Piero Calamandrei

NO al taglio dei parlamentari. di Alberto Angeli

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E quindi il segretario del PD, Zingaretti, esprime contrarietà al referendum: “Non condivido quel referendum e credo sia stato un errore sottoscriverlo, anche se rispetto chi lo ha fatto, anche nel Pd. Abbiamo votato sì alla riforma non perché convinti, ma perché era nell’accordo di governo, assieme a garanzie di cui tutti ora si devono fare carico. Ma rischia di diventare un referendum sul parlamentarismo, in tempo di populismi”; questo è quanto dichiara all’assemblea Nazionale del PD di sabato 22. E a questa rivisitazione perviene dopo che per ben tre volte in aula il PD ha votato NO. Poi, alla quarta votazione e a governo giallo-rosso già formato, ha votato si. Un ravvedimento intervenuto non per guadagnare un oscar alla coerenza ( come dice Osca Wilde: la coerenza è l’ultimo rifugio delle persone prive d’immaginazione), per convinzione, poiché serviva a chiudere la trattativa con di Maio, al quale concedeva l’occupazione di poltrone di prestigio e il taglio dei parlamentari da assumere come simbolo dell’anti casta ( un puro atto populista e contro la democrazia parlamentare ).

Altra causa del discredito del Parlamento è la propaganda di tipo squisitamente fascista che certi giornali e certi partiti continuano a fare anche oggi contro le istituzioni democratiche e più in generale contro ogni forma di libera attività politica: il qualunquismo, prima di diventare un partito che mostra riprodotte in se stesso e ingrandite le pecche e i travagli che quando sorse rimproverava agli altri partiti, non ebbe da principio altro programma che quello, essenzialmente negativo, della insofferenza e della cieca ostilità alla politica, ed ebbe qualche fortuna in certi ceti proprio perché, invece di affaticare il pubblico col forzarlo a pensare a difficili problemi d’ordine generale, lo chiamava allo spassoso tirassegno (tre palle un soldo), consistente nel ricoprire di fango e di contumelie personali gli uomini politici di tutti i partiti al potere. Così nel pubblico, sempre avido di scandali e sempre pronto a credere alla altrui disonestà, si va sempre più diffondendo la convinzione che il Parlamento sia una scelta di ciarlatani ed affaristi, che, colla scusa del bene del popolo, non hanno altro scopo che quello di arricchirsi alle sue spalle”. Queste sono le parole di PIERO CALAMANDREI,, tratto da un breve saggio titolato: “ Patologia della corruzione parlamentare”, edito da Storia e Letteratura, riportate allo scopo di comprendere il grigiore, la nullità del pensiero dei nostri rappresentanti, rispetto alla grandezza e lucidità intellettuale di uno dei più noti e studiato tra i fondatori della nostra democrazia Parlamentare.

Certamente tra i 5Stelle e la democrazia c’è una rivalità insanabile. Già nel giugno 2013 Grillo si scaglia contro la Presidente Boldrini dichiarando che il Parlamento non serve a nulla: «La scatola di tonno è vuota»; «potrebbe chiudere domani»; «é un simulacro»; «la tomba maleodorante della Seconda Repubblica». Mentre nel giugno 2018, a Roma, grida: “«Parlamentari estratti a sorte “, oppure : “Dobbiamo capire che la democrazia è superata”. Ecco con chi governa il PD! Al netto di Renzi e del Conte II, al PD sembra non rimanere che inseguire i 5stelle sul terreno del populismo. Queste cose Zingaretti le conosce sicuramente, ma per convenienza le ignora. Una convenienza perigliosa, che mette in pericolo la democrazia e la rappresentanza parlamentare, poiché con il taglio dei parlamentari si determina un vulnus al cittadino/elettore, al quale viene sottratto il diritto di scegliere il rappresentante da votare. Infatti, con la ridisegnazione dei collegi più grandi degli attuali si determina un distacco tra elettore e candidato. Inoltre, si tratta di una riforma oligarchica poiché consegna la cosa pubblica nelle mani di pochi eletti e delle segreterie dei partiti. Anche l’elezione del Capo dello Stato potrebbe subire alterazioni costituzionali, palesandosi infatti la possibilità che sia una maggioranza di una parte politica a dominare nella sua elezione; un pericolo possibile potrebbe generarsi inoltre dal voto dei parlamentari nella Circoscrizione estero, tale da risultare decisivo nella tenuta deli governi. Queste sono solo alcune delle indicazioni da richiamare a sostegno del NO al taglio dei Parlamentari, che sono comunque l’essenza di una fondata linea alternativa alla politica di aggressione alla democrazia e al modello rappresentativo che i nostri Padri costituzionali hanno deliberato e lasciato a noi come eredità da difendere ad ogni costo.

