Lelio Basso
Tutelare il lavoro delle nuove generazioni, rilanciare il socialismo, di Marco Zanier
Compagne e compagni,
il movimento che stiamo costruendo oggi è molto importante. Abbiamo bisogno di coinvolgere quante più persone possibile in un processo di trasformazione graduale e profondo dei meccanismi di redistribuzione della ricchezza negli strati sociali più colpiti dalla crisi economica e finanziaria in corso e privati purtroppo dei diritti storicamente acquisiti negli anni ’60 dai governi a partecipazione socialista.
Questa crisi e questa politica non colpisce tutti allo stesso modo. In questi vent’anni, le nuove generazioni hanno visto crescere la flessibilità del lavoro, diminuire i diritti acquisiti (l’ultimo drammatico colpo per noi è stato l’approvazione del Jobs Act), annullare progressivamente l’aspettativa legittima di poter costruire un futuro sicuro per comprare una casa, costruire una famiglia e mettere al mondo figli. La mia generazione, quella dei nati negli anni ’70 ha da tempo la consapevolezza amara di non poter contare mai nella vecchiaia su un reddito da pensione perché con le nuove forme di lavoro precario, le uniche che ci vengono offerte da anni da questo mercato del lavoro, non si è impiegati più continuativamente per quelle che erano le classiche 40 ore settimanali, ma molto spesso per 30 o 20 e saltuariamente, troppo spesso assunti non direttamente da un’azienda ma da un’agenzia di lavoro interinale che ti impiega per una commessa solo per il tempo che serve al datore di lavoro che cerca il personale necessario per un ben determinato periodo.
A questo si aggiunga che quelli di noi che sono stati assunti in pianta stabile da un’azienda, ovviamente dopo una lunga esperienza di precarietà in settori spesso molto diversi tra loro, spinti d un lato dalla necessità di far fronte alle spese di ogni giorno e dall’altro dall’ambizione legittima di trovare quanto prima la tanto agognata tranquillità, avendo frequentato con passione e convinzione gli innumerevoli corsi di formazione necessari per acquisire le competenze richieste, vivono nel terrore che l’azienda che dà loro oggi da mangiare decida di trasferirsi all’estero per risparmiare sul costo del lavoro, ossia per pagare meno i dipendenti che lavorano per lei. Il caso di Almaviva è sotto gli occhi di tutti, solo per fare un’ esempio.
Chi, come me, ha attraversato per tanti anni il mercato del lavoro di oggi e si è messo in gioco con professionalità e competenza, è sicuramente cresciuto molto e ha sviluppato delle qualità un tempo inimmaginabili, perché prima il lavoro era chiuso in comparti immobili. In questo senso, la mia generazione sa svolgere bene mansioni diverse, in settori differenti e con un miglior rapporto con il cittadino che pretende giustamente un servizio di qualità. Se siamo bravi da un lato, però, siamo sempre preparati, dall’altro lato, al peggio, perché oltre alla flessibilità che conosciamo non abbiamo la certezza di essere inseriti anche noi alla fine in un posto di lavoro stabile, contrattualizzati come si deve, con la possibilità di chiedere quando serve il miglioramento delle nostre condizioni e il riconoscimento di uno stipendio giusto con tutti gli annessi e connessi.
Oggi, compagni, chi vive e lavora senza le giuste tutele che noi socialisti abbiamo costruito negli anni’60 e che gli ultimi governi e guidati dal PD hanno progressivamente smantellato, può e deve diventare, secondo me, un quadro dirigente importante del nostro partito, come è stato negli anni ’40 e ’50 per Oreste Lizzadri. Io penso spesso a lui in questi giorni, anche se magari non condivido le sue conclusioni “fusioniste”. Penso alla sua esperienza di lotta sviluppata in età giovanile, quando costretto a lavorare il un pastificio, si è accorto che non esistevano regole a favore dei lavoratori e che tutto dipendeva dalla volontà del padrone. Erano gli anni Dieci del Novecento, bisognava avere davvero molto coraggio per mettere in piedi una battaglia sulla dignità del lavoro, ma lui lo ha fatto: ha costruito uno sciopero di tutti i pastai che è risultato vincente ed è stato portato in trionfo dai suoi compagni di lotta alla Camera del Lavoro di Gragnano, la sua zona d’origine, di cui poco dopo è eletto segretario. A soli diciassette anni.
Io che sono iscritto all’attuale PSI dalla sua fondazione e che mi sono sempre riconosciuto nella sinistra socialista, avanzando proposte costruttive negli organi in cui sono stato inserito e dando voce e spazio in rete, attraverso la creazione di blog e gruppi di discussione, ai tanti compagni e compagne che hanno idee e proposte valide e interessanti (ovviamente sistematicamente ignorati dalla dirigenza del partito ed in primo luogo dal Segretario attuale), vedo in questa nostra assemblea di oggi un’occasione importante. Riunire i socialisti nella prospettiva di un socialismo largo e diffuso nel Paese è una preoccupazione che condivido con Angelo Sollazzo ed i compagni che hanno organizzato l’evento. Dobbiamo ricostruire le basi di un Partito socialista degno di questo nome, anche facendo tesoro della fondamentale battaglia che abbiamo combattuto per la difesa della nostra Costituzione. Su questo punto vorrei essere chiaro, noi non dobbiamo partire dalla cosiddetta Grande Riforma di Bettino Craxi, che ancora sostiene suo figlio Bobo, che non si è mai realizzata e che forse è stato meglio così, ma dalla difesa del lavoro dei socialisti che hanno combattuto la battaglia antifascista e che hanno partecipato ai lavori dell’Assemblea Costituente: Vittorio Foa, Lelio Basso, Lina Merlin e soprattutto Pietro Nenni. L’ho detto anche alla conferenza stampa alla Camera il giorno della presentazione del Comitato socialista per il NO. Io che ho gestito il Blog di riferimento di questa nostra battaglia, che ci ha portato a vincere il 4 dicembre al fianco al popolo italiano contro lo scellerato tentativo del governo Renzi sostenuto dai poteri forti, vi dico, compagni, la maggior parte di chi ha partecipato con interventi e riflessioni complesse la pensa come me. Se partiamo dalla nostra Carta costituzionale non sbagliamo, se mettiamo in pratica l’articolo 1 che recita: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, noi costruiamo davvero il socialismo necessario.
Costruire insieme l’organizzazione necessaria a creare e radicare un movimento socialista largo ha senso oggi solo se il nostro sguardo è rivolto non solo alle categorie sociali storicamente oggetto delle nostra idea di politica, cui dobbiamo dare certamente una prospettiva di vita diversa da quella decisa dagli ultimi governi a guida PD. Le scelte del governo Renzi hanno infatti stravolto l’esistenza degli insegnanti delle scuole medie e secondarie, costretti a lasciare le case e le famiglie per un lavoro quasi sempre nell’altra parte della Paese; dei medici e degli infermieri costretti a fare i conti ogni giorno coi tagli strutturali alla sanità pubblica a fronte di uno stanziamento crescente di risorse per la sanità privata; degli impiegati delle amministrazioni locali e nazionali che lavorano con professionalità e sono troppo spesso oggetto di campagne denigratorie e generiche dei mezzi d’informazione che attaccano gli ultimi diritti acquisiti dai lavoratori, che invece, secondo me, dovrebbero essere estesi anche ai tanti impiegati delle aziende private. Tutto questo è vero ma non basta: dobbiamo puntare a conquistare il sostegno anche delle nuove generazioni: i nati negli anni ’70, ’80 e ’90, che conoscono solo la precarietà e che le politiche recenti, hanno umiliato, diviso e reso succubi di un mercato del lavoro con sempre meno tutele e diritti. È soprattutto per loro che dobbiamo ricostruire un orizzonte socialista.
