Matteo Renzi

La politica dei paraculo. di Sergio Bagnasco

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.Sergio Bagnasco - Academia.edu

Sino a meno di un anno fa per il M5S il taglio dei parlamentari richiedeva un piccolo adeguamento della legge elettorale; cosa che effettivamente fu fatta a maggio 2019 (legge n. 51/2019).

Poi cambiò la maggioranza e in nome di un accordo di governo il M5S spesò la tesi, sino ad allora respinta, che ci volesse una legge elettorale di tipo proporzionale per bilanciare la riduzione dei parlamentari.

Adesso sentiamo Di Maio invitare a votare SI al referendum sul taglio dei parlamentari ma allo stesso tempo afferma che prima del voto occorre che almeno una camera approvi la nuova legge elettorale perché con il taglio dei parlamentari ci vuole un sistema di tipo proporzionale. E aggiunge che non ci sarà bisogno dell’aiutino di Berlusconi

Avanti tutta con i paraculo!

Di Maio, in perfetta continuità con Renzi, ci sta dicendo che la legge elettorale è una questione della maggioranza; la sua ignoranza politica evidentemente non gli consente di comprendere cosa significhi stabilire le regole del gioco in un sistema di democrazia parlamentare.

Allo stesso tempo ci presenta la nuova legge elettorale di tipo proporzionale come una garanzia per bilanciare la perdita di rappresentatività dovuta al taglio dei parlamentari.

Ancora una volta ignoranza o disonestà intellettuale perché una legge elettorale, per quanto importante e necessaria, nel nostro sistema è una semplice legge ordinaria che non potrà mai bilanciare una riforma costituzionale perché un’altra maggioranza domani potrebbe in due ore modificarla, d’altra parte stiamo parlando di approvare la SESTA legge elettorale nazionale in appena 27 anni!

Infine, eccoci alla magica legge proporzionale che di proporzionale ha ben poco perché mantiene 29 circoscrizioni per l’elezione dei Deputati e la base regionale per l’elezione dei Senatori.

Ora, è vero che è la Costituzione a prevedere l’elezione su base regionale dei senatori ma lo fa proprio all’art. 57 che il M5S ha voluto modificare senza toccare questo aspetto. Così, passando a 200 senatori ci ritroveremo – anche con il proporzionale puro – che il Friuli Venezia Giulia eleggerà solo 3 senatori; non solo non potranno essere garantite le minoranze linguistiche di cui all’art. 6 della Costituzione ma tutte le zone periferiche, rurali, poco popolose saranno marginalizzate ed escluse a priori dalla rappresentanza politica: tutta la partita elettorale si giocherà a Udine e Trieste.

Stesso discorso si verificherà in Abruzzo, Calabria, Liguria, Umbria, Marche, Basilicata, Sardegna … tutte regioni in cui saranno eletti da 3 a 6 senatori con una soglia naturale per avere un eletto che va dal 33,33% al 16,67% con inevitabile compressione del pluralismo e della rappresentanza politica. Solo i partiti maggiori avranno degli eletti.

Alla Camera le cose non andranno diversamente perché la proposta di legge elettorale prevede 29 circoscrizioni di cui una è la Valle d’Aosta e l’altra è l’Estero. Ne consegue che le altre 27 circoscrizioni dovranno eleggere 391 deputati con una media di 14,5 deputati per circoscrizione e quindi una soglia naturale media del 6,9%: chi sarà sotto questo livello dovrà fare affidamento sui resti per avere qualche eletto.

Come se non bastasse, questa nuova porcata stellata non restituisce agli elettori il diritto di scegliere i propri rappresentanti perché non prevede il voto di preferenza.

Riducendo i parlamentari, per mantenere un minimo di pluralismo indispensabile in un sistema di democrazia e di governo parlamentare, bisognerebbe avere poche circoscrizioni per l’elezione della Camera e superare il criterio regionale di elezione del Senato.
Questa legge elettorale e questa riforma costituzionale non realizzano nessuna di queste premesse.

Ancora una volta siamo di fronte a una politica che percula i cittadini lasciando passare l’idea che c’è una soglia legale del 5% per partecipare alla ripartizione dei seggi quando in realtà la soglia naturale è decisamente più alta in quasi tutte le circoscrizioni e regioni.