Zingaretti si propone di cambiare il PD, anche nel nome, e di aprire il nuovo soggetto alla società, ai movimenti, ma non riesce ancora a liberarsi della sua anima integralista, la quale esercita una prevalente capacità di orientamento e spinge il partito in una direzione che lo allontana dal mondo del lavoro, ne annichilisce la reazione di fronte alla prepotenza dei 5stelle sui temi della sicurezza, della prescrizione, sull’accoglienza e integrazione, sulla riforma del mercato del lavoro e la lotta contro le diseguaglianze; la riforma della scuola, dell’università, investimenti a favore della ricerca, magari rivedendo l’assegno di cittadinanza universalizzando il Welfare, rivedere il sistema pensionistico anche alla luce del fenomeno demografico, introducendo un massimo di pensione e un minimo, applicare alla contrattazione il principio dell’erga homnes. Che, per il cambiamento auspicato, sono i punti possibili di un programma sul quale misurare e calibrare la proposta di un progetto per un nuovo modello di sviluppo.

C’è una contraddizione logica nella linea di Zingaretti, quando afferma di volersi impegnare per la trasformazione del PD aprendo alla società, a cui però fa seguire la sua contrarietà al referendum contro il taglio dei parlamentari ( ma non è il popolo il depositario della democrazia?), che non potrà risolvere permanendo irretito in una visione politica che non disegna, per il paese, una prospettiva di cambiamento rivoluzionario rispetto alla realtà in cui si trova ad operare. Allora, se proprio volesse dare prova di una volontà gramsciana mettendo in atto una prassi dialettica promuova e organizzi un rasselmblement aperto alla partecipazione delle forse riformiste, di sinistra, ai movimenti e al mondo del volontariato con all’ordine del giorno alcuni punti programmatici identificabili con un progetto di trasformazione del modello economico, sociale e culturale del paese. Non inventi un nome, non si affanni alla ricerca di nuovi ideali, poiché il socialismo è la risposta e l’unica vera alternativa sulla quale fondare la ragione di un impegno politico e di lotta da offrire ai lavoratori, ai pensionati, al mondo della creazione, della cultura e della ricerca. Insomma a quella parte migliore del nostro popolo che non intende arrendersi alla destra nazionalista e populista, e che sicuramente saprà riflettere anche in questo momento in cui è chiamata a decidere il suo futuro, votando NO al taglio dei parlamentari.