Il nostro ruolo è portare nella politica attuale, tutta legata alle convenienze dei singoli governi ed alla loro breve esistenza, la programmazione dell’economia, tanto cara a Riccardo Lombardi. Per fare questo, il movimento che stiamo costruendo deve portarci quanto prima a ricostruire un Partito socialista stabilmente collocato a sinistra. E dovrà essere, penso, un partito che riparte anche dalle intuizioni di Giacomo Mancini della seconda metà degli anni ’60, che, quando noi socialisti eravamo alla guida del Paese, sosteneva che le nostre scelte politiche non potevano essere imposte dall’alto ma dovevano essere elaborate tenendo conto delle trasformazioni della società e dei problemi delle nuove generazioni.
Se vogliamo esistere e crescere come partito dobbiamo pensare ad una politica coraggiosa e seria rivolta alle nuove generazioni di lavoratori, coinvolgendole in prima persona nell’indicarci i nodi da risolvere e la strada da seguire, elaborando, a partire dalla nostra storia politica gli strumenti necessari a dare delle risposte adeguate. Sono settori di lavoro che noi, dobbiamo essere onesti, non conosciamo davvero perché sono nati e si sono sviluppati negli ultimi vent’anni, ma sono queste le frontiere del nuovo socialismo. Io sono sicuro, compagni, che ce la possiamo fare. Avanti!
Marco Zanier (Intervento all’assemblea “Socialisti in movimento” del 12/03/2017)
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Messaggio per i socialisti per il NO, di Felice Besostri
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Care compagne e cari compagni
non posso essere con voi oggi, se non con il cuore. Dal Gennaio di quest’anno sono le decine di manifestazioni che ho fatto, dai dibattiti pubblici, in particolare i confronti tra esponenti del SI’ e del NO ai seminari di formazione. Un impegno preceduto dal coordinamento di azioni giudiziarie contro la legge elettorale l’ITALIKUM ( lo scrivo con la kappa per sottolineare la sua estraneità ai principi democratici della Costituzione italiana) iniziato nel Novembre 2015. Finora sono stati presentati 23 ricorsi in altrettanti Tribunali e 4 sono già approdati in Corte Costituzionale da Messina a Torino, da Perugia a Trieste, l’ultima in ordine di tempo del 5 ottobre scorso. Una decisione che ho preso coordinando gli avvocati anti-italikum, un centinaio di legali, che in tutta Italia si battono senza onorari per difendere il nostro diritto di votare secondo Costituzione un principio fatto affermare, insieme con gli avvocati Bozzi e Tani con l’annullamento del Porcellum con la famosa sentenza n. 1/2014. Bisognava agire con decisione per impedire che si votasse una volta con una legge incostituzionale, come è avvenuto con il Porcellum per ben 3 volte nel 2006, nel 2008 e nel 2013. Dopo quella sentenza un Presidente della repubblica rispettoso del suo ruolo aveva una sola decisione da prendere invitare le Camere ad approvare un nuova legge elettorale rispettosa dei principi costituzionali e sciogliere le Camere. Invece non solo ha mantenuto in piedi un Parlamento delegittimato, ma addirittura autorizzato ex art. 87 c. 4 Cost. il governo a presentare, formalmente per la prima volta, un disegno di legge costituzionale contro l’insegnamento del grande giurista, uno dei padri della patria, il liberalsocialista Piero Calamandrei: quando si discute di Costituzione i banchi del Governo devono restare vuoti. De Gasperi intervenne una ola volta in Assemblea Costituente , ma parlando dal suo posto di deputato e non come Presidente del Consiglio. Altri tempi.
Questa Costituzione è la nostra la scelta Repubblicana è stata di Pietro Nenni con lo slogan “LA REPUBBLICA O IL CAOS!”. Socialista, Lelio Basso è la mano che ha scritto uno degli articoli più belli della nostra Costituzione la seconda parte dell’art. 3: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Socialista è stata la più coerente e determinata opposizione alle leggi elettorali maggioritari Matteotti contro la legge Acerbi nel 1923 e Nenni contro la Legge truffa del 1953. Leggi peraltro che prevedevano una percentuale minima per far scattare il premio di maggioranza il 25% la legge Acerbo e addirittura il 50%+ 1 la legge truffa e nessuna soglia di accesso. Matteotti, Turati e Gramsci sono pur entrati in Parlamento, con percentuali inferiori al 4%. Legge elettorale e revisione costituzionale sono strettamente legate benché dal governo lo si voglia negare. Di questo si è reso conto il PSI con l’unico voto unanime del Consiglio Nazionale contro L’Italikum: un voto rapidamente tradito da Nencini e i suoi seguaci. Stiamo facendo un referendum truccato ridotto a spot pubblicitario a reti unificate RAI e Mediaset e grande stampa. Senza la 7, il Fatto Quotidiano e il Manifesto il NO non avrebbe voce , se no quella dei militanti e dei cittadini sul territorio. In questa situazione è stupefacente che nei sondaggi il NO sia sempre avanti.
Ma non dobbiamo stare tranquilli perché applicando il margine di errore dei sondaggi pari al 3% si tratta di una sostanziale parità. Ogni voto in assenza di quorum sarà decisivo e quelli decisivi saranno quelli raccolti uno ad uno dai vostri familiari, amici, vicini, colleghi di lavoro o di studio. Il quesito referendario è distorsivo: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?”
Il primo aspetto problematico è legato al testo stesso del quesito, poiché la revisione costituzionale non contiene solo gli argomenti menzionati nel quesito referendario ma anche:
- Modifiche alla elezione del Presidente della Repubblica e Riduzione del suo potere di scioglimento delle Camere
- Modifiche alla elezione dei membri della Corte Costituzionale di nomina parlamentare
- Modifiche in materia referendaria e di partecipazione popolare
- Disposizioni sulle modifiche agli Statuti delle Regioni a Statuto speciale e della Province autonome di Trento e Bolzano
Questi argomenti sembrano più importanti della soppressione del CNEL( uno dei tanti finti risparmi), di cui tra l’altro, in caso di vittoria del sì, l’intero personale resta a carico dello Stato, in quanto trasferito alla Corte dei Conti e i costi di manutenzione dell’immobile già sede del CNEL, di cui non è stata prevista l’alienazione.
