Mese: giugno 2016
Il popolo italiano e i suoi diritti, di Alberto Benzoni
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Con Renzi abbiamo conquistato, anzi ci è stato erogato un nuovo diritto: quello di sapere, la sera stessa delle elezioni, chi ha vinto.
Nuovo, forse. Importante, non si sa bene perchè. Comunque, meno importante di altri che ci sono stati tolti per la loro asserita inutilità. Quello di votare: perchè per le province, per gli enti intermedi,
per il senato, questo diritto ci è stato già tolto. Quello di difenderci dalla devastazione ambientale: perchè, con lo sblocca Italia, quasi tutto sarà permesso. Quello di difendere collettivamente gli interessi dei lavoratori: perchè ci si confronterà a livello aziendale e vinca il migliore.
Quello di avere uno stato che ci difenda: perchè si continua a demolirne il ruolo e l’autorità. Quello di controllare l’attività dell’esecutivo: perchè avremo una Corte costituzionale a sua immagine e
somiglianza. Quello di vedere rispettata la nostra opposizione: perchè questo esercizio verrà considerato inutile e dannoso, per non dire antiitaliano. Quello di avere un governo, frutto di scelte largamente condivise: perchè vivremo in una democrazia in cui tutto il potere apparterrà ad una minoranza. Abbiamo però una occasione unica e irripetibile per dire no, per fermare tutto questo. Possiamo e dobbiamo utilizzarla dicendo no al referendum promosso da Renzi.
Ve lo chiediamo come socialisti; ma in nome della democrazia liberale. Perchè la democrazia liberale è l’aria che respiriamo. La causa che ci accomuna.
Alberto Benzoni
Questa voce è stata pubblicata in Costituzione italiana, Parlamento, Riforma Renzi Boschi, Senato, Senza categoria, Voto.
La Costituzione di Lelio Basso, l’eguaglianza possibile e l’attacco ai nostri diritti, di Marco Zanier
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“Attribuiva grande valore al movimento di resistenza non solo perché aveva combattuto per la libertà e la giustizia ma perché essendo stata una lotta di popolo aveva promosso la partecipazione delle masse alle scelte politiche del Paese”. Così Aldo Aniasi [1], partigiano in Valsesia e nella Repubblica dell’Ossola, dirigente socialista di livello e poi sindaco di Milano inquadrava un aspetto centrale del pensiero di Lelio Basso.
Resistenza, lotta di popolo, partecipazione delle masse possono sembrare a noi oggi cose circoscritte nel tempo della guerra di liberazione e lontane dai nostri giorni ma invece costituiscono ancora l’intelaiatura di alcuni articoli molto importanti della nostra Costituzione, il n. 3 e il n. 49, che proprio Basso ha contribuito in modo determinante a scrivere e costruire nella loro forma definitiva.
Come ha detto lucidamente Stefano Rodotà[2]: “Contraddizione e conflitto, e partecipazione dei lavoratori, ci conducono così al capolavoro istituzionale di Basso (assistito dalla fiduciosa sapienza giuridica di Massimo Severo Giannini): all’art.3 della Costituzione, e soprattutto a quel suo secondo comma sull’eguaglianza sostanziale che innesta sul tronco istituzionale la contraddizione sociale, che forza le istituzioni a misurarsi con il conflitto tra esclusione e partecipazione. Si precisano così le modalità dell’intreccio tra lotta politica e strumenti istituzionali, e il ruolo di questi strumenti nel processo rivoluzionario”. Chiarendo senza possibilità di dubbi quello che Basso immaginava col termine “rivoluzionario”: “Un processo le cui caratteristiche diventano più chiare nel momento in cui il riferimento alla legalità non allude ad un “dopo”, ad una legalità rivoluzionaria che si pone come momento terminale, successivo alla presa del potere realizzata per vie diverse, ma diventa una delle componenti essenziali di una lotta politica e sociale, qualificando così modalità e caratteri di quel processo.”
La commemorazione di Stefano Rodotà, è chiaramente più ampia di questi pochi passaggi, abbraccia un periodo più vasto che comprende l’impegno di Basso nell’Assemblea Costituente, ma anche il suo contributo nel 1976 alla stesura del documento fondante del diritto delle Nazioni Unite, la cosiddetta Carta d’Algeri, in cui lui individua un legame sostanziale tra la rimozione degli ostacoli materiali per l’individuo indicata nell’art. 3 della Costituzione italiana e quelli per i i popoli nella carta del 1976. E questo ci riporta al momento iniziale del nostro ragionamento, alle parole del partigiano Aldo Aniasi che vedeva nel socialismo di Basso un processo in divenire per portare attraverso la lotta di popolo le masse alla partecipazione democratica del potere.
Ma chi era in quegli anni Lelio Basso e cosa aveva significato il suo pensiero negli anni precedenti la lotta di liberazione e la Resistenza? La domanda non è delle più semplici ma è estremamente importante perché ci permette di ricostruire le origini di un’elaborazione teorica tra le più significative del Novecento che tanto ha influenzato negli anni successivi gli sviluppi e l’affermazione di una politica di classe che è stata uno degli aspetti migliori del socialismo italiano del dopoguerra.
