vocazione al suicidio.
in ogni caso, uno spettacolo orrendo. Nessun dibattito nel merito delle persone e delle questioni; la maggioranza assente dalle urne e; una minoranza di votanti sedotti da meccanismi clientelari; ise non dal machismo dei governatori durante la crisi.
A metà settembre, il quadro sarà leggermente migliore. Ma con due aggravanti: l’accorpamento referendum/elezioni; e il fatto di non poter votare nelle scuole, malamente sostituite da caserme uffici pubblici, e magari ospedali e supermercati.
Non sarà la stessa cosa. Come non sarà le stessa cosa un referendum accoppiato alle lezioni così da perdere importanza e significato.
Dovrebbe essere ben chiara, allora, la morale della favola.. Quella di una democrazia e di istituzioni usatein modo perverso da una classe politica che dovrebbe essere vocata a difenderle.
E forse, nel nostro caso, capire la sostanza di un disegno può essere il primo e necessario passo per bloccarlo.
Alberto Benzoni
La politica tra credibilità e illogicità. di Sergio Bagnasco
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Fino ad agosto del 2019 il M5S sosteneva il taglio dei parlamentari affermando che quel taglio non richiedeva altri interventi e che andava benissimo il Rosatellum, con minime modifiche per renderlo adatto a qualsiasi numero di parlamentari.
Infatti, a maggio 2019 M5S e Lega hanno provveduto a modificare il Rosatellum mantenendo la stessa impalcatura: 37,5% dei seggi assegnati con maggioritario secco, il resto con liste bloccate legate al candidato uninominale e senza possibilità di scelta tra i candidati.
Questo sistema elettorale, che il M5S aveva fieramente e giustamente contestato nel 2017, è diventato improvvisamente un ottimo modello al punto da farlo proprio senza nemmeno introdurre qualche minimo correttivo.
A settembre 2019 nasce la nuova maggioranza e il M5S cambia radicalmente posizione: il taglio dei parlamentari deve essere accompagnato da altre riforme costituzionali e da una legge elettorale proporzionale.
Lecito chiedersi se il M5S creda realmente nell’accordo che ha concluso o se semplicemente è stata una accondiscendenza perché diversamente il nuovo governo non sarebbe nato.
Sia come sia, resta il fatto che a settembre 2020 si voterà per confermare o respingere il taglio dei parlamentari, mentre non c’è ancora nulla di tutto quel che anche il M5S ritiene necessario per mitigare gli effetti negativi di questo taglio e presumibilmente nulla ci sarà da qui a settembre.
Non trovate illogico confermare una riforma costituzionale ritenuta dannosa nella speranza che poi si facciano altre riforme costituzionali?
E questo prima ancora di analizzare l’effettiva efficacia di questi “correttivi” concordati dalle forze di maggioranza e ben lontani dall’essere approvati.
Inoltre, il taglio dei parlamentari rende necessario la modifica radicale del regolamento della Camera e del Senato; operazione sempre molto complessa e lunga. Se questi nuovi regolamenti non dovessero essere approvati prima della fine della legislatura, si rischia la paralisi parlamentare.
Se oggi quasi tutti concordano che questo taglio dei parlamentari richiede correttivi costituzionali e una nuova legge elettorale, è sensato procedere alla conferma del taglio quando il rischio concreto è che i correttivi non arrivino in questa legislatura?
Poi, i correttivi proposti, sono adeguati a mitigare i problemi di rappresentatività e a mettere in sicurezza il sistema istituzionale con adeguati contrappesi e garanzie?
A mio avviso assolutamente NO perché tra questi correttivi non c’è la costituzionalizzazione del metodo elettorale (quindi una legge proporzionale potrebbe da una nuova maggioranza politica essere trasformata in una legge maggioritaria) e non si interviene sulle modalità di elezione di presidente della repubblica e corte costituzionale; pertanto una minoranza, che per effetto di meccanismi elettorali dovesse avere la maggioranza assoluta del parlamento, finirebbe per poter eleggere il presidente della repubblica, controllare la corte costituzionale, modificare la costituzione senza avere nemmeno la certezza del referendum confermativo e se dovesse arrivare a controllare i 2/3 del parlamento questa minoranza potrebbe riscrivere in totale autonomia la costituzione.