Il risparmio sui costi del Senato 54 milioni su 560 milioni di costo non è un risparmio ma il prezzo per averci rubato il diritto di voto: ce lo pagano quanto un caffè all’anno per ogni cittadino elettore, nemmeno quello se consideriamo tutti gli italiani. Il presunto tetto alle indennità dei consiglieri regionali previsti dal nuovo articolo 122 Cost. in Lombardia se parametrato al Sindaco di Milano comporterebbe più del loro raddoppio.
Per far digerire la pillola ci dicono il nuovo senato sarà comunque rappresentativo perché voi eleggete i consigli regionale e questi eleggono i consiglieri reginali senatori CON METODO PROPORZIONALE ( nuovo art. 57 c. 2). Ebbene in 10 regioni e province autonome i senatori sono solo 2, di cui uno sindaco: come i faccia ad eleggere con metodo proporzionale UN SENATORE? O anche 2 in Sardegna e Calabria?
Le garanzie diminuiscono e soprattutto il Presidente della repubblica diventa un ostaggio nelle mani del Presidente della Repubblica: bastano 366 voti per metterlo in stato d’accusa, chi vince alla Camera parte da 340 seggi cui si aggiungo i rappresentanti delle regioni a statuto speciale , che conservano tutti i loro privilegi, che non possono essere diminuiti se non con il loro consenso , mentre le altre compresa la nostra hanno un’autonomia praticamente annullata. Ci sarebbero altre cose da aggiungere contro questa deforma costituzionale, basta usare la parola RIFORMA anche per criticarla. Per noi socialisti la parola RIFORMA è sacra non rubatela per le vostre manovre di controllo politico del Paese. Solo il NO è premessa di cambiamento che pone come primo compito di attuare la Costituzione non di demolirla.
Buon lavoro e sempre AVANTI!
Felice Besostri
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La democrazia dell’Assemblea Costituente e una legge elettorale efficace (pensiero e politica nel primo Francesco De Martino), di Marco Zanier
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Io credo che parlare di Assemblea Costituente, anche in campo socialista, senza citare chiaramente le idee degli uomini e delle donne che ne hanno fatto parte non sia corretto.
Dico questo perché durante il periodo compreso tra il 25 giugno 1946 ed il 31 gennaio 1948 a discutere, ragionare e materialmente scrivere la nostra Costituzione c’erano delle persone reali, con idee ed impostazioni differenti, ma con un passato condiviso : la lotta clandestina contro il fascismo e gli occupanti tedeschi, combattuta a lungo con le armi e con le idee da fronti politici diversi uniti da una grande voglia di libertà.
Tenere conto di tutte le istanze che vennero portate avanti dalle componenti politiche più differenti ma ugualmente vincitrici del conflitto contro il regime e quindi in grado di sedersi assieme per decidere su quali basi e con quale impostazione organizzare la struttura fondamentale del nostro Stato è un lavoro complesso, enorme, se preso nella sua interezza. Ci si sono impegnate con ottimi risultati menti più duttili e sicuramente più preparate della mia. Non credo sia utile tentare di ricostruirlo in questa sede. Al contrario, penso che possa essere ancora di qualche interesse e certamente di grande attualità riannodare in parte il filo dei ragionamenti che portarono alcuni esponenti di una parte della sinistra, quella che poi contribuì a rimettere in piedi il Partito socialista italiano, ed in particolare di quello che ne sarebbe divenuto presto un protagonista importante e più tardi per tre volte il segretario, dopo aver guidato a lungo il partito al fianco di Nenni: sto parlando di Francesco De Martino.
Nato a Napoli il 31 maggio 1907 da una famiglia della media borghesia, dopo aver frequentato l’Università Federico II di quella città nella Facoltà di Giurisprudenza, in cui insegnava anche Arturo Labriola, esservisi laureato nel 1933 ed essere diventato professore ordinario nel 1941, venendo poi chiamato dall’Università di Bari a ricoprire la cattedra di Storia del diritto romano, Francesco De Martino nel 1943 si era iscritto al Partito d’Azione. L’anno successivo, dopo la liberazione di Napoli, si era schierato all’interno della componente di ispirazione socialista, che aveva in Emilio Lussu il suo principale esponente. Come membro autorevole della corrente di sinistra, in contrasto con la parte più moderata capeggiata da Ugo La Malfa e Adolfo Omodeo, aveva partecipato attivamente al dibattito interno e al congresso di Cosenza nell’agosto di quell’anno, presentando assieme ad Emilio Lussu un ordine del giorno, approvato a larga maggioranza dai delegati, contribuendo alla affermazione di una linea politica più marcatamente socialista ed entrando a far parte dell’esecutivo nazionale. Nel Partito d’Azione sarebbe restato fino al suo scioglimento, confluendo, nel 1947, nel Partito socialista italiano, aderendo alla corrente di Lelio Basso, eletto segretario dopo la scissione socialdemocratica di Palazzo Barberini voluta da Giuseppe Saragat.
È con questa impostazione e queste premesse che Francesco De Martino,che non era ancora eletto in Parlamento (vi entrerà nel 1948 e vi resterà fino al 1983), contribuisce, dall’interno del Partito d’Azione, con proposte ed articoli pubblicati sul giornale di riferimento “L’Azione”, a stimolare alcuni temi oggetto dei lavori dell’Assemblea Costituente, elaborando un suo percorso, a mio avviso interessante, da cui si può capire molto del suo socialismo degli anni seguenti.
Le scelte del giovane Francesco De Martino
Per capire meglio il personaggio ed il contesto politico in cui si trovò ad operare, è utile secondo me, consultare due fonti dirette, vale a dire due testimonianze dello stesso Francesco De Martino rilasciate più tardi in occasione di occasione di studi approfonditi sul Partito d’Azione a Napoli e sul suo ruolo politico in quegli anni. La prima è questa, del 1975:
Nel 1943 chi scrive si era buttato nella lotta politica con l’entusiasmo e la passione di chi per lunghi anni aveva atteso la caduta del fascismo e la restituzione della libertà e nell’insegnamento universitario e nell’attività scientifica aveva trovato una certa tranquillità della coscienza di fronte alla miseria dei tempi. La scelta del P d’A fu una scelta per questa rottura ed anche per qualcosa di nuovo, di diverso dai vecchi partiti, che quasi ragazzi avevamo visto dissolversi nel 1922-25 e che coscientemente o meno ritenevamo responsabili per errori o debolezze della vittoria del fascismo. La questione istituzionale si poneva a noi come un’esigenza morale prima ancora che politica, una necessità della nostra coscienza. […] 1
La seconda è questa, del 1991:
Ma allora perché non eravate andati col Partito socialista? Si potrebbe obiettare. Perché non ci credevamo, perché credevamo che il Partito socialista fosse il responsabile o uno dei responsabili degli errori compiuti all’avvento del Fascismo e anche perché, come partito, non singole personalità attive nella lotta, era stato assente in Italia durante il periodo clandestino. Per queste ragioni, cercavamo qualcosa di nuovo: perciò molti intellettuali e non, me compreso, che si sentivano tendenzialmente socialisti, scelsero il Partito d’azione e non il Partito socialista. Errore grave di analisi e valutazione, perché evidentemente non avevamo valutato un altro elemento che non dovrebbe essere assente in nessuna ricerca storico-politica, cioè la grande forza di una tradizione che spingeva verso il Partito socialista un’infinità di persone che non aveva saputo niente della politica perché nata e vissuta sotto il Fascismo, ma aveva sentito dai padri, dagli antenati, vagamente parlare di questo socialismo e che intravedeva nel socialismo lo strumento per realizzare un’ansia di uguaglianza, di libertà, di progresso. […]2
Insomma il giovane professore universitario e futuro segretario del PSI Francesco De Martino, negli anni dell’Assemblea Costituente era entrato nel Partito d’Azione per creare qualcosa di nuovo e di utile al Paese, non conoscendo la reale portata dell’attrattiva che il socialismo italiano esercitava ancora su tantissime persone e soprattutto, aggiungo, ignorando il grandissimo lavoro politico clandestino che portato avanti negli anni Trenta soprattutto nell’Italia settentrionale dal Centro socialista interno guidato per tanti anni da Rodolfo Morandi e che aveva visto tra le sue fila Lelio Basso, Eugenio Colorni, Lucio Luzzatto ed Eugenio Curiel3.