Tra i molteplici studi che si sono susseguiti negli anni su di lui, segnalo per tanti motivi l’ultimo ampio lavoro di Chiara Giorgi[3] che ne ricostruisce il percorso dalla sua formazione alla costruzione passo dopo passo della nostra Carta costituzionale nei lavori dell’Assemblea Costituente.
Basso, che apparteneva alla generazione di Piero Gobetti, Rodolfo Morandi e Carlo Rosselli, ossia di coloro che sentivano sulle loro spalle il peso e la responsabilità di una generazione da reimpostare seguendo gli insegnamenti di Antonio Labriola e Rodolfo Mondolfo, fin dai primi saggi negli anni Venti ha espresso una consapevolezza rara del dover dare vita ad un processo che facesse rinascere su basi nuove il socialismo italiano partendo sia da una lettura attenta dell’opera di Marx che dalla necessità di registrare la coscienza di classe del proletariato. Fin da questi primi scritti, il cammino delle masse proletarie si configura come una pressione del lavoro sul capitale e della classe lavoratrice sullo sviluppo della grande industria. Negli anni insomma dell’affermazione vittoriosa e tronfia del fascismo, con la negazione dei diritti essenziali ed il controllo del regime sulla classe operaia, Lelio Basso, afferma che “il socialismo dev’essere non solo lo sbocco cosciente della rivoluzione proletaria, ma anche la realizzazione del pensiero filosofico del proletariato”. Saranno queste le premesse dell’antifascismo di classe degli anni Trenta, quel Centro socialista interno diretto da Rodolfo Morandi e costruito clandestinamente con Eugenio Colorni, Lucio Luzzatto ed Eugenio Curiel che avrebbe impostato, con maggiore consapevolezza del gruppo di Giustizia e Libertà ormai falcidiato dal regime, le premesse di classe della futura Resistenza e della collaborazione tra socialisti e comunisti per la creazione di un futuro democratico del Paese.
È questo il terreno da cui nasce e si sviluppa in lui la necessità di fare posto alla partecipazione popolare alla democrazia unita alla tutela dei diritti inviolabili della persona umana nell’ordinamento del nuovo Stato italiano. Per questo si batterà con successo nell’Assemblea Costituente per costruire l’impianto dell’articolo 3 e dell’articolo 49 in relazione a quanto espresso nell’articolo 1, ossia normare l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e la loro possibilità di associarsi liberamente per partecipare alle scelte politiche della Repubblica democratica fondata sul lavoro. Se entriamo ora nelle pieghe della scrittura della Carta costituzionale, diventano ancora più appassionanti le sue posizioni e le sue battaglie per far passare i principi del socialismo e del rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo, visto come parte di un insieme di lavoratori che hanno il diritto di trasformare progressivamente i rapporti di forza che ancora determinano l’esclusione dai processi decisionali.
L’articolo 3
Tutti conosciamo, credo, il testo dell’articolo 3 della nostra Costituzione, che recita:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Ma dietro questo articolo forse non molti di noi sanno quanto lavoro c’è stato da parte dei costituenti ed in particolare di Lelio Basso, che è riuscito a fare affermare alla nostra Costituzione che non si realizzerà l’uguaglianza affermata nel primo comma (“tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”) , se lo Stato italiano non avrà rimosso gli ostacoli che impediscono ai suoi cittadini di avere la sostanziale uguaglianza (comma due). Ed essendo in contrasto il comma due (ci sono ostacoli da rimuovere per realizzare l’uguaglianza ) col comma uno (tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge) esiste nell’art. 3 la concezione dei rapporti di forza sociali da modificare progressivamente in uno Stato democratico, di chiara derivazione marxista, che Basso espresse più tardi [4] con queste parole: “riconosce che in Italia c’è un ordine sociale di fatto che è in contrasto con l’ordine giuridico”. Se la definizione dell’eguaglianza sostanziale che spetta di diritto ai cittadini si configura come un processo in divenire, è anche la critica della definizione di “uomo naturale e isolato” che il suo contributo in Assemblea costituente contesta, affermando che la persona è al centro dei rapporti umani e sociali e si afferma all’interno del contesto sociale. Ed anche questo è evidentemente un concetto di derivazione marxista che lui porta dentro la legge fondamentale del nuovo Stato italiano. Non si capisce la portata delle affermazioni contenute nell’art. 3 se non si tiene presente la visione politica complessiva di Basso che nel 1947 [5] espresse con queste parole: “Noi pensiamo che la democrazia si difende […] non cercando di impedire o ostacolare i poteri dello Stato, ma al contrario, facendo partecipare tutti i cittadini alla vita dello Stato […]. Solo se noi otterremo che tutti siano effettivamente messi in condizione di partecipare alla gestione economica e sociale della vita collettiva, noi realizzeremo veramente una democrazia”.
L’articolo 49
L’altro articolo della nostra costituzione sul quale dobbiamo soffermarci è il 49, che recita:
Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.