Alberto Angeli

Tante ragioni per un NO, di Roberto Biscardini

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Biscardini

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Ci sono ragioni di fondo che mi hanno fatto decidere subito per il NO rispetto a questa brutta controriforma della nostra Costituzione.
Nel merito tre questioni.
Primo. Il dibattito si concentra di solito sui poteri demiurgici che dovrebbe aver questo nuovo Senato, mentre è solo un letterale pasticcio, un ibrido. Non elimina il bicameralismo paritario e rimane in piedi con poteri legislativi propri. Ancorché composto da consiglieri regionali e sindaci non eletti direttamente dai cittadini, avrà la possibilità di legiferare su materie assolutamente importanti quali le leggi di revisione costituzionale, i referendum popolari, le leggi elettorali, quelle riguardanti gli enti locali e soprattutto quelle relative alla partecipazione dell’Italia alle politiche dell’Unione Europea. Oggi circa l’80% delle leggi che approva il parlamento riguardano questa materia. Quindi per tutte queste leggi la cosiddetta “navetta” rimane esattamente in piedi come ora e i tempi di formazione delle leggi non solo non saranno ridotti ma potrebbero persino allungarsi per effetto di conflitti di competenza tra le due Camere. Insomma i tempi non si ridurranno.
Delle due l’una, se si voleva abolire drasticamente il bicameralismo paritario si doveva avere il coraggio di abolire il Senato tout court. Se invece si voleva come obiettivo ridurre il numero dei parlamentari, regolamentando pur in modo diverso il funzionamento delle due Camere, meglio ridurre da 630 a 400 i Deputati e da 315 a 150 i Senatori, con un risultato più marcato di quello previsto da questa riforma. Secondo. Si dice: ma abbiamo fatto il Senato delle Regioni. E non è vero neanche questo. Il Senato delle Regioni dovrebbe avere come propri rappresentanti non consiglieri sostanzialmente nominati dai partiti, ma rappresentanti dei governi regionali in carica come sul modello del Bundesrat tedesco. E poi si dice: ma noi con la riforma rafforziamo i poteri regionali. Ed invece per assurdo è vero esattamente il contrario. Con la riforma aumentano le competenze esclusive dello Stato e addirittura su proposta del Governo lo Stato può esercitare una “clausola di supremazia” degli interessi nazionali sulle competenze delle Regioni. Siamo ritornati al centralismo statale ante 1970, e ogni ipotesi federalista o regionalista è messa ormai totalmente in discussione.
Contemporaneamente rimangono totalmente in piedi le Regioni a statuto speciale, che rappresentano insieme un vecchio anacronismo e uno dei fattori di spesa più alti della finanza pubblica.
Terzo. Il tema della cosiddetta estensione della partecipazione popolare, questione vera, aperta dalla fine degli anni ’60, e che giustificherebbe una seria e meditata revisione costituzionale. Anche qui siamo al paradosso. L’esatto contrario di quello che si dice di voler fare. I cittadini per presentare delle proposte di legge di iniziativa popolare dovranno raccogliere 150.000 firme contro le 50.000 attuali e la procedura per i referendum è diventata assolutamente bizantina. Ma arriviamo ai punti politici. Il primo riguarda il metodo con il quale si è arrivati a questa riforma. Contro il parere e lo spirito dei padri costituenti si è introdotto il principio che una maggioranza parlamentare, eletta col sistema maggioritario e con legge oggi giudicata incostituzionale, senza la ricerca di un consenso largo nel parlamento, possa cambiare da sola 47 articoli della Costituzione, sostenendo demagogicamente che il referendum confermativo farà giustizia di questa anomalia. Siamo così ormai nel solco insidioso del populismo di Stato soprattutto perché il SI o il NO secco non consente al cittadino un giudizio sulle singole questioni poste in gioco. Da questo punto di vista è assolutamente ragionevole il ricorso avanzato dal Prof. Onida a favore dello spacchettamento del quesito. Secondo: le Carte Costituzionali dovrebbero essere scritte per le nuove generazioni e non per soddisfare o per ottenere una conferma più o meno