Sergio Bagnasco

Referendum sul Tagliapoltrone: l’antipolitica viene da lontano. di Riccardo Achilli

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Nel referendum sulla riduzione dei parlamentari quasi sicuramente vincerà un sì, non motivato da argomenti razionali, ma da una sordida rabbia per la Kasta ed un irrefrenabile individualismo, nel quale i presunti ed illusori risparmi economici da riduzione dei parlamentari assumono una veste simbolica di riduzione dello spazio pubblico a vantaggio di quello privato, di contrazione dello spazio collettivo, legata alla spesa pubblica ed agli organi di rappresentanza, a vantaggio di quello individuale, che rivendica spazi di libertà fiscale. 

Si tratta, insieme alla piratesca e perenne riproposizione di forme di premierato, dell’ultimo frutto avvelenato di una stagione antipolitica, nella quale sguazzano a loro agio  gli interpreti della pancia rancorosa ed individualista del Paese: Renzi, Salvini, i pentastellati.

Sarebbe tuttavia un errore grave, in prospettiva storica, associare a questo periodo particolarmente tormentato della nostra storia il vento dell’antipolitica. L’antipolitica è una costante storica del nostro popolo. La troviamo negli sciagurati che tifavano per la magistratura eterodiretta nel periodo di Tangentopoli, in certe tonalità bonapartiste e liquidatrici del tardo craxismo, nella formulazione compiutamente antipolitica, anti istituzionale e individualista del Fronte dell’Uomo Qualunque di Giannini nel secondo dopoguerra, nei bivacchi di manipoli e nell’antiparlamentarismo viscerale del fascismo, nell’anarchismo eversivo tardo ottocentesco ed in alcuni tratti del garibaldinismo e potremmo risalire ancora, fino a Masaniello.

Tale costante culturale e psicologica che si agita nell’ombra del popolo italiano tende ad emergere nelle fasi di crisi o di transizione, dove lo Stato ed i suoi apparati vengono vissuti come una odiosa elite che sottopone il popolo ad odiose restrizioni, tasse esagerate o grandi iniquità. Tende invece a sparire sottotraccia nelle fasi di stabilità politica e sociale, come ad esempio il lungo periodo giolittiano o i Trenta gloriosi sostituito, però, almeno in larghi strati della popolazione, da una forma di passività, di inerzia e disinteresse rispetto alla politica, che evidenzia come essa se ne senta comunque lontana, anche nelle fasi più favorevoli.

I motivi di questo peculiare antistatalismo ed antipoliticismo degli italiani sono complessi, a mio modo di vedere derivano dallo sgretolamento dell’unità politico amministrativa dell’Impero romano, a partire dalla quale non si ebbe più uno Stato unitario nazionale, dalla lunga dominazione di popoli e Stati stranieri, che crearono entità statuali non sentite come proprie dai sudditi, dalla influenza nefasta del lunghissimo confronto tra Chiesa secolarizzata e Impero, che insegnarono agli italiani una visione opportunistica, trasformista e violenta dello Stato, all’azione colonizzatrice della monarchia sabauda, che unifico’ il Paese sottomettendolo militarmente e reprimendone brutalmente ogni istanza autonomistica, creando una lunga onda di risentimento ed estraneità dagli apparati statali, specie nel Sud Italia.

Ma, al netto delle ragioni di tale atteggiamento, esso esiste, si manifesta in modo esplicito e distruttivo nelle fasi di crisi, quasi come fosse una specie di rimedio catartico all’angoscia sociale tipica di tali fasi. E si presenta anche oggi, che siamo in una fase di crisi e transizione.

Essendo parti integranti del nostro modo di essere, l’antipolitica e l’antikasta non si possono battere, si possono però tenere sotto controllo. Perché se non controllata, tale tendenza produce o fasi reazionarie (vedi fascismo)  o spinge chi vi si oppone a costruire, per autodifesa e per spegnere il dissenso distribuendo qualche briciola, a forme di politica trasformistiche e consociativo/corruttive (vedi Giolitti e Dc nelle fasi in cui hanno dominato).

Questa tendenza si tiene sotto controllo educando le masse, come si sarebbe detto in tempo, ovvero inserendole dentro sistemi politico culturali che esaltano la dimensione collettiva e solidale non in antitesi, ma in parallelo a quella individuale, come fossero due dimensioni coeve e mutuamente alimentantisi, come fecero il socialismo, il comunismo, il repubblicanesimo e il cattolicesimo sociale.