Evidente che una legge elettorale mista o maggioritaria rende più facile questo risultato in combinazione con il taglio dei parlamentari.
Infatti, la riduzione dei parlamentari ha un effetto distorsivo di tipo maggioritario con qualsiasi legge elettorale poiché produce l’innalzamento delle soglie naturali nelle circoscrizioni per avere un eletto. Questo effetto distorsivo si elimina solo con il collegio unico elettorale in sostituzione delle circoscrizioni, cosa di cui nemmeno si discute.
In queste condizioni è evidente che, al di là delle chiacchiere e della propaganda, l’unica cosa sensata da fare è respingere questo taglio dei parlamentari e procedere con una riforma organica e coerente.
Sergio Bagnasco
La data del Referendum. di Franco Astengo
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Sul tema della riduzione del numero dei parlamentari chi ha ancora a cuore la democrazia repubblicana ha il dovere di essere particolarmente chiaro, questa volta senza sfumature: Il Comitato per la Democrazia Costituzionale dovrebbe chiedere udienza al Presidente della Repubblica, naturalmente non per chiedere un suo intervento che sicuramente non può eventualmente oltrepassare il limite di una “moral suasion” . L’occasione dovrebbe però essere colta per fare in modo che alla più Alta Magistratura della Repubblica possano essere direttamente illustrate le ragioni di chi si oppone a questo sicuramente nefasto provvedimento. La riduzione nel numero dei parlamentari, nelle condizioni in cui questo provvedimento potrebbe realizzarsi se il voto del Parlamento dovesse essere confermato nel referendum, rappresenterebbe il “vulnus” più grave inferto alla Costituzione dal 1948 in avanti. Si tratterebbe, infatti, del frutto avvelenato dell’antipolitica accettato dai gruppi parlamentari soltanto per pavidità e opportunismo, al di fuori dai 5 stelle che ne sono stati promotori all’insegna “dell’aprire le Camere come una scatola di tonno” (discorso che echeggiava “l’aula sorda e grigia, bivacco di manipoli”). Un’ emergenza questa della pavidità e dell’opportunismo che rappresenta un vero problema per il corretto funzionamento delle istituzioni, come abbiamo constatato anche nella fase più acuta dell’emergenza sanitaria, suggellando così la davvero mediocre qualità politica e di dimensione istituzionale che fin qui è stata espressa dal combinato disposto Governo – Parlamento. Un Parlamento eletto ancora una volta attraverso una legge elettorale nel cui testo si ravvisano diversi profili di incostituzionalità. Del resto i Parlamenti della XV, XVI,XVII legislatura erano stati eletti con leggi elettorali dichiarate incostituzionali dall’Alta Corte. Quello dell’incostituzionalità delle leggi elettorali rappresenta un altro particolare dimenticato quando si cerca di definire un profilo della classe politica che ha agito sul piano istituzionale nel corso degli ultimi anni. Appare meschino il tentativo di confondere una scadenza come quella referendaria, di massima importanza per il futuro della qualità della democrazia italiana, con la canea di basso profilo che si misurerà con l’elezione diretta dei Presidenti di Regione (si tralascia, in questa occasione, il discorso sulla vera e propria “disgrazia democratica” rappresentata dall’elezione diretta a cariche monocratiche). E’ necessario far emergere con chiarezza i termini della questione in gioco che ancora una volta, come nell’occasione dei due altri referendum confermativi del 2006 e del 2016, riguarda il cuore stesso dell’impianto previsto dalla Carta fondamentale sui temi delicatissimi della forma di governo, del ruolo delle Camere, della rappresentatività dei soggetti politici in entrambe le direzioni della piena rappresentatività delle più significative sensibilità culturali e dei territori. Dobbiamo sollevare il tema al massimo livello. Il voto referendario necessita di una accurata e specifica preparazione, nel corso della quale le diverse ragioni in campo debbono poter disporre dello spazio temporale e fisico per essere esposte all’intero corpo elettorale, senza interferenze varie e senza asimmetrie nel numero di schede da votare da territorio a territorio, come accadrebbe nel caso dell’accorpamento. Si sta compiendo, in questi giorni, un vero e proprio “sopruso” al riguardo dell’esercizio pieno e legittimo della democrazia nella sua espressione più alta che è quella del diritto di voto dal punto di vista della libertà personale di espressione. Occorre riprendere da subito la mobilitazione e portare al massimo della visibilità e della presa di coscienza collettiva, i motivi che sostengono la necessità di un regolare svolgimento del voto.