Una testimonianza autorevole e diretta, la voce narrante di Gaetano Arfé, lo storico più importante del socialismo italiano, ci aiuta disegnare con chiarezza i contorni del socialismo meridionale di quegli anni4:
Il Sud ha conosciuto gli eccidi contadini nell’età giolittiana, ma la violenza squadristica è stata episodica e localizzata e non vi ha creato i fermenti necessari allo sviluppo di una cospirazione potenzialmente di massa, non vi è passata la resistenza. […] Tra le eredità di segno negativo è anche quella che Napoli non è mai stata il centro di irradiazione di idee e di impulsi all’azione in direzione delle altre regioni del Mezzogiorno e della sua stessa provincia. […] Non stupisce perciò che negli anni del fascismo il socialismo sopravviva soltanto in alcune figure di rilievo, tra le quali il salernitano Luigi Cacciatore, prematuramente scomparso, ed il lucano Oreste Lizzadri, operante però a Roma, avranno parte di primo piano nella condotta del partito e del movimento sindacale nei primi anni della repubblica. Noti alla polizia e vigilati, isolati e senza rapporti tra loro, relegati in un ambiente dove il socialismo, come il Cristo di Carlo Levi, fuori che in pochi casi si era fermato alle soglie delle campagne ed era mal penetrato anche nelle città, privi di riferimenti specifici ai temi meridionalistici, nella tradizione socialista, i socialisti meridionale non riescono a costruire l’embrione di un gruppo potenzialmente dotato di un autonomo sviluppo.
Un clima non propizio all’emergere di figure nuove interessate a far rinascere il socialismo nel Meridione, se non fosse che, come spiega ancora Arfé:
Il richiamo al socialismo può essere a questo punto riproposto in una dimensione che travalica i confini politici del partito e quelli geografici del Mezzogiorno. Nel meridionalismo della sinistra confluiscono infatti, in un clima di appassionato impegno, i motivi della antica polemica salveminiana che dall’interno del movimento socialista aveva preso le mosse e quelli maturati nella Torino operaia di Gramsci e di Gobetti, gli studi e le riflessioni del gruppo di giovani comunisti raccolti da Amendola, addottorati più d’uno di essi presso la facoltà di Agraria di Portici, e le esperienze nazionali e internazionali di rivoluzionari professionali quali Di Vittorio e Grieco.
Quindi se non nel Partito socialista (poco radicato nel Meridione e senza i fermenti necessari che portarono il Settentrione alla Resistenza) ma dall’interno del Partito d’Azione stando bene attento all’attrattiva forte che esercitava il socialismo su moltissime persone, se non nel clima culturale assonnato della sua Napoli ma nel meridionalismo della sinistra, inteso anche in chiave gramsciana, con lo sguardo rivolto a quello che si muoveva a sinistra nel Sud del Paese, di cosa parlava il giovane Francesco De Martino negli anni cruciali che vanno dall’armistizio alla caduta del fascismo? Guardava alla necessaria fondazione della Repubblica italiana, come uomo di sinistra sempre più vicino al socialismo, consapevole dei problemi seri e complessi che bisognava impostare e risolvere. Così affrontava in quegli anni la responsabilità di porre i problemi più importanti del nuovo Stato italiano in costruzione, magari per poterlo governare quanto prima insieme alle altre forze della sinistra.
Il ruolo dell’Assemblea Costituente
In pratica, il tema fondamentale di quegli ani non era il meridionalismo, ma era la Repubblica e per la Repubblica ci si batteva, oltre che nelle questioni interne per la definizione del partito5.
È con questo spirito che guardava all’Assemblea Costituente. Ma questa cos’era esattamente? Una definizione efficace ce la fornisce proprio lui nel 19456:
L’Assemblea costituente è un organo sovrano, al quale il popolo conferisce, per mezzo delle elezioni, i più ampi poteri rispetto alla formazione del nuovo Stato italiano. Non si può porre alcun limite preventivo a quest’organo: il potere di sovranità ad esso conferito è illimitato per sua natura ed essenza. Esso è molto più vasto dei poteri di un qualunque capo di stato, perché questo è sottoposto a leggi preesistenti mentre la Costituente non è sottoposta a nessuna legge costituzionale, in quanto essa è la fonte delle leggi costituzionali. […] Com’è ovvio, la posizione sovrana dell’assemblea costituente non può confondersi con quella di un qualunque organo dispotico, perché essa deriva i suoi poteri dal popolo, convocato da liberi comizi, è destinata ad una vita del tutto tranquilla e di breve durata, è composta dai rappresentanti di tutti i partiti, e garantisce ad essi il pieno rispetto del metodo democratico.
L’Assemblea Costituente era stata creata per dare vita alla Carta fondamentale dello Stato italiano ed aveva poteri superiori a qualsivoglia governo perché il suo mandato derivava dal popolo e si esprimeva attraverso il confronto democratico dei rappresentanti di tutti i partiti. Una precisazione che oggi, in tempi di riscrittura e stravolgimento dell’impianto complessivo della Costituzione da parte della sola maggioranza di governo risulta ancora molto molto utile ed attuale.
La ricerca di una legge elettorale efficace
L’altro tema da chiarire oggi, sfogliando le carte del Francesco De Martino non membro della Costituente ma del Partito d’Azione napoletano, è quali problemi si ponesse nell’affrontare la creazione di una legge elettorale giusta ed efficace. Molto utile, a questo fine, è continuare la lettura di quello stesso articolo:
È noto che, a grandi linee, i sistemi elettorali possono dividersi in due categorie: quelli che lasciano le minoranze senza tutela e quelli che ad esse riconoscono una rappresentanza più o meno adeguata alla loro entità. I primi hanno il vantaggio di permettere quasi sempre la formazione di maggioranze compatte ed omogenee, le quali nelle democrazie parlamentari possono esprimere governi forti ed autorevoli. Ma essi hanno il grave difetto di opprimere le minoranze e di trasformarsi in veri e propri strumenti di potere egemonico e dispotico del partito più forte, con il pericolo implicito di spingere le minoranze sul terreno della lotta illegale e rivoluzionaria. I secondi hanno vantaggi e vizi precisamente opposti. Essi assicurano una larga tutela alle minoranze, creano una rappresentanza politica che rispecchia fedelmente le divisioni del paese e consolidano il gioco normale della democrazia, che consiste nel perenne alternarsi delle varie correnti politiche al potere. Ma, soprattutto in paesi dove mancano grandi partiti politici con ricche esperienze e solide tradizioni, quei sistemi producono il frazionamento dei gruppi parlamentari, donde consegue la necessità di governo di coalizione, con tutti i mali connessi alle coalizioni politiche, vale a dire debolezza del potere centrale, tendenza piuttosto all’accordo sul non fare che all’accordo sul fare, soprattutto frequenti e lunghe crisi di governo.