Anche qui l’impegno di Basso è stato fondamentale e già da una prima lettura se ne può scorgere il nesso profondo con quanto sancito dall’art.3. Ma nondimeno è legato strettamente con quanto scritto nell’art. 1, secondo cui la sovranità appartiene a tutto il popolo. È con il riconoscimento ai partiti del ruolo di strumenti democratici per determinare la partecipazione della democrazia, si badi bene, a tutti i partiti, non solo quelli al governo ma anche quelli all’opposizione che in questo articolo si rende manifesto quanto espresso nell’articolo 1 legando ad essi la sovranità popolare, il carattere democratico della forma repubblicana, il riconoscimento di partecipare tutti con le proprie idee e convinzioni politiche alle scelte del governo ed alle osservazioni dell’opposizione, perché entrambe portate avanti da partiti che sono riconosciuti dalla nostra Costituzione perché espressione della libera associazione dei cittadini (che l’articolo 3 afferma essere tutti uguali davanti alla legge senza distinzioni e dunque tutti in grado di esprimere una propria idea politica e di partecipare delle scelte dello Stato). Per Basso i partiti consentono di superare la vecchia logica de sistema parlamentare di impostazione liberale, perché esprimono “le differenze effettive del popolo reale”. Sono i partiti, banditi ricordiamolo sempre dal regime fascista contro il quale i nostri costituenti hanno lottato e Basso con loro, i massimi garanti che questa unitaria volontà corrisponda quanto più possibile agli interessi della popolazione. Sono essi il tramite fra la sovranità popolare riconosciuta dall’art. 1 quale fondamento dello Stato italiano e gli organi deputati a realizzare la sua volontà in forma di legge.
La riforma Renzi- Boschi ed il ruolo dei socialisti
Ricostruito il percorso che ha portato il massimo costituente socialista ad inserire nella Carta costituzionale il riconoscimento dell’inviolabilità dei diritti di ogni cittadino ad esprimere una propria opinione, il ruolo dello Stato che riconoscendo l’esistenza di un ordine sociale difforme da quanto affermato come diritto inviolabile di tutti si deve impegnare a rimuovere gli ostacoli che vi si frappongono, il ruolo dei partiti come espressione massima della volontà popolare e portatori delle diverse istanze della gente che vive quotidianamente le difficoltà più diverse e vuole contribuire col voto a determinare le scelte politiche nazionali dei singoli governi, come potrebbe essere possibile che i socialisti oggi sostengano le ragioni della riforma Renzi-Boschi che di fatto toglie la voce alla gran parte dei cittadini, non riconosce valide e degne di nota le opinioni differenti dal partito che con una risicata maggioranza potrebbe controllare l’intero Parlamento, stravolto peraltro nella sua forma e nelle sue funzioni dall’abolizione di fatto dei contrappesi necessari presenti nella formulazione di una Camera e di un Senato con pari dignità giuridica ed introduce parlamentari nominati direttamente dal Presidente del Consiglio? Per me tutto questo se per un comune cittadino è inaccettabile, deve esserlo a maggior ragione per chi si definisce nel socialismo, nei suoi principi, nei suoi obiettivi, nel suo orizzonte di trasformazione sociale complessiva attraverso passaggi graduali ed il metodo democratico del confronto delle idee diverse.
Per mantenere la democrazia in Italia, continuare a far sentire ciascuno la nostra voce, confrontarci sui problemi reali e trovare delle soluzioni possibili, al Referendum di ottobre diciamo NO all’attacco del governo Renzi ai nostri diritti in nome della nostra bella inimitabile Costituzione, amata e studiata in tante parti del mondo.
Marco Zanier.
[1] Aldo Aniasi, “Maestro di socialismo”, intervento pubblicato in “Lelio Basso”, edizioni Punto Rosso 2012, p. 137
[2] Stefano Rodotà, “Vocazione costituente” (estratti dal discorso commemorativo tenuto il 15 novembre 1988 presso la sala Zuccari del Senato della Repubblica) ora in “Lelio Basso”, ed. Punto Rosso cit., p. 47
[3] Chiara Giorgi, “Un socialista del Novecento. Uguaglianza libertà e diritti nel percorso di Lelio Basso”, Carocci editore, 2015
[4] Lelio Basso, “Interventi”, a cura di F. Livorsi, “Stato e Costituzione”, atti del convegno organizzato dalla Fondazione Basso- ISSOCO e dal Comune di alessandria, Marsilio, 1977, p. 130
[5] Lelio Basso, AC, A, 6 marzo 1947
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Le ragioni del NO. Considerazioni su una riforma che non si poteva fare, di Roberto Culatti
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Ho espresso più volte il mio dissenso radicale sulla riforma costituzionale, da molti costituzionalisti (per esempio Felice Carlo Besostri), denominata “deforma”, ancora di più se messa in relazione e connessa con l’Italicum, la nuova legge elettorale, estremamente maggioritaria e lesiva del fondamentale principio di rappresentatività sancito dalla Costituzione.
Voglio chiarire che non m’importa nulla, perché di secondaria importanza, se al referendum confermativo, previsto per il prossimo autunno, accanto ai NO di principio, come il mio rivolti contro i contenuti di un nuovo impianto istituzionale, per giunta male espressi, ci saranno NO politici, cioè contro Renzi e la sua politica degli ultimi anni, per altro da lui istigati come reazione, quando ha trasformato il referendum in plebiscito pro o contro la sua persona.