Franco Astengo
tratto dal sito https://www.ancorafischiailvento.org/2020/05/31/la-data-del-referendum/
No all’election day. di Alfiero Grandi
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Il Governo insiste sulle forzature per quanto riguarda la data delle elezioni. Le Regionali e il rinnovo delle Amministrazioni comunali non possono coincidere con il voto sul referendum costituzionale relativi al taglio del parlamento. Votare il 13 settembre, inoltre, vuol dire non avere il tempo materiale per fare la campagna elettorale, tanto più se gli argomenti saranno così diversi: costituzionali, regionali, locali. Per di più il Governo sembra non ricordare che il 2 giugno è la Festa della Repubblica, quindi della Costituzione, e sembra sottovalutare la rilevanza della decisione sul taglio del parlamento che è architrave del nostro assetto costituzionale e che tutti dovrebbero avere interesse a rendere chiara nelle motivazioni, sia pro che contro. Il Governo si era impegnato ad un confronto preventivo con i Comitati per il No, che lo avevano chiesto, prima di prendere decisioni. Lo aveva affermato il Presidente Conte. Ora si apprende che in parlamento il Governo sta puntando a far votare tutto insieme il 13 settembre, convocando un election day.
Con questa scelta l’importanza della decisione su una modifica costituzionale viene sminuita e dovrebbe provocare una reazione negativa da parte degli stessi promotori del taglio del parlamento che invece preferiscono evidentemente adeguarsi alle forzature che il governo sta tentando. La stessa motivazione della pandemia è usata in modo strumentale visto che siamo pronti ad avanzare soluzioni alternative ragionevoli. Chiediamo quindi al governo di fermarsi e di confrontarsi con i promotori del referendum e con i comitati per il No, essendo del tutto evidente che la ragione del No nel referendum si basa sull’importante considerazione che il taglio dei parlamentari rappresenti un intervento pesantemente negativo sull’assetto costituzionale, con conseguenze sull’equilibrio dei poteri e sulla stessa elezione del Presidente della Repubblica.
Ci auguriamo che il Parlamento corregga quest’orientamento del governo.
Alfiero Grandi
Tratto dal sito jobsnews.it al link https://www.jobsnews.it/2020/05/alfiero-grandi-no-allelection-day/?fbclid=IwAR2uUF3kmnW_xDVsaekJ8lNzzEybyqdqBNml5PaIo0508IH-ang59lFt7S0
Buone ragioni per votare NO. di Roberto Biscardini
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Nonostante il coronavirus, non dimentimolo, saremo chiamati, mi auguro presto, a votare per tagliare il Parlamento sulla base di nessuna seria motivazione. Salvo la “bufala” della riduzione dei costi della politica.
In realtà una riduzione irrilevante, con un risparmio per abitante minore del costo di una tazzina di caffè all’anno. Una motivazione volgare che per altro sembra non voler tenere conto dei costi veri della politica e men che meno dei costi delle Camere, che certamente non verranno ridotti con la riduzione dei parlamentari.
Una “bufala” gigantesca perché, se la questione fosse stata veramente la riduzione dei costi, perché non tagliare in modo consistente lo stipendio dei parlamentari anziché il loro numero? Cosa peraltro assolutamente ragionevole.
Inoltre, se fosse vero l’obiettivo del risparmio, perché 400 parlamentari e non 200 o ancora meno?
Il vero obiettivo è quindi un altro, si vuole, con il taglio del parlamento, ridurre il diritto alla rappresentanza dei cittadini e dei territori, e chi sarà eletto continuerà ad avere gli emolumenti di prima.