Ma allora se i sistemi elettorali che non tutelano le minoranze, che danno via a governi forti, non vanno bene perché spingono implicitamente le minoranze alla lotta illegale ed alla prassi rivoluzionaria, se quelli che tutelano di più le minoranze non vanno bene perché danno vita ad esecutivi deboli, all’alternarsi di differenti correnti politiche al potere e spesso basati sull’accordo sul non fare tipico delle coalizioni, cosa aveva in testa nell’immediato secondo dopoguerra e cosa proponeva all’attenzione dei lettori de «L’Azione» ?
Un’ approfondimento di questi limiti lo troviamo in un altro suo intervento, un inedito non concluso, datato 1946, che è un lungo e articolato ragionamento sui molti aspetti che doveva, secondo lui, risolvere in tempi brevi l’Assemblea Costituente7:
Ma il problema della rappresentanza non è autonomo. Esso va collegato con l’altro problema, non meno importante e fondamentale, della costruzione degli organi dell’esecutivo. L’esperienza storica ci ha insegnato che questi due problemi richiedono il più delle volte soluzioni contrastanti. Più fedele è la rappresentanza e più è difficile creare un governo che sia unito nella volontà di realizzare una politica omogenea. Nella migliore delle ipotesi il governo sarà paralizzato da forze antitetiche, che non riescono ad intendersi su di un minimo di azione collettiva. La grande crisi italiana, che aprì la strada al fascismo nel 1922, fu anche la crisi di un esecutivo debole e paralizzato dalla mancanza di omogeneità. […] Non credo sia il caso di fermarsi nel collegio uninominale. Esso è condannato nella coscienza civile del nostro paese da una lunga esperienza negativa. Indubbiamente attraverso quel sistema si affermarono forti personalità di politici e di statisti, sia in campo conservatore che in campo democratico. Ma si affermarono anche interessi particolaristici, clientele, grossi personalismi che furono causa di corruzione del metodo liberale e fecero degenerare il parlamento.
Ed in questo stesso intervento, poco più avanti, troviamo alcune risposte ai dubbi che ci sono sorti leggendo:
Si potrebbe altresì stabilire un limite al potere dell’assemblea di porre il governo in minoranza, richiedendo maggioranze qualificate e vietando che si abusi delle questioni di fiducia nei dibattiti secondari. […] tutte le minoranze devono essere rappresentate, ma il partito più forte deve essere in grado di governare da solo cioè di avere un numero di seggi che gli permetta di assicurarsi una maggioranza nell’ assemblea.
Rispetto delle differenti opinioni espresse dal voto popolare, rappresentazione di tutte le minoranze in Parlamento, ricerca di un meccanismo che consenta con chiarezza la governabilità del Paese al partito più forte uscito dalle urne. Questi i problemi sul piatto messi da De Martino nel 1945 e 1946.
Su questi temi ritornerà più tardi, negli anni dei governi di centro-sinistra, nel 35° Congresso del PSI del 19638, poco prima di essere nominato Segretario del Partito9:
Esiste, certo, in tutti i paesi d’Europa un problema di efficienza del potere legislativo. Le misure di massima che vengono indicate, non sono rivolte ad accrescere il potere del Parlamento, ma se mai – e questo si potrà constatare nel corso dell’azione legislativa – si risolvono nel liberare il Parlamento di cose secondarie e minute, per riservargli grandi compiti che gli sono propri, in una fase in cui si affronta per la prima volta una esperienza di programmazione economica.
Quindi è impostando la grande opera riformatrice del governo Moro, il primo che vedeva la partecipazione dei socialisti al potere accanto ai democristiani e l’inizio della fondamentale stagione del centro-sinistra che avrebbe ridisegnato con Tristano Codignola il profilo della scuola media pubblica e sancito i diritti fondamentali di tutti i lavoratori nello Statuto voluto da Giacomo Brodolini, che l’allora vice- segretario del PSI Francesco De Martino si poneva il problema di accrescere il potere del Parlamento per impostare coerentemente la programmazione economica. Esattamente l’opposto di quello che sta facendo oggi il governo Renzi con riforme contro gli interessi della scuola pubblica e contro gli interessi della grande massa dei lavoratori che si sono visti mutilare i loro diritti da leggi approvate a colpi di maggioranza ottenuta con la fiducia imposta dal governo al Parlamento su un programma di fatto conservatore portato avanti da un partito fintamente democratico coi voti determinanti di elementi di centro-destra.
La scelta obbligata dei socialisti oggi
Oggi gli italiani sono chiamati a decidere nel Referendum costituzionale del 4 dicembre se scardinare, votando SI, l’equilibrio costituzione garantito dai pesi e i contrappesi accuratamente elaborati dall’Assemblea Costituente o difendere questi delicati equilibri che permettono il rispetto del gioco democratico e il pluralismo, votando NO. I socialisti come noi non possono avere dubbi: dobbiamo votare e far votare NO.
Lo dobbiamo alla nostra lunga storia che va da Filippo Turati a Rodolfo Morandi, da Lelio Basso a Francesco De Martino, da Giacomo Brodolini a Tristano Codignola, da Riccardo Lombardi a Vittorio Foa. Lo dobbiamo al nostro essere stati la prima forza della sinistra nata in Italia più di centoventi anni fa ed aver voluto ricostruire l’unità del movimento operaio elaborando e praticando un’alternativa credibile al governo dei poteri forti e degli interessi dei pochi contro le necessità della maggioranza che lavora con fatica sperando di avere un giorno una vita migliore.
Lo dobbiamo a Francesco De Martino, che ancora nel 1988 ricordando l’amico e compagno di strada Giacomo Brodolini10 e i governi di centro-sinistra, condannava la tentazione della scorciatoia autoritaria:
Allora vuol dire che se c’è una volontà politica, se vi sono degli uomini impegnati che credono in certe cose non è detto che il sistema parlamentare debba essere lento ed inefficiente; lo diviene se non c’è omogeneità, se non vi è intesa, se manca una seria volontà politica di affrontare insieme i problemi del paese. Certo un regime autoritario non ha i freni della democrazia ed i ritardi che essi comportano, ma può condurre a grandi catastrofi per decisioni prese da una sola persona, come l’esperienza insegna.