E si controlla portando il Paese fuori dalla crisi: a pancia anche solo per metà piena, ma con un futuro garantito, l’italiano medio tende a delegare la gestione politica, a tollerarla, quindi a non rivendicare lo smantellamento degli organi istituzionali e dei corpi intermedi.

Riccardo Achilli

tratto dal Blog personale dell’autore  https://achilli.blogspot.com

Basta con le bugie, tornare alla ragione. La scelta socialista per l’Italia del futuro, di Angelo Sollazzo

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Angelo Aran

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Il tracollo della politica iniziò con Berlusconi, con il suo movimento di rampanti ed attricette, con i suoi ristoranti pieni e con menzogne a piene mani, promettendo agli italiani di arricchirli tutti come lui.
Ma tutta la seconda repubblica è stata attraversata da personaggi in cerca di autore , populisti di basso ordine, arruffoni e dilettanti. Nascevano e morivano sigle senza alcuna cultura politica di riferimento, si annunciavano rivoluzioni, secessioni e miracoli liberisti che sono svaniti nel corso di qualche anno.

Dopo il binomio Berlusconi e Bossi, arrivavano altri due campioni del populismo a basso costo, Renzi e Grillo, le due facce della stessa medaglia. Se i nuovi personaggi avessero dimostrato sul campo capacità politiche, impegno concreto e risultati evidenti, tutti avevamo il dovere di applaudirli e riconoscere le loro qualità.

Purtroppo al dilettantismo evidente hanno aggiunto tracotanza, presunzione e cattiveria che ormai tutti hanno individuato e condannato.

Renzi spregiudicato all’inverosimile, mentitore seriale, ha inanellato una sfilza di sconfitte e dopo averci assicurato l’abbandono dalla politica, ritorna in campo sparandole più grosse di prima. Un’etica comportamentale di politici veri, comporterebbe le dimissioni dopo tante e tali sconfitte, invece nulla, si fa finta di niente e si addossano tutte le colpe della grave situazione a chi c’era prima. Ora acclarato che i suoi predecessori non hanno certo brillato per le loro qualità politiche, Renzi ha guidato uno dei governi più longevi della storia repubblicana, mille giorni al comando quando notoriamente nel nostro Paese non si riesce a resistere più di un anno. Ora o siamo di fronte ad una bella dose di faccia tosta, oppure ci troviamo nel settore della neuro-psichiatria. E non si può neanche dire che il Governo era sostenuto da numeri ballerini, vista la consistenza della maggioranza parlamentare. La verità è che il Nostro, pieno di se e dall’alto della sua presunzione, ha voluto sfidare gli italiani impegnandosi per oltre un anno a promuovere una riforma costituzionale bislenca, a proporre provvedimenti a favore dei suoi amici bancari ed industriali, e ad elargire mance elettorali che invece di sostenere l’economia l’hanno depressa.
Per non parlare degli scandali e delle inchieste giudiziarie di fronte alle quali i reati della prima repubblica impallidiscono e da considerare furti di merendine.
Non una sola delle pseudo-riforme e degli interventi di Renzi hanno funzionato, dal JobsAct, alla Buona Scuola, alla Pubblica Amministrazione, alla RAI, alla Ricostruzione post-terremoto, agli impianti petroliferi in Lucania, al sistema bancario , insomma una serie di disastri.
Ora il PD sta versando in una crisi profonda, ha subito una chiara mutazione genetica ed i sondaggi lo portano ad oscillare intero al 25%. E’ il capolavoro renziano.
Parlare del Movimento Cinque Stelle fa tenerezza. Grillo dopo che nella sua naturale veste di comico, spaccava i computers sui palcoscenici, responsabili di travisare le idee dei giovani, oggi ritiene che la Rete rappresenti l’unica verità assoluta e forma avanzata di democrazia.
Bisognerebbe parlarne con i circa venti milioni di italiani, non più giovani, che di internet pronunciano solo il nome , ovvero a coloro che abitano in montagna, nei borghi sperduti dove il segnale neanche arriva. La democrazia è partecipazione di tutti e non di parte della popolazione.
Per correttezza occorre rilevare che molte delle proteste del movimento hanno un certo senso di verità. Le loro denunce sono spesso vere non campate in aria. Ma tutto si ferma qui. Quando si passa dalla protesta alla proposta il meccanismo grillino s’incaglia. Certamente occorreva dar tempo ai nuovi arrivati della politica, di prepararsi, di conoscere, di studiare, ma dopo circa cinque anni dilettanti erano e tali sono restati.
Sarà complicato indicare un Capo del Governo che sbaglia i congiuntivi, e confonde il Cile con il Venezuela, ovvero il candidato Ministro degli Esteri che chiede i vaccini gratuiti che lo sono sempre stati. Per non parlare del disastro nella gestione delle Amministrazioni locali, che, accantonati gli aspetti giudiziari, mostrano chiaramente la loro inadeguatezza. Raggi a Roma e Appendino a Torino non sono in grado di dirigere grandi città. Dilettanti allo sbaraglio.
Il PD azzoppato, collocato in una posizione di centro-destra, che attua il programma berlusconiano, nulla ha più a che fare con la sinistra del nostro Paese. Bisognerà che qualcuno lo dica anche al PSE , che non pare l’abbiano capito.
Nel passato circa venti milioni di italiani votavano a sinistra, comunisti, socialisti, formazioni di sinistra varie. Sono tutti morti? Non lo si ritiene possibile visto che circa la metà della popolazione si astiene dal voto. Non votano più Renzi dopo le cocenti delusioni, non votano certamente Cinque Stelle che sono piuttosto da ascrivere a posizioni di destra. Allora a sinistra qualcosa non funziona.
Dopo l’eclatante risultato del Referendum, a cui i Comitati Socialisti per il NO diedero un contributo importante, sembrava che si muovessero nel Paese gruppi e partiti che avevano veramente a cuore la ricostruzione di un tessuto politico di sinistra. Vennero convocate e tenute iniziative pubbliche di rilievo, al Brancaccio, a Piazza Santi Apostoli e per i Socialisti alla Bonus Pastor. Una sola invocazione: tutti insieme per una lista unitaria della sinistra alle Elezioni. Ciò anche in previsione di una legge elettorale proporzionale. Convergenze, adesioni, manifestazioni in tutta Italia. Poi il meccanismo si inceppa. Qualcuno si dice più bravo dell’altro, la rete moderata non accetta le fughe in avanti di quella estrema, si litiga sul leader futuro ed anche su chi deve essere citato o deve parlare nelle manifestazioni. La presunzione e l’arroganza lasciamole a Renzi. Serve da parte di tutti una buona dose di umiltà.