Si vuole sovvertire l’equilibrio fra popolazione e numero dei parlamentari definito dai nostri padri costituenti, creando per altro una grossa sproporzione tra cittadino e cittadino, fra il cittadino di una regione rispetto ad un’altra. Cosicché il voto non sarà più uguale per tutti, violando un preciso principio costituzionale.
Per esempio, se attualmente un senatore rappresenta 151.000 abitanti, con la nuova legge ne rappresenterà oltre 300.000. Ma ancora peggio. La Regione Trentino Alto Adige, con la metà della popolazione della Calabria, avrà diritto allo stesso numero di senatori, cioè sei. E la stessa ingiustizia vale per le altre regioni. Con questa nuova legge, un senatore del Trentino Alto Adige rappresenterà 171.000 abitanti, un senatore della Lombardia ne rappresenterà 313.000, in la Calabria 323.000.
E questo è proprio incostituzionale.
In sintesi, chi voleva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, non vuole tagliare i parlamentari, persegue l’obiettivo di umiliare il Parlamento, di toglierlo sostanzialmente di mezzo e di indebolire le sue prerogative.
Purtroppo in un momento in cui la politica è fragile e la preoccupazione di tutti i partiti è quella di non essere accusati di “poltronismo”, tutte le forze politiche si sono accodate alla linea giustizialista e populista di Luigi Di Maio. Pensa te!
Le ragioni per votare NO sono molte, e tante ragioni di chi sostiene il contrario sono facilmente smentite dai fatti.
Non è vero che il nostro paese ha molti parlamentari e più di altri.
Nel 1948 i nostri padri costituenti definirono un rapporto che era ed è facilmente confrontabile con quanto avviene nel resto d’Europa.
Allora fu previsto che la composizione delle Camere fosse di 630 deputati e 315 senatori considerando un rapporto ragionevole per un paese che aveva 40 milioni di abitanti. Oggi con 60 milioni, 20 in più rispetto ad allora, dovremmo tagliare il Parlamento. Perché?
L’Italia, se passasse questa legge, sarà il paese con il minor numero di rappresentanti.
In Germania sono 778, in Francia 925, in Inghilterra la Camera dei Deputati più quella dei Lord ne ha 1.426, da noi 600 tra Camera e Senato.
Non è vero che il Parlamento sarà più efficiente, sarà solo più condizionato, da un numero sempre più ristretto di persone come in tutti gli altri sistemi oligarchici.
In aula, ma soprattutto nelle commissioni, anche in sede deliberante, basteranno pochissimi deputati, da 6 a 10, per prendere decisioni importanti.
Inoltre, se consideriamo che già con la legge elettorale attuale, che prevede una soglia di sbarramento del 3%, al Senato, con la riduzione dei parlamentari a 200, una lista deve ottenere dal 10 al 15% di voti per avere una rappresentanza. Figuriamoci con quella prospettata che prevede lo sbarramento al 5%.
Nel Parlamento siederanno così pochissimi partiti e il confronto parlamentare, che è alla base della democrazia, sarà ridotto al minimo.
Se non ci sarà accordo, i progetti di legge continueranno a marcire sui tavoli, se invece ci sarà accordo nessuno può garantire che non passino, come oggi, leggi sbagliate o confuse.
Da notare che, per una perfetta incongruenza, questa legge prevede che, nonostante la riduzione del Parlamento, i Presidenti della Repubblica abbiano sempre la possibilità di nominare 5 senatori a vita ciascuno.
Quindi nella sostanza si vuole tagliare il Parlamento, l’unica cosa sulla quale i cittadini possono ancora contare un po’, perché si vogliono indebolire i suoi poteri, così come in tutto il mondo la destra ambisce da tempo a stravolgere le istituzioni democratiche.
Non credo che questo sia il desiderio vero dei cittadini. I cittadini possono essere contro i governanti e persino contro a questa classe politica, ma sanno benissimo che una volta ammazzato il Parlamento non si recupera più.