Marco Zanier
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1 Dalla sua prefazione al libro di Antonio Alosco «Il partito d’azione a Napoli», Guida editore, Napoli 1975 (pp. 7- 8)
2 Dal suo intervento in «La sinistra meridionale nel secondo dopoguerra (1943-54) Giornate in onore di Francesco De Martino», Istituto socialista di studi storici, Firenze 1991 (pp. 115-116)
3 Un lavoro coraggioso sul campo, in contatto con le fabbriche in tempi difficilissimi sotto lo stretto controllo della polizia politica fascista che proprio con quel centro clandestino si accanì più volte incarcerando i suoi dirigenti più volte e stroncando la rete di collegamenti creata per anni faticosamente, ma un lavoro che il giovane Francesco De Martino, attivo ed operante nel meridione non poteva conoscere nel 1943, dato che era ancora in piedi il regime fascista e la sua terribile censura e dato che Rodolfo Morandi era in carcere dal 1937, proprio per aver organizzato la rete politica clandestina socialista in Italia dopo il fallimento di Giustizia e Libertà. Ne ricorderà però la figura molti anni dopo, nel 1980, in un memorabile discorso, facendo luce su tanti aspetti importanti della sua vita politica
4 Dall’intervento di Gaetano Arfé nel già citato «La sinistra meridionale nel secondo dopoguerra (1943-54) Giornate in onore di Francesco De Martino» (pp. 1-8)
5 Sono le parole di Francesco De Martino, riferite al Partito d’Azione, nal suo intervento nel già citato «La sinistra meridionale nel secondo dopoguerra (1943-54) Giornate in onore di Francesco De Martino» (p. 116)
6 «I problemi della costituente», pubblicato su «L’Azione» il 3 e il 10 agosto 1945, ora in Francesco De Martino, «La mia militanza nel Partito d’Azione (1943-1947» a cura e con introduzione di Antonio Alosco, Piero Lacaita editore, Manduria- Bari- Roma, 2003 (pp. 124-132)
7 «La Costituzione di uno Stato moderno», in Francesco De Martino «La mia militanza nel Partito d’Azione (1943-1947)», cit. pp. 181-186
8 Dal suo intervento al 35° Congresso Nazionale del PSI – Roma 25- 29 ottobre 1963, pubblicato in «Francesco De Martino Scritti politici (1943- 1963) Vol. I», a cura di Antonio Alosco e Carmine Cimmino, Guida editori, Napoli 1982 (p. 262)
9 Nell’utilissima cronologia «Cento anni del Partito Socialista Italiano» di Franco Pedone con prefazione di Gaetano Arfé, pubblicato da Teti Editore nel 1993 si legge in proposito alla data del 12 dicembre 1963: La Direzione del Partito socialista nomina F. De Martino segretario del Partito, G. Brodolini vice-segretario e R. Lombardi direttore dell’«Avanti!» (p.212)
10 Dalla commemorazione di Giacomo Brodolini tenuta il 30 aprile 1988 da Francesco De Martino, nell’Aula Magna del Comune di Recanati su invito della Fondazione Brodolini, ora in «Socialisti e comunisti nell’Italia repubblicana», a cura di Chiara Giorgi con presentazione di Gaetano Arfé, La Nuova Italia, 2000 (pp. 137-158)
Questa voce è stata pubblicata in Assemblea Costituente, Costituzione italiana, democrazia, Francesco De Martino, Lelio Basso, Parlamento, Riforma Renzi Boschi, Senato, Senza categoria, Socialismo, Riforme, Referendum, Governo Renzi, PSI, Comitato socialista per il NO, Voto.
I socialisti per il NO al referendum costituzionale, di Felice Carlo Besostri
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Quest’autunno si gioca la partita decisiva per le sorti della democrazia italiana, messa in pericolo dall’intreccio perverso tra la deforma costituzionale e una legge incostituzionale iper-maggioritaria, come l’Italikum.
Noi socialisti abbiamo un dovere storico di rispettare la nostra storia e i nostri valori: contro la legge Acerbo l’inizio “legale” del regime fascista i socialisti hanno condotto una lotta intransigente, che è stata pagata con l’assassinio di Giacomo Matteotti e senza l’Assemblea Costituente, nella quale i socialisti erano la maggiore fomazione della sinistra e che la vollero con determinazione, insieme con la forma repubblicana dello Stato, la Liberazione dal nazi-fascismo non sarebbe stata coronata dalla nostra Costituzione. ”L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, nella quale “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” formulazione che esclude ogni forma plebiscitaria e l’esistenza di ogni concentrazione di potere in un partito e in una persona. Per questo i socialisti sono stati in prima fila, con i discorsi appassionati di Pietro Nenni, contro la cosiddettta legge truffa, che assegnava il 65% dei seggi, a un passo dai 2/3 per cambiare la Costituzione senza rischi di referendum, alla coalizione, che avesse raggiunto il 50%+1 dei voti. Il sistema elettorale è essenziale per poter garantire una rappresentnza, rispettosa dei valori della Costituzione, che non può essere cambiata da forze che non rappresentino la maggioranza reale del popolo, uno depositario come corpo elettiorale della sovranità.
Non per ragioni formali, ma sostanziali, come potrebbe altrimenti realizzare i suoi compiti? Grazie al socialista Lelio Basso abbiamo un secondo comma dell’art. 3, quello sull’uguaglianza, afferma solennemente, che “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limutando di fatto la libert e l’eguagluianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva parytecipazione di tutti i lavoratori all’organizazione politica, economica e sociale del Paese”.
In particolare, come socialisti, non posssiamo tollerare l’uso della parola “RIFORMA”, che non sia una modificazione migliorativa. La revisione promossa dalla coppia Renzi-Boschi dietro al paravento demagogico di una riduzione del numero dei Senatori, mantiene una camera di 630 deputati, quando una riduzione del 10% delle indennità di tutti i parlamentari avrebbe consentito risparmi molto maggiori, come anche la riduzione dei privilegi delle Regioni autonome. Le parole contro la casta, come se questa fosse composta solo da Senatori, mette al sicuro con l’immunità consiglieri regionali e sindaci, protagonisti di malversazioni e corruzioni. Non uno dei problemi viene risolto non la semplificazione e accelerazione del procedimento legislativo, il cui problema principale è la qualità delle leggi e il loro numero eccessivo, da un articolo 70 di 9 parole, ”La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere” si passa a sei commi di 422 parole: talmente confuso, che nemmeno i costituzionalisti si sono accordati sul numero dei procedimenti di approvazione delle leggi si va da sei a dieci. Non si potranno più fare leggi organiche, come i resti unici che regolino materie la cui competenza non sia esclusiva della Cammera dei deputati.
Tamponati i conflitti Stati-Regioni, con una nuova centralizzazione, si aprono continui conflitti tra Camera dei Deputati e Senato della Repubblica. Si affermano principi come che i senatori consiglieri debbono essere eletti dai Consigli regionali “con metodo proporzionale” e si fissa un numero di 95 senatori eletti di secondo grado, di cui 21 sindaci, che nella maggioranza dei casi prevede di eleggere un consigliere senatore e un sindaco: impossibile farlo con metodo proporzionale!. La nomina del Presidente del Consiglio, in violazione dell’art.92 Cost., viene afidato ad un ballottaggio, cui sono ammesse le due liste più votate tra quelle sopra la soglia del 3%, senza alcuna soglia minima di votanti e di voti validi per avere lo stesso premio di maggioranza di 340 seggi, attribuito ad una lista che al primo turno avesse avuto il 40% dei voti validi, cioè comprensivi delle schede bianche e delle liste sotto soglia: assurdamente il premio di maggioranza è tanto più alto, quanto minore è il consenso elettorale!