In primo luogo, anche per me come per altri, ogni considerazione di merito sulla “deforma” e sull’italicum, per quanto fondata possa essere, perde di peso se messa a confronto con l’arroganza di un parlamento di usurpatori di democrazia, nominati od eletti con premio di maggioranza in attuazione di una legge elettorale poi dichiarata incostituzionale. Un parlamento, di conseguenza, sostanzialmente non rappresentativo e delegittimato, nonostante la Corte costituzionale, arrampicandosi sugli specchi, abbia concesso il placet alla sua sopravvivenza ed alla continuazione del potere di emanare leggi, evidentemente non preoccupata di evitare un’intera stagione legislativa fasulla, anche se produttrice di conseguenze giuridiche, che sarà castigata dalla Storia, oltre che dalla dottrina giuridica contemporanea, pressoché unanime sull’enormità di questa posizione fino a definire “devastante” il ricorso al principio di “continuità dello Stato”, ispiratore della Consulta, purtroppo senza la possibilità di individuare, a posteriori, strumenti per rimediare.
Aggiungo che il nostro è un parlamento di senatori e deputati, alcuni rinfrancati dal consenso della Corte, altri semplicemente spinti da una volontà usurpatrice, tutti (nessuno escluso) con la pretesa di elaborare e votare o far votare uno sconvolgimento radicale della Costituzione, che fu, nel 1947 (non si dimentichi!), frutto del lavoro di un’assemblea costituente rappresentativa del popolo intero. Non basta attenersi al rispetto della rigidità della Costituzione, sancito dagli articoli 138 e 139 della Carta del ’48, o dei principi riconosciuti dalla dottrina giuridica come inviolabili, per ritenere di avere mano libera per il resto, cioè per modificare radicalmente l’impianto istituzionale dello Stato. E ciò, ancora una volta, a prescindere dal merito, cioè dal contenuto e dalla portata delle modifiche, per altro anche errate nell’impianto normativo scritto.
La Costituzione repubblicana si può anche rivoluzionare e farne sostanzialmente un’altra, ma ciò è materia di competenza dell’intero popolo italiano; quindi da delegare ad un’assemblea costituente eletta con sistema proporzionale, in modo che tutte le istanze culturali e politiche siano rappresentate, in ragione diretta del loro peso numerico.
Roberto Culatti
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Tra le tante ragioni per votare NO, la coerenza, di Roberto Biscardini
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La segreteria del Psi di Nencini ha annunciato che i socialisti voteranno SI al Referendum costituzionale in conformità con il voto dato in parlamento, perché leali con Renzi e per coerenza con le cose che avrebbero sostenuto in passato.
La prima ragione è vera la seconda è falsa.
Qui la coerenza non c’entra. Anzi i socialisti in tutti questi anni hanno contestato che un Parlamento di nominati ed eletto con un sistema maggioritario potesse cambiare la Costituzione per rispondere ai soli interessi del partito di governo.
Anzi il PSI aveva fatto di più, non più tardi del 2009, già con Nencini segretario, si fece promotore di una proposta di legge di iniziativa popolare dal titolo “Elezione diretta dell’Assemblea Costituente per la revisione della Costituzione”, che per debolezza e difficoltà organizzative non riuscì poi a portare a termine.
Ma nella relazione che accompagna quella proposta di legge sono scritte cose molto chiare, che smentiscono la posizione della segreteria del Psi di oggi.
Nella relazione alla proposta di legge di allora, elaborata da me insieme a Rino Formica e Giuliano Vassalli, è scritto:
“La necessità di un revisionismo costituzionale nasce nell’opinione pubblica a partire dagli anni ’70, generata e alimentata dai radicali cambiamenti avvenuti nel tessuto socio-economico del Paese, cambiamenti resi possibili proprio dalle lungimiranti scelte operate dai padri costituenti in materia di libertà civili, politiche ed economiche….”
“…. con la modifica delle leggi elettorali a partire dagli anni ’90, il Parlamento modifica di fatto la Costituzione e il suo spirito originario, la Costituzione “materiale” non corrisponde più a quella “formale”…. La sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, della politica, dei partiti e persino dello Stato nelle sue articolazioni centrale, regionale e locale ha raggiunto un livello mai conosciuto dal dopoguerra. Il sistema istituzionale mostra i segni di un cedimento strutturale. L’attuale forma di governo è un ibrido, abbiamo ancora costituzionalmente un sistema di governo di tipo parlamentare, ma con un Presidente del Consiglio di fatto eletto direttamente dai cittadini. La forma dello Stato è in bilico tra Stato unitario e Stato federale. Siamo di fronte a cessioni di sovranità al federalismo sopranazionale e cessioni di sovranità al federalismo infranazionale. Debole è il collegamento tra garanzia assoluta delle libertà politiche e sviluppo tendenziale dei diritti sociali….”
“…. L’idea che si possa cambiare la seconda parte ma non la prima, non riconoscendo il valore essenziale dell’inscindibilità dell’intero testo costituzionale, è un non senso che rischia di mettere in pericolo principi e valori, riducendo la prima parte ad essere “isolata e muta”….”
“…. Per trent’anni si è cercato di porre mano ad un problema reale facendo ricorso a Commissioni Parlamentari e a forme di manutenzione marginale della Costituzione, nella illusione che solo l’introduzione di leggi elettorali maggioritarie avrebbe reso più agevole l’uso dell’art. 138 della Costituzione ….”