plebiscitaria delle maggioranze parlamentari e dei governi in carica. L’attivismo dell’attuale Presidente del Consiglio e lo stesso fatto che la proposta di riforma sia stata avanzata dal Governo e non dal Parlamento, conferma l’anomalia di questa proposta. Ricordiamoci Calamandrei che invitava il governo a stare a casa quando il Parlamento discuteva la riforma costituzionale e persino De Gasperi, Presidente del Consiglio, che intervenne allora dai banchi del parlamento per non compromettere la sua indipendenza rispetto a quella dell’esecutivo. Terzo: nella propaganda del SI viene invocato “il nuovo contro il vecchio”: ma chi ha mai detto che di per sé le cose nuove siano sempre meglio delle cose vecchie? Anche il fascismo lo era rispetto alla fase precedente.
Viene invocato “il cambiamento” come un valore di per sé. Anche qui verrebbe da dire: negli ultime vent’anni in Italia e anche nel resto del mondo è cambiato pressoché tutto ma non in meglio. Non abbiamo più le preferenze, non abbiamo più i partiti, non abbiamo più le istituzioni, lo Stato è come si voleva, debole e leggero, l’economia e la finanza contano sopra la politica. Tutti cambiamenti di cui oggi potremmo pentirci. I cambiamenti non sono sempre positivi. Si invoca la stabilità dei governi, tema che i cittadini hanno capito benissimo che non dipende dalla riforma costituzionale o dalle leggi elettorali ma dalla politica infatti la prima repubblica, con i suoi circa 60 governi, è considerata da tutta la storiografia del mondo come il periodo più stabile del nostro paese. Infine si invoca “la velocità” come valore, anche questo un termine molto futurista e del tutto astratto rispetto al tema della efficienza. Non è assolutamente detto che l’efficienza marci insieme alla velocità.
Per finire: i sostenitori del SI chiedono il voto per evitare “salti nel buio”. L’esatto contrario. Con il SI si avvia una fase interminabile in cui qualunque maggioranza, anche quella più strampalata, frutto di una legge elettorale assolutamente non democratica come il Porcellum o l’Italicum per esempio, potrà a colpi di maggioranza piegare la Costituzione a sua immagine e somiglianza, fino alla sua totale abrogazione. Non dimentichiamoci che questo è stato l’obiettivo, persino non tanto nascosto, della destra storica, dallo Statuto Albertino sotto sotto fino ad oggi.
Dopo la vittoria del NO, invece, si dovrà eleggere e convocare inevitabilmente una Assemblea Costituente per ridare senso unitario alla nostra Costituzione e per impedire i continui rimaneggiamenti e ritocchi che già in parte l’hanno resa irriconoscibile. Non dimentichiamoci l’obbrobrio del pareggio di bilancio e dei vincoli europei già costituzionalizzati. Dopo i fallimenti delle bicamerali e con dei parlamenti eletti con il sistema maggioritario non ci sarà alternativa, se si vuole veramente cambiare la Costituzione, ad eleggere direttamente e con sistema proporzionale una nuova Assemblea Costituente indipendente dalla maggioranza parlamentare e dal governo in carica. Essa dovrà affrontare almeno due temi cruciali assolutamente necessari ed attuali, che questa riforma non affronta.
La necessità di riequilibrare gli strumenti di democrazia diretta con quelli della rappresentanza; come e con quali regole cedere sovranità nazionali senza distruggere la nostra storia, cultura e identità, contemporaneamente difendendo i principi fondamentali della nostra Costituzione.
Tutti coloro che dichiarano di votare SI devono sapere che con quel voto il “salto nel buio” è garantito. Si apre la strada alla soppressione di fatto della prima parte della Costituzione, si accettano politiche economiche e sociali imposte all’Italia dal vincolo estero anche per il futuro, il potere parlamentare e quindi del popolo sarà sempre più irrilevante. Il potere legislativo sarà sempre più unificato al potere dell’esecutivo.
La battaglia per il NO è quindi una battaglia consapevole per il bene dell’Italia e del suo futuro, perché non è vero che “una riforma qualsiasi è meglio di niente” e non è assolutamente vero che “piuttost che nient, l’è mei piuttost” quando il “piuttost” è una porcheria.