Vecchio vizio della sinistra che si divide prima ancora di unirsi. Una cosa è certa, non si può essere assenti dalla tenzone elettorale, ognuno deve essere disponibile a fare qualche passo indietro senza sentirsi menomato, nessuno deve ritenersi unto dal signore e pretendere ruoli che si guadagnano sul campo. In Italia vi è una forte domanda politica di sinistra, purtroppo manca l’offerta. Allora facciamo uno sforzo tutti insieme, nessuno deve restare indietro , tutti devono poter giocare in serie A, e solo dopo scopriremo il vero goleador.

I socialisti non possono che giocare in tale squadra e fare la stessa partita. Non esiste un Partito che si chiama socialista e che può avallare le scelte scellerate del renzismo. Sarebbe una contraddizione in termini. Per questo motivo nasce Socialisti in Movimento, un’Associazione e non un Partito, a cui hanno aderito parte significativa degli iscritti al PSI e tantissimi militanti sfiduciati ed allontanatisi nel passato. L’Unità dei Socialisti si può raggiungere su un terreno squisitamente politico. Chiara collocazione a sinistra, presa di distanza da Renzi e dal renzismo, ritorno ai fondamentali del Socialismo per riprendere la lotta in difesa dei ceti meno abbienti e dei lavoratori. Il nuovissimo renziano non ci appartiene, rifare la democrazia cristiana riveduta e peggiorata non è cosa nostra, il socialismo rappresenta l’ideale più alto della storia dell’umanità, oggi ritorna ad essere moderno ed attuale di fronte ai fallimenti dei rottamatori nuovisti che sono sulla strada del tramonto. Quando si fa politica solo per garantirsi il seggio per se o per i suoi amici, prima o poi si viene travolti. Senza ideali non si può fare politica. Per un quarto di secolo gli ideali e le culture politiche erano state accantonate. Oggi la cultura socialista, dopo il fallimento delle altre, è l’unica in grado di dare risposte concrete alla crisi che attanaglia il Paese. Insieme si, ma con una linea politica chiara, con democrazia interna e trasparenza nei comportamenti.

Gli egoismi e le furbizie non pagano più, è superfluo rinvangare gli errori fatti dalle dirigenze nel recente passato. Riflettiamo insieme per tornare insieme.

Angelo Sollazzo