“… I socialisti pensano oggi, come hanno sempre sostenuto in passato, che la via maestra sia dare la parola al popolo. La proposta di iniziativa popolare per l’istituzione di una Assemblea Costituente è nel solco della tradizione democratica e popolare dei socialisti, riconosce come essenziale per il Paese una Grande Riforma, tende ad evitare che tentazioni contraddittorie di separatismo politico e territoriale distruggano l’immenso contributo di sacrifici e di sofferenza che il popolo italiano ha dato per la costruzione di una libera Repubblica.
Art. 1. Il popolo italiano, a suffragio universale e diretto, elegge l’Assemblea Costituente della Repubblica italiana. L’assemblea Costituente redige e adotta la nuova Costituzione.
Art. 2. L’assemblea Costituente è composta da settantacinque membri eletti con metodo proporzionale atto a garantire la massima rappresentatività e disciplinato con legge ordinaria.
L’Assemblea Costituente è eletta entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale.
Sono eleggibili tutti i cittadini italiani maggiorenni che abbiano i requisiti di eleggibilità alla Camera dei Deputati, ad eccezione dei membri del Governo, del Parlamento italiano, del Parlamento europeo.
(seguono altre 5 articoli)”
Da questa proposta si capisce bene che i socialisti non sono mai stati dalla parte della conservazione tout court della Costituzione così come è, ma come nel ’46 hanno condizionato la riforma della Costituzione alla elezione di una Assemblea costituente eletta direttamente dal popolo e con sistema proporzionale.
E a questo i socialisti sinceri sono rimasti fedeli.
E’ questa una delle tante ragioni per votare e costituire i Comitati socialisti per il NO.
Roberto Biscardini
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Una ottima ragione per votare NO, di Alberto Benzoni
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“Italiani, rassicuratevi”- dice Renzi -“non chiederò un terzo mandato; anzi mi ritirerò dopo avere completato il secondo”.
Per la verità, questa dichiarazione non ci rassicura affatto; anzi. Perché è la classica promessa del classico caudillo: che si tratti di Putin, di Erdogan o dei vari leader più o meno carismatici dell’Africa o dell’America latina. Impegni o promesse che, tra l’altro, al dunque vengano regolarmente disattese, aprendo così la strada a involuzioni di tipo autoritario. Per inciso, tutti costoro sono presidenti delle repubblica eletti dal voto popolare; mentre il Nostro è stato designato presidente del consiglio nell’ambito di un sistema parlamentare.
In questo senso, la sua dichiarazione è una novità assoluta. Mai successo nella storia dell’Europa democratico-liberale. Non si era mai visto un presidente del consiglio designato dal presidente della repubblica che avesse una concezione così proprietaria del suo ruolo da annunciare all’Italia tutta che intende esercitarlo sino alla fine della prossima legislatura ( salvo, potetene esserne certi, a rimangiarsi , al dunque, la promessa, perché l’opera di risanamento non è stata completata, perché i successori non sono all’altezza e via affabulando).
O niente o tutto. A fare questa scommessa e da presidente della repubblica, solo il generale De Gaulle. Uno che aveva liberato e incarnato la Francia. Mentre il suo maldestro imitatore si è limitato ad occupare Il Pd e ad incarnare Firenze.
Molti continuano a chiedersi quale sia la piattaforma più corretta per la campagna del no. Entrare nel merito della riforma ( ma allora sarebbe più serio se ci fossero quesiti separati) ? Valutare la riforma nell’ambito dell’attività complessiva del governo ? Personalizzare ?
Inutile arrovellarsi su questo tema. Perché il senso del quesito che viene proposto sta, in questo come in quasi tutti in casi, nell’interpretazione che ne dà chi lo promuove.
Renzi vuole un “mandato del cielo”che gli consenta di muoversi, libero da ogni condizionamento, per completare la sua opera di rottamazione; “se io vinco, tutto e tutti a casa”. “ O me o tutti gli altri”.
E allora, cittadini, “volete voi attribuire tutto il potere a Matteo Renzi e alla cerchia di amici e sostenitori che gravita intorno a lui”. E non c’è altro da aggiungere; perché, nel caso specifico, il caos evocato dal premier, in caso di una sconfitta, sono tutti gli altri; le persone e le istituzioni della repubblica.
Alberto Benzoni
Questa voce è stata pubblicata in Costituzione italiana, Riforma Renzi Boschi, secondo mandato a Renzi, Senza categoria, Socialismo, Riforme, Referendum, Governo Renzi, PSI, Comitato socialista per il NO.
Un NO rotondo e motivato, fermo, deciso e intransigente, ma sempre sereno e pacato. Come nel referendum cileno di Pinochet votare NO con allegria, di Felice Besostri
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Una proposta di revisione costituzionale, come la Renzi Boschi non avrebbe avuto alcuna probabilità di passare nella XIIIa Legislatura (1996-2001) in una Commissione Affari Costituzionali, dove ero il capogruppo dei DS ed era presieduta dal prof. Massimo Villone e non dalla senatrice Finocchiaro. In questa riscrittura di 48 articoli della Costituzione manca la trasparenza: il primo ministro è di fatto eletto direttamente, grazie ad un ballottaggio, cui si accede senza quorum di partecipazione al voto e/o di percentuale delle liste ammesse, ma formalmente facendo salve le prerogative del Presidente della Repubblica come prevede la forma di governo parlamentare: quella scelta dai padri costituenti. Malgrado l’ art. 92.2 Cost. 1 potrebbe il Capo dello Stato nominare Presidente del Consiglio dei Ministri un personaggio diverso da quello indicato come capo politico della lista, che dispone almeno di 340 seggi su 630 della Camera? No! Lo scriveva sul Sole 24 Ore del 26 aprile 20152 il prof. D’Alimonte, quindi dicono il falso i sostenitori del SI’, quando dicono che non è cambiata la forma di governo: questa passa da parlamentare a un premierato assoluto.