Roberto Biscardini

La riforma costituzionale dei socialisti, documento del Comitato socialista per il NO della Toscana

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I socialisti che hanno aderito al “Comitato Socialista per il NO” e che hanno dato vita ai comitati del NO sul territorio sono sideralmente lontani dalla maggior parte di politici che fanno opposizione a Renzi.
Non vivono la scelta del NO come un plebiscito e neppure come Armagedonn, ma come giudizio su una riforma e sulla filosofia istituzionale che la anima.
Avvertono quale principale esigenza la costruzione di un equilibrio, non la blindatura di una leadership.
Questa riforma invece, si porta in pancia l’Italicum che, con l’ansia di proclamare un vincitore la sera del ballottaggio, un partito votato dalla meno esigua minoranza di elettori si prende tutto il piatto. Nell’idea che quel partito sia il PD e con il rischio, invece, che sia un altro.
Il premier ha personalizzato la sfida intendendo trasformare il quesito referendario in giudizio di Dio, evocando in caso di vittoria del NO il ritorno all’Italia degli “inciuci” come se fossero questi i modi e i linguaggi per affrontare un tema serio e decisivo per la vita di un Paese.
I socialisti contestano la filosofia della riforma che è molto attenta al problema del governo e non lo è altrettanto ai partiti e al Parlamento.
C’è un tratto di presidenzialismo camuffato. Il problema non è la speditezza con cui il governo attua il suo programma, è l’abisso che oggi separa l’elettorato dalla sua rappresentanza. Il combinato disposto tra una riforma costituzionale discutibile e una legge elettorale indiscutibilmente arbitraria, rende velenosa la posizione distillata negli alambicchi di Palazzo Chigi.
Se vincerà il NO, occorrerà ripensare una architettura sbilenca.
Piero Calamandrei nel 1947 avvertì i costituenti: “La Carta Costituzionale è una Costituzione tripartitica, di compromesso, molto aderente alle contingenze politiche dell’oggi e del prossimo domani: e quindi poco lungimirante”.
Giuliano Amato nel 1976 così lesse la crisi costituzionale: “Lo Stato che abbiamo non è né quello scritto nella Costituzione, né quello che preesisteva storicamente al modello ivi tracciato. E’ il risultato di una ibridazione complessa, in cui sono confluite almeno tre componenti: lo Stato anteriore, le innovazioni introdotte in esso dalla DC sulla base di modelli estranei alla Costituzione (anche se formalmente non contrastanti con essa), il processo di attuazione costituzionale, che è però intervenuto a strati e per ondate successive, innestandosi sulle altre due componenti”.
Il compromesso ideologico costituente tra le elitès del mondo cattolico e la nomenclatura della sinistra marxista ufficiale, non poteva reggere a lungo.
Fu così che la Costituzione materiale travolse la Costituzione scritta.
Sacri principi e norme di attuazione si mescolarono e snaturarono il valore della Carta e devastarono le istituzioni.
Dopo gli anni ’70 lo scontro tra i socialisti della “Grande Riforma” ed i templari della “Carta non si tocca” si concluse con la sconfitta dei socialisti.
Il diversivo della centralità e della unicità della questione morale come causa della crisi istituzionale e politica, consegnò l’Italia alla paralisi permanente sino alla riforma sottoposta oggi a referendum.
Con questa riforma, che non riforma lo Stato, si è rafforzato l’eterno trasformismo che comprime i valori inviolabili ed esalta i meschini interessi di parte.
L’Italia deve cambiare e deve essere diversa in un mondo che è cambiato e che cambierà ancora.
Chiediamo un NO alla farsa referendaria per dire SI all’ ASSEMBLEA COSTITUENTE da convocarsi entro 6 mesi, dal voto referendario, per affrontare i temi veri della riforma dello Stato e della forma di Governo, In quella sede i Socialisti non mancheranno di mettere sul tavolo i temi della loro pluridecennale elaborazione politica ed istituzionale.

NO ALLA CONTRORIFORMA BOSCHI- RENZI- VERDINI

Documento del Comitato socialista per il NO della Toscana