Dobbiamo quindi votare NO per dimostrare che il voto degli elettori è ancora sovrano e che la composizione del Parlamento è ancora l’unica cosa che il popolo può decidere. Bisogna votare NO perché questa riforma non rende più efficiente la politica, ma vuole solo indebolire il peso dei cittadini e il cuore della democrazia.
Il problema che semmai abbiamo di fronte non è eliminare il Parlamento, ma come ridargli la dignità che oggi ha perso. Indebolirlo significa indebolire la possibilità per tutti di contestare il potere dei governanti e ridurre il potere di controllo del popolo sull’attività del Governo.
Per altro la cecità di questa iniziativa giustizialista farà aumentare i costi complessivi anziché diminuirli. Un solo esempio, aumenteranno i costi della competizione tra candidati e partiti per essere eletti. Vi entreranno più facilmente solo i ricchi e chi sarà sostenuto da lobby potenti. Non ridurrà lo strapotere dei partiti nel scegliere i propri eletti. Avremo un Parlamento più servile di quanto non lo sia oggi.
Ultima considerazione: questo è un referendum che dovrebbe essere contestato, votando NO, dalla stragrande maggioranza dei cittadini. Per rifiutare la logica secondo la quale si cambia la Costituzione per l’interesse politico immediato di chi oggi è al Governo. Ma anche da tutti coloro che non vogliono che la vittoria del Si sia strumentalizzata da un unico partito, quello che è già pronto ad andare sotto il Quirinale per chiedere a Mattarella elezioni politiche anticipate.
Roberto Biscardini
L’articolo è stato pubblicato il 30 aprile dalla rivista MilanoAmbiente
Gli effetti della riduzione dei parlamentari. Del fare riforme senza badare alle conseguenze. di Salvatore Curreri

Inutilmente si cercherebbe nella discussione sviluppatasi sulla riduzione del numero dei parlamentari un approfondimento degli effetti che tale riforma avrebbe sull’organizzazione e sul funzionamento delle camere. Prova ne sia che manca al riguardo una disposizione transitoria, come invece ci si è preoccupati di approvare per garantire l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari (dal titolo della legge n. 51/2019).
Eppure sono tutt’altro che irrilevanti le conseguenze che la sensibile (pressoché un terzo) e drastica (nel senso di non organica) riduzione dei parlamentari è destinata a produrre e che vanno, a mio modesto parere, in direzione esattamente contraria agli obiettivi di maggiore efficienza e produttività che si vorrebbero conseguire; obiettivi che dipendono principalmente non dal numero dei componenti di Camera e Senato ma dalla loro capacità di organizzare in modo efficiente i loro lavori.
Certo, si potrebbe subito obiettare, la Camera dei deputati potrebbe organizzarsi e funzionare anche con 400 deputati, dato che il Senato si è sinora organizzato ed ha funzionato con 315 membri. Ma siamo così sicuri che il Senato possa continuare a svolgere le proprie attuali funzioni, eguali a quella della Camera, con appena 200 senatori?
Non si tratterà, infatti, come banalmente si potrebbe pensare, di ridurre i quorum oggi previsti (peraltro come? in proporzione o in misura inferiore? fissando un numero fisso o una frazione?) per attivare una procedura o per presentare un atto parlamentare ma di ripensare tutta l’organizzazione strutturale delle camere.
Si pensi, in primo luogo, alle norme parlamentari sui gruppi politici (gruppi parlamentari e, nella sola Camera, componenti politiche del gruppo misto) che oggi prevedono per la loro costituzione un certo numero di deputati e senatori, che andrà ovviamente ridotto (in proporzione?). Ciò però comporterà la riduzione di quorum numerici già bassi, come nel caso dei tre deputati richiesti per essere autorizzati dal Presidente della Camera a costituire una componente politica nel gruppo misto: si dovrebbero ridurre a due? Oppure basterebbe un solo deputato, introducendo quell’ossimoro che sono i “gruppi monocellulari”?