La preoccupazione maggiore è che questa revisione sia un antipasto di quella vera, fatta non più da un Parlamento di 945 parlamentari eletti più 6 senatori a vita o di diritto, ma da una Camera di 630 deputati e da un Senato a mezzo servizio di 100 membri. I principi fondamentali sono già stati toccati e proprio l’art. 1.2 Cost.3, togliendo al popolo sovrano il potere di eleggere il Senato, come gli è stato negato il diritto di eleggere gli organi provinciali e delle Città metropolitane. L’elezione diretta di un Senato di 100 membri non avrebbe migliorato la situazione. La vera soluzione, che avrebbe avuto ampio consenso, era la riduzione della Camera a 400 deputati e del Senato a 200 in totale 600 invece di 7304: un risparmio maggiore dei costi della politica5. L’altra soluzione sensata era di passare davvero ad un Parlamento monocamerale con una legge elettorale proporzionale, corretta da una soglia di accesso. Per dare stabilità ai governi basta la sfiducia costruttiva. I premi di maggioranza non sono conformi alla Costituzione, perché se vincolano il parlamentare , eletto grazie al premio, sono in contrasto con l’art. 67 Cost6., che vieta il mandato imperativo. Se, invece, non lo vincolano ,come è avvenuto nelle legislature conseguenti alle elezioni del 2006, 2008 e 2013, si sacrifica gravemente e inutilmente la rappresentatività.
L’attuale Senato è composto da 315 senatori eletti su base regionale. Il nuovo “ Senato della Repubblica è composto da 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da 5 senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica” L’art. 57 Cost. revisionato è inapplicabile perché richiede che i consigli regionali e di provincia autonoma eleggano i senatori “con metodo proporzionale”, impossibile quando i senatori siano 2 o 3 in totale, di cui uno sindaco. Ebbene è il caso di 11 regioni e 2 province autonome su 21, cioè la maggioranza. Con i sindaci tutti e i 5 di nomina presidenziale il totale dei senatori non eletti con sistema proporzionale è il 36% del nuovo Senato. Con un popolo informato la vittoria dei NO è scontata, ma questo deve essere evitato ad ogni costo. Quindi nella parte finale della campagna referendaria ci sarà il terrorismo politico-finanziario sulle famiglie che hanno un mutuo a tasso variabile: il diritto di voto dei cittadini sarà espropriato dalle agenzie di rating, dal FMI e dalla BCE: alla faccia del voto libero, uguale e personale previsto dal nostro art. 48.2 Cost..
Il passaggio alle elezioni di secondo grado, che per gli enti locali territoriali è in contrasto con la Carta Europea dell’Autonomia Locale ratificata dall’Italia- serve solo a sapere chi governerà la seraprima delle elezioni, ridotte a una farsa e nel caso del Senato- a differenza di cosa vuol far credere la propaganda a favore del SI’ del PSI- non saranno rappresentati, né i maggiori Comuni, né le Città metropolitane, ma i consiglieri regionali sindaci dei Comuni sotto i 5.000 abitanti: gli unici che possono permettersi di fare i Senatori senza indennità. Le eccezioni saranno rappresentate da sindaci, che abbiano urgenza di avere l’immunità, che non si giustifica per chi non rappresenta più la Nazione, rappresentanza che il nuovo art. 67 Cost. riserva ai soli deputati.
La revisione costituzionale è stata fatta in fretta dettata da esigenze di dimostrare chi comanda, Bossi usava un’altra espressione genitale, ma il concetto è lo stesso e quindi approvazione in ogni caso e a ogni costo. Si è arrivati all’assurdo, che i Sindaci metropolitani, se si fanno eleggere direttamente dai cittadini, insieme con il Consiglio metropolitano, non possono essere più eletti senatori e se lo fossero stati, come Sindaci del Comune capoluogo, dovrebbero decadere. Per dare un contentino ad alcuni esponenti della minoranza PD, hanno accolto un emendamento al V° comma del famigerato nuovo art. 57 Cost., per il quale a un comma che riguardava la durata del mandato dei Senatori “eletti” è stato, in aggiunta, specificato “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma”. Non essendosi cambiati né il II°, né il primo periodo del V° comma, né il VI° comma , sostituendo le parole “eleggono”, “eletti” ed “elezione” rispettivamente con “nominano”, “nominati” e “nomina” il legislatore boschian-renziano ha combinato un bel pasticcio. Se le scelte espresse dagli elettori fossero vincolanti, come indicherebbero le parole “in conformità” quella del Consiglio sarebbe una nomina e non una elezione. Inoltre l’ultimo periodo del VI° comma, per cui “i seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun consiglio” impedirebbe che i futuri Senatori potessero essere scelti unicamente in base alle scelte degli elettori, cioè non tenendo conto dei premi regionali di maggioranza, di norma superiori a quelli dell’Italikum (54%), perché arrivano al 60% e più, se contassero anche il seggio consiliare attribuito al Presidente della Regione. Questa confusione è stata dettata dal fatto che l’abolizione dell’elettività diretta del Senato non è stata una scelta meditata, ma improvvisata, dettata dall’impossibilità di trovare un algoritmo, che contro la volontà degli elettori, attribuisse un premio di maggioranza politicamente omogeneo nelle due Camere. Per demagogia populista e per parlare al basso ventre dei cittadini si è stabilito che i nuovi Senatori non avranno un’indennità di carica aggiuntiva a quella di cui godono come Consiglieri regionali o Sindaci. I senatori a vita e quelli di diritto(ex Presidenti della Repubblica godranno delle indennità piene, mentre per i nuovi di nomina presidenziale non è chiaro. Tuttavia se la logica è che i senatori consiglieri regionali e i sindaci non ricevono indennità perché già ne godono di un’altra, che succede se i 5 senatori a tempo non sono né consiglieri regionali, né sindaci? Devono essere ricchi di famiglia o pensionati d’oro? e l’uguaglianza dei cittadini dove la mettiamo?