Il premio di maggioranza consenta ad un sola lista e ad un Presidente del Consiglio, che ne sia alla testa come capo poliitico di controllare/determinare l’elezione del Presidente della Repubblica, per il quale dalla settima votazione non serve più la maggioranza assoluta del Parlamento in seduta comune ma solo i 3/5 dei votanti e quindi la maggioranza della Corte Costituzionale sarà controllata dall’accoppiata Presidente della Repubblica.
Basta e avanza per dire un chiaro e rotondo NO socialista!
Felice C. Besostri
Questa voce è stata pubblicata in Costituzione italiana, Lelio Basso, Parlamento, Riforma Renzi Boschi, Senato, Senza categoria, Socialismo, Riforme, Referendum, Governo Renzi, PSI, Comitato socialista per il NO.
La Costituzione di Lelio Basso, l’eguaglianza possibile e l’attacco ai nostri diritti, di Marco Zanier
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“Attribuiva grande valore al movimento di resistenza non solo perché aveva combattuto per la libertà e la giustizia ma perché essendo stata una lotta di popolo aveva promosso la partecipazione delle masse alle scelte politiche del Paese”. Così Aldo Aniasi [1], partigiano in Valsesia e nella Repubblica dell’Ossola, dirigente socialista di livello e poi sindaco di Milano inquadrava un aspetto centrale del pensiero di Lelio Basso.
Resistenza, lotta di popolo, partecipazione delle masse possono sembrare a noi oggi cose circoscritte nel tempo della guerra di liberazione e lontane dai nostri giorni ma invece costituiscono ancora l’intelaiatura di alcuni articoli molto importanti della nostra Costituzione, il n. 3 e il n. 49, che proprio Basso ha contribuito in modo determinante a scrivere e costruire nella loro forma definitiva.
Come ha detto lucidamente Stefano Rodotà[2]: “Contraddizione e conflitto, e partecipazione dei lavoratori, ci conducono così al capolavoro istituzionale di Basso (assistito dalla fiduciosa sapienza giuridica di Massimo Severo Giannini): all’art.3 della Costituzione, e soprattutto a quel suo secondo comma sull’eguaglianza sostanziale che innesta sul tronco istituzionale la contraddizione sociale, che forza le istituzioni a misurarsi con il conflitto tra esclusione e partecipazione. Si precisano così le modalità dell’intreccio tra lotta politica e strumenti istituzionali, e il ruolo di questi strumenti nel processo rivoluzionario”. Chiarendo senza possibilità di dubbi quello che Basso immaginava col termine “rivoluzionario”: “Un processo le cui caratteristiche diventano più chiare nel momento in cui il riferimento alla legalità non allude ad un “dopo”, ad una legalità rivoluzionaria che si pone come momento terminale, successivo alla presa del potere realizzata per vie diverse, ma diventa una delle componenti essenziali di una lotta politica e sociale, qualificando così modalità e caratteri di quel processo.”
La commemorazione di Stefano Rodotà, è chiaramente più ampia di questi pochi passaggi, abbraccia un periodo più vasto che comprende l’impegno di Basso nell’Assemblea Costituente, ma anche il suo contributo nel 1976 alla stesura del documento fondante del diritto delle Nazioni Unite, la cosiddetta Carta d’Algeri, in cui lui individua un legame sostanziale tra la rimozione degli ostacoli materiali per l’individuo indicata nell’art. 3 della Costituzione italiana e quelli per i i popoli nella carta del 1976. E questo ci riporta al momento iniziale del nostro ragionamento, alle parole del partigiano Aldo Aniasi che vedeva nel socialismo di Basso un processo in divenire per portare attraverso la lotta di popolo le masse alla partecipazione democratica del potere.
Ma chi era in quegli anni Lelio Basso e cosa aveva significato il suo pensiero negli anni precedenti la lotta di liberazione e la Resistenza? La domanda non è delle più semplici ma è estremamente importante perché ci permette di ricostruire le origini di un’elaborazione teorica tra le più significative del Novecento che tanto ha influenzato negli anni successivi gli sviluppi e l’affermazione di una politica di classe che è stata uno degli aspetti migliori del socialismo italiano del dopoguerra.
Tra i molteplici studi che si sono susseguiti negli anni su di lui, segnalo per tanti motivi l’ultimo ampio lavoro di Chiara Giorgi[3] che ne ricostruisce il percorso dalla sua formazione alla costruzione passo dopo passo della nostra Carta costituzionale nei lavori dell’Assemblea Costituente.
Basso, che apparteneva alla generazione di Piero Gobetti, Rodolfo Morandi e Carlo Rosselli, ossia di coloro che sentivano sulle loro spalle il peso e la responsabilità di una generazione da reimpostare seguendo gli insegnamenti di Antonio Labriola e Rodolfo Mondolfo, fin dai primi saggi negli anni Venti ha espresso una consapevolezza rara del dover dare vita ad un processo che facesse rinascere su basi nuove il socialismo italiano partendo sia da una lettura attenta dell’opera di Marx che dalla necessità di registrare la coscienza di classe del proletariato. Fin da questi primi scritti, il cammino delle masse proletarie si configura come una pressione del lavoro sul capitale e della classe lavoratrice sullo sviluppo della grande industria. Negli anni insomma dell’affermazione vittoriosa e tronfia del fascismo, con la negazione dei diritti essenziali ed il controllo del regime sulla classe operaia, Lelio Basso, afferma che “il socialismo dev’essere non solo lo sbocco cosciente della rivoluzione proletaria, ma anche la realizzazione del pensiero filosofico del proletariato”. Saranno queste le premesse dell’antifascismo di classe degli anni Trenta, quel Centro socialista interno diretto da Rodolfo Morandi e costruito clandestinamente con Eugenio Colorni, Lucio Luzzatto ed Eugenio Curiel che avrebbe impostato, con maggiore consapevolezza del gruppo di Giustizia e Libertà ormai falcidiato dal regime, le premesse di classe della futura Resistenza e della collaborazione tra socialisti e comunisti per la creazione di un futuro democratico del Paese.
È questo il terreno da cui nasce e si sviluppa in lui la necessità di fare posto alla partecipazione popolare alla democrazia unita alla tutela dei diritti inviolabili della persona umana nell’ordinamento del nuovo Stato italiano. Per questo si batterà con successo nell’Assemblea Costituente per costruire l’impianto dell’articolo 3 e dell’articolo 49 in relazione a quanto espresso nell’articolo 1, ossia normare l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e la loro possibilità di associarsi liberamente per partecipare alle scelte politiche della Repubblica democratica fondata sul lavoro. Se entriamo ora nelle pieghe della scrittura della Carta costituzionale, diventano ancora più appassionanti le sue posizioni e le sue battaglie per far passare i principi del socialismo e del rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo, visto come parte di un insieme di lavoratori che hanno il diritto di trasformare progressivamente i rapporti di forza che ancora determinano l’esclusione dai processi decisionali.