In secondo luogo, ad un numero ridotto di parlamentari corrisponderebbe ovviamente la riduzione del numero dei componenti delle attuali 14 commissioni – che sono il vero motore dell’attività parlamentare –, con conseguente notevole aggravio di lavoro. Al Senato, addirittura, avremmo commissioni composte da appena 13-14 senatori, con la conseguenza che per approvare una legge basterebbe, in assenza della richiesta di rimessione in Aula di un quinto dei suoi membri (art. 72.3 Cost.), il voto favorevole di appena quattro senatori (13:2=7 numero legale, 7:2=4 maggioranza richiesta). Si potrebbe rimediare accorpando le commissioni del Senato, ma una simile modifica andrebbe per simmetria estesa anche alla Camera dei deputati e comporterebbe comunque il loro disallineamento rispetto alle attuali corrispondenti strutture ministeriali.
Il problema della composizione delle commissioni parlamentari non riguarda solo la riduzione dei loro membri ma anche il criterio su cui essa si deve prevalentemente basare. La regola costituzionale per cui le commissioni devono essere “composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari” (art. 72.3) si è finora prestata, e ancor di più si potrebbe in futuro prestare in presenza di numeri più ridotti, a due opposte applicazioni. Se si privilegia, infatti, la stretta rappresentanza proporzionale, le forze politiche di minoranze potrebbero non essere presenti in tutte le commissioni. All’opposto, se si vuole dare loro rappresentanza in tutte, designando un singolo parlamentare in più commissioni, tali forze politiche finirebbero per essere sovra-rappresentate rispetto alla loro effettiva consistenza proporzionale. Ma c’è di più. Nella seconda ipotesi, i parlamentari facenti parte di più commissioni parlamentari, nel caso non facilmente evitabile di sedute concomitanti, non avendo il dono della bilocazione, dovrebbero inevitabilmente scegliere in quale essere presenti, privando così la loro forza politica della possibilità di esercitare la fondamentale funzione legislativa, ispettiva e di controllo, specie se di opposizione.
Il dilemma tra la prevalenza della proporzionalità sulla rappresentatività (a scapito dei gruppi minoritari) o, al contrario, della rappresentatività sulla proporzionalità (sovra-rappresentando i gruppi minoritari rispetto alla loro effettiva consistenza numerica) si porrebbe anche in relazione della riduzione del numero dei membri di quegli organi finora considerati a composizione fissa: in entrambe le camere gli uffici di Presidenza (16 componenti) e le Giunte per il regolamento (10); al Senato la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari (23); alla Camera la Giunta delle elezioni (30), quella per le autorizzazioni (21) ed il Comitato per la legislazione (10). Anche in questi organi la riduzione dei loro membri potrebbe comportare l’estromissione dei rappresentanti dei gruppi di minoranza, compromettendo il criterio di rappresentatività su cui si è sinora basata la loro composizione.
Quando chi scrive si è permesso di fare presenti queste criticità in sede di audizione presso la Commissione Affari Costituzionali del Senato si è sentito rispondere che questo “però è un argomento che può essere «facilmente» (basta averne la volontà) ricalibrato sulla base di alcune modifiche da apportare ai Regolamenti di Camera e Senato, che nulla hanno a che vedere con la riforma costituzionale in questo momento oggetto di discussione. Starà poi ai parlamentari che verranno, che si troveranno ad avere un numero inferiore, decidere, mediante le modifiche regolamentari, come meglio articolare i lavori” (on. Macina, seduta del 26 marzo 2019, corsivo mio).
Ma siamo sicuri che “l’intendenza seguirà”? E, se anche fosse, siamo sicuri che si riuscirà in sede regolamentare a porre rimedio alle criticità sollevate?
Chi scrive è perfettamente consapevole del fatto che oggi come mai criticare la riduzione del numero dei parlamentari è come offrire il petto al plotone d’esecuzione. Eppure, come ho cercato di dimostrare, quella che apparentemente può sembrare una mera questione di numeri e/o di costi è invece destinata a produrre effetti negativi di non poco conto, anche sul piano parlamentare, dai più ignorati ma non per questo meno gravi.
Prof. Salvatore Curreri – Università di Enna “Kore”
tratto dal sito: http://www.lacostituzione.info/