Il vertice della confusione, che contrasta con la semplificazione annunciata e sbandierata, è raggiunta nel procedimento legislativo regolato dall’art. 70 Cost., che nella formulazione vigente7 è di una chiarezza esemplare di nove parole. Il nuovo non è possibile trascriverlo: sei commi e molte centinaio di parole. Non le ho contate, ma ho letto che son più di novecento, chiederò conferma ad un esponente del SI’ a uno dei prossimi e rari confronti. Tante parole ma poco chiare perché ho sentito parlare di 5, 7 e anche 9 procedimenti legislativi diversi, perché oltre che l’art. 70 Cost. entrano in gioco anche gli artt. 72, 77 e 117 Cost.. Il conflitto Stato/ Regioni può diventare conflitto Camera/Senato con rischi di incostituzionalità delle leggi per violazione del procedimento e il rischio di conflitto di attribuzione con le Regioni non è evitato, poiché per alcune materie, già di competenza concorrente, l’esclusiva competenza statale è limitata alle norme generali e comuni, cioè queelo che avrebbe dovuto fare con le materie di competenza concorrente.
Il dominio dell’esecutivo, cioè del Presidente del Consiglio dei Ministri non è solo di fatto avendo una maggioranza precostituita di 340 seggi più una quota dei 12 della circoscrizione all’estero, ma di diritto potendo chiedere l’approvazione di leggi a data certa entro un termine di poco superiore a quello di ratifica dei decreti legge, che quindi solo formalmente sono stati limitati. Inoltre è stata introdotta una clausola di supremazia8, che in una democrazia parlamentare introduce una pericolosa novità: una materia, formulata in termini general-generici, riservata all’iniziativa legislativa del solo Governo, come unico rappresentante dell’interesse nazionale, quando la Costituzione affida ad ogni singolo parlamentare la rappresentanza della Nazione. In pratica quando vuole lo Stato si riserva di intervenire senza limiti comprimendo l’autonomia regionale.
Dire mezze verità, che come insegna il Talmud, sono bugie intere è la regola. Dicono che sono stati aumentati i quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica: è vero a metà. Dalla quarta votazione sono richiesti i 3/5 e non più la maggioranza assoluta dei componenti di un’assemblea composta da Camera, Senato e delegati regionali, un migliaio di persone, ma dalla settima bastano i 3/5 dei votanti, che possono essere meno della maggioranza assoluta, che a revisione approvata è comunque ridotta dai 505 attuali9 ai 367 post-revisione10. I 3/5 degli aventi diritto a Costituzione riformata sarebbero 440, ma i 3/5 dei votanti con 80 assenti sono appena 390 un quorum facilmente raggiungibile da chi parte dai 340 del premio di maggioranza.
L’altro organo di garanzia la Corte Costituzionale, la Corte Costituzionale di 15 membri, 5 designati dalle magistrature superiori, 5 nominati dal Presidente della Repubblica, 5 eletti dal Parlamento, non più in seduta comune , ma 3 dalla Camera dei Deputati e 2 dal Senato ben potrebbe avere una maggioranza di designazione politica, determinata dal Partito o gruppo parlamentare, beneficiario del premio di maggioranza, che elegga il Presidente della Repubblica, potendo contare sui 5 di nomina presidenziale e di 3 di elezione parlamentare, cioè della maggioranza di 8 su 15. Il quorum dei 2/3 e poi dei 3/5 è una garanzia diversa se i votanti sono i 945 del Parlamento in seduta comune o i 630 della Camera ovvero i 100 del Senato, di nomina presidenziale e di elezione da parete di Consigli regionali eletti con sistemi iper-maggioritari.
Nella revisione le pochissime innovazioni positive come i referendum propositivi non sono di immediata entrata i vigore ma rinviati ad una legge costituzionale futura, non si sa quanto prossima e gli istituti di garanzia delle opposizioni aspettano norme regolamentari di cui la maggioranza parlamentare drogata dal premio di maggioranza. Un po’ poco rispetto alle ragioni per il NO illustrate e che sono aggravate dalla legge elettorale per la Camera, che prescinde dalla sentenza di annullamento del Porcellum , anzi ne è una plateale elusione. D’altra parte cosa c’era da aspettarsi da un Parlamento eletto con una legge incostituzionale? Che manometta la Costituzione e sconfessi la Corte Costituzionale.