L’articolo 3
Tutti conosciamo, credo, il testo dell’articolo 3 della nostra Costituzione, che recita:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Ma dietro questo articolo forse non molti di noi sanno quanto lavoro c’è stato da parte dei costituenti ed in particolare di Lelio Basso, che è riuscito a fare affermare alla nostra Costituzione che non si realizzerà l’uguaglianza affermata nel primo comma (“tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”) , se lo Stato italiano non avrà rimosso gli ostacoli che impediscono ai suoi cittadini di avere la sostanziale uguaglianza (comma due). Ed essendo in contrasto il comma due (ci sono ostacoli da rimuovere per realizzare l’uguaglianza ) col comma uno (tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge) esiste nell’art. 3 la concezione dei rapporti di forza sociali da modificare progressivamente in uno Stato democratico, di chiara derivazione marxista, che Basso espresse più tardi [4] con queste parole: “riconosce che in Italia c’è un ordine sociale di fatto che è in contrasto con l’ordine giuridico”. Se la definizione dell’eguaglianza sostanziale che spetta di diritto ai cittadini si configura come un processo in divenire, è anche la critica della definizione di “uomo naturale e isolato” che il suo contributo in Assemblea costituente contesta, affermando che la persona è al centro dei rapporti umani e sociali e si afferma all’interno del contesto sociale. Ed anche questo è evidentemente un concetto di derivazione marxista che lui porta dentro la legge fondamentale del nuovo Stato italiano. Non si capisce la portata delle affermazioni contenute nell’art. 3 se non si tiene presente la visione politica complessiva di Basso che nel 1947 [5] espresse con queste parole: “Noi pensiamo che la democrazia si difende […] non cercando di impedire o ostacolare i poteri dello Stato, ma al contrario, facendo partecipare tutti i cittadini alla vita dello Stato […]. Solo se noi otterremo che tutti siano effettivamente messi in condizione di partecipare alla gestione economica e sociale della vita collettiva, noi realizzeremo veramente una democrazia”.
L’articolo 49
L’altro articolo della nostra costituzione sul quale dobbiamo soffermarci è il 49, che recita:
Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.
Anche qui l’impegno di Basso è stato fondamentale e già da una prima lettura se ne può scorgere il nesso profondo con quanto sancito dall’art.3. Ma nondimeno è legato strettamente con quanto scritto nell’art. 1, secondo cui la sovranità appartiene a tutto il popolo. È con il riconoscimento ai partiti del ruolo di strumenti democratici per determinare la partecipazione della democrazia, si badi bene, a tutti i partiti, non solo quelli al governo ma anche quelli all’opposizione che in questo articolo si rende manifesto quanto espresso nell’articolo 1 legando ad essi la sovranità popolare, il carattere democratico della forma repubblicana, il riconoscimento di partecipare tutti con le proprie idee e convinzioni politiche alle scelte del governo ed alle osservazioni dell’opposizione, perché entrambe portate avanti da partiti che sono riconosciuti dalla nostra Costituzione perché espressione della libera associazione dei cittadini (che l’articolo 3 afferma essere tutti uguali davanti alla legge senza distinzioni e dunque tutti in grado di esprimere una propria idea politica e di partecipare delle scelte dello Stato). Per Basso i partiti consentono di superare la vecchia logica de sistema parlamentare di impostazione liberale, perché esprimono “le differenze effettive del popolo reale”. Sono i partiti, banditi ricordiamolo sempre dal regime fascista contro il quale i nostri costituenti hanno lottato e Basso con loro, i massimi garanti che questa unitaria volontà corrisponda quanto più possibile agli interessi della popolazione. Sono essi il tramite fra la sovranità popolare riconosciuta dall’art. 1 quale fondamento dello Stato italiano e gli organi deputati a realizzare la sua volontà in forma di legge.
La riforma Renzi- Boschi ed il ruolo dei socialisti
Ricostruito il percorso che ha portato il massimo costituente socialista ad inserire nella Carta costituzionale il riconoscimento dell’inviolabilità dei diritti di ogni cittadino ad esprimere una propria opinione, il ruolo dello Stato che riconoscendo l’esistenza di un ordine sociale difforme da quanto affermato come diritto inviolabile di tutti si deve impegnare a rimuovere gli ostacoli che vi si frappongono, il ruolo dei partiti come espressione massima della volontà popolare e portatori delle diverse istanze della gente che vive quotidianamente le difficoltà più diverse e vuole contribuire col voto a determinare le scelte politiche nazionali dei singoli governi, come potrebbe essere possibile che i socialisti oggi sostengano le ragioni della riforma Renzi-Boschi che di fatto toglie la voce alla gran parte dei cittadini, non riconosce valide e degne di nota le opinioni differenti dal partito che con una risicata maggioranza potrebbe controllare l’intero Parlamento, stravolto peraltro nella sua forma e nelle sue funzioni dall’abolizione di fatto dei contrappesi necessari presenti nella formulazione di una Camera e di un Senato con pari dignità giuridica ed introduce parlamentari nominati direttamente dal Presidente del Consiglio? Per me tutto questo se per un comune cittadino è inaccettabile, deve esserlo a maggior ragione per chi si definisce nel socialismo, nei suoi principi, nei suoi obiettivi, nel suo orizzonte di trasformazione sociale complessiva attraverso passaggi graduali ed il metodo democratico del confronto delle idee diverse.
Per mantenere la democrazia in Italia, continuare a far sentire ciascuno la nostra voce, confrontarci sui problemi reali e trovare delle soluzioni possibili, al Referendum di ottobre diciamo NO all’attacco del governo Renzi ai nostri diritti in nome della nostra bella inimitabile Costituzione, amata e studiata in tante parti del mondo.
Marco Zanier.
[1] Aldo Aniasi, “Maestro di socialismo”, intervento pubblicato in “Lelio Basso”, edizioni Punto Rosso 2012, p. 137
[2] Stefano Rodotà, “Vocazione costituente” (estratti dal discorso commemorativo tenuto il 15 novembre 1988 presso la sala Zuccari del Senato della Repubblica) ora in “Lelio Basso”, ed. Punto Rosso cit., p. 47
[3] Chiara Giorgi, “Un socialista del Novecento. Uguaglianza libertà e diritti nel percorso di Lelio Basso”, Carocci editore, 2015
[4] Lelio Basso, “Interventi”, a cura di F. Livorsi, “Stato e Costituzione”, atti del convegno organizzato dalla Fondazione Basso- ISSOCO e dal Comune di alessandria, Marsilio, 1977, p. 130
[5] Lelio Basso, AC, A, 6 marzo 1947
Questa voce è stata pubblicata in Assemblea Costituente, Costituzione italiana, Lelio Basso, Parlamento, Riforma Renzi Boschi, Senato, Senza categoria, Socialismo, Riforme, Referendum, Governo Renzi, PSI, Comitato socialista per il NO.