Milano 10 giugno 2016, nell’anniversario dell’assassinio di Giacomo Matteotti
Felice Besostri
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1“Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”
2 “Gli elettori sceglieranno chi governa ma il sistema non sarà «presidenziale»” Commento: purtroppo, cioè senza una netta divisione dei poteri e senza quel sistema di checks and balances, che lo caratterizza.
3“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”
4 Per esempio il ddl costituzionale A.S. n.1195
5 400+200=600˂630(sola Camera)˂630+100(Camera+Senato)
6“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”
7 “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”
8“Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”(art. 117.4 Cost.rev.).
9 Deputati 630+ Senatori 315+Delegati regionali 58+Senatori a vita 4+Senatori di diritto 2= 1009
10 Deputati 630+Senatori 100+Senatori di diritto 2=732
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I motivi del NO al Referendum, di Gioacchino Assogna
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Come Socialisti del X Municipio di Roma, abbiamo costituito il Comitato Socialista per il NO, per contrastare la grave riduzione dei diritti di scelta da parte dei cittadini, che non potranno piu’ votare per le Province e il Senato, intaccando il principio fondamentale dell’ attuale Costituzione basata sulla “sovranità popolare”.
A cio’ si aggiunge che per la Camera dei Deputati il 70% sarà nominato e non scelto dai cittadini, con il potere di eleggere il Capo dello Stato, la Corte Costituzionale, il Consiglio Superiore della Magistratura e lo stesso Amministratore Delegato della RAI-TV.
Neppure risponde al vero la conclamata semplificazione con il superamento del bicameralismo, in quanto tutte le leggi dovranno essere trasmesse al nuovo Senato e la Camera avrà 90 giorni per pronunciarsi sulle proposte di modifica.
Gli stessi poteri riguardanti i problemi territoriali delle Regioni e dei Comuni, non sono affatto attribuiti al nuovo Senato, bensi’ alla Camera dei Deputati. Cioè norme contraddittorie che daranno luogo a inevitabili contenziosi.
Non è assolutamente condivisibile il concetto “dopolavorista” di Sindaci e Consiglieri Regionali che fanno i Senatori a Roma nei fine settimana con immunità, mentre è più giusto far svolgere le funzioni per cui uno viene eletto, in particolare per i Sindaci che hanno responsabilità nei propri territori.
Non di meno è paradossale la presenza nel nuovo Senato dei Senatori a Vita (anche con la durata ridotta), nominati per le eccellenze internazionali e costretti a discutere di problemi territoriali. Idem per gli ex Presidenti della Repubblica. È preferibile che entrambi facciano parte della Camera dei Deputati per la possibilità di misurarsi sui problemi di rilievo Nazionale e Internazionale.
Questi sono alcuni importanti motivi che ci impegnano a sostegno del NO al Referendum di Ottobre.
Gioacchino Assogna, Segretario PSI del X Municipio (cell.333.3027610)
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Area Socialista registra un sensibile arretramento dell’area politica progressista
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Area Socialista sottolinea l’avanzata impetuosa del populismo politico e demagogico a questo primo turno delle elezioni amministrative, in particolare nelle grandi città capoluogo. Esso è apparso assai più convincente di quello esercitato dal ‘Palazzo’. Il primo turno del voto, certamente caratterizzato da un forte astensionismo e dalla peculiarità del voto amministrativo, registra un sensibile arretramento dell’area politica progressista nel suo complesso e ne evidenzia la fragilità quando essa si presenta divisa e frastagliata. La prospettiva del ‘Partito della Nazione’ appare chiaramente indebolita da questo voto, così come, al contrario, le forze che si oppongono al Governo, seppur disomogenee, sono significativamente in aumento, segno di un netto ripiegamento della maggior forza di Governo e del ‘mancato plebiscito’ richiesto, anche in questa occasione, dal premier, che ha monopolizzato il voto amministrativo anticipando il giudizio referendario.
Area socialista ringrazia i compagni candidati aderenti e simpatizzanti per l’impegno profuso in campagna elettorale in diversi schieramenti dell’area del centrosinistra o autonomi. Colpisce il fallimento elettorale delle liste presentate da Nencini in grandi capoluoghi come Roma e Napoli: una gestione personalistica e subalterna al Pd, in particolare negli ultimi tre anni, hanno prodotto lo svuotamento del voto socialista, al quale é necessario far fronte con un’efficace e pronta discontinuità. Facciamo appello anche ai compagni iscritti al Psi, affinché convergano su posizioni autonome di rilancio e di iniziativa dell’area socialista, a partire dal referendum sulla Costituzione e per la promozione di un’Assemblea costituente che ripari allo scellerato disegno di Matteo Renzi. Nella crisi economica e sociale s’ingrossano i movimenti politici demagogici e confusionari: la sinistra riformista, se non riqualifica la propria azione politica, segna il passo. Area socialista é sul terreno per scongiurare che si apra un vuoto politico per l’assenza dell’esperienza della limpida e coerente tradizione del socialismo italiano. Il voto dimostra che l’autosufficienza del Pd risiede solo nel velleitarismo della sua guida, che ne ha rilanciato la necessità nonostante il voto abbia clamorosamente dimostrato il contrario.
Roma, 6 giugno 2016.
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