CGIL

Rinviato il Referendum del 29 di marzo. Adesso tutti in marcia per le ragioni del No! di Adriano Sgrò

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Il nostro appello ha conseguito il primo risultato: impedire una consultazione in condizione di grande difficoltà nel paese. Alla ipotesi di danneggiamento della rappresentanza parlamentare e democratica stava per aggiungersi una ulteriore grave lesione con un voto in condizioni problematiche.

Adesso con le donne e con gli uomini della Cgil che si battono quotidianamente a fianco dei pensionati e di chi lavora dobbiamo condurre una campagna informativa per contrastare questa bruttissima modifica costituzionale.

Le ragioni del No stanno dentro un percorso contro il danneggiamento della Democrazia e della rappresentanza diffusa delle ragioni del mondo del lavoro, di genere e territoriale.Abbiamo quindi davanti a noi la possibilità di contrastare questo attacco alla nostra Costituzione e vogliamo dimostrare che la qualità della vita democratica si garantisce con l’allargamento della partecipazione alla vita politica e sociale del paese.

Possiamo ridurre i privilegi e razionalizzare le retribuzioni dei parlamentari ma non dobbiamo accettare una compressione della Democrazia e della piena rappresentanza parlamentare di rango costituzionale. Per il No con le ragioni del mondo del lavoro e per salvare la Democrazia parlamentare.

Adriano Sgrò

Coordinatore nazionale ‘Democrazia e Lavoro’

Taglio dei parlamentari? No grazie. di Maurizio Brotini

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Il 29 marzo saremo chiamati come cittadine e cittadine ad esprimerci sul drastico taglio di deputati e senatori al referendum costituzionale confermativo, per il quale non è necessario il raggiungimento di nessun quorum di votanti. Ma la riduzione e lo svilimento delle assemblee elettive è forse quello di cui ha bisogno la nostra Democrazia?

Nell’epoca della contraddizione sempre più lacerante tra Capitalismo e Democrazia, tra finanza globalizzata e mondo del lavoro precarizzato ed atomizzato, di questo c’è bisogno? Della partecipazione democratica – e dello svolgimento di rappresentanti delle istanze popolari nel Parlamento – vista come costo contabile cosa avrebbero detto i Padri Costituenti e chi al sistema del Capo dal mento volitivo e delle aule parlamentari ridotte ad un bivacco si oppose in armi la vita rischiando?

Non è risibile l’argomentazione di ridurre i costi del funzionamento di Camera e Senato riducendo i rappresentanti del Popolo invece che, eventualmente, gli emolumenti? Magari ripristinando il finanziamento pubblico della politica per sottrarla al ricatto dei generosi prestatori privati pronti a richiamare all’ordine al momento della bisogna, quando in gioco ci sono gli interessi economici degli stessi? Quale imbarazzo nella vicenda delle concessioni autostradali e dell’ampliamento dell’aeroporto di Firenze: questo mortifica la Politica con la P maiuscola.

Tagliando da 630 a 400 il numero dei Deputati e da 350 a 200 il numero dei Senatori sulla canea montante del taglio delle poltrone si alimenterà ancor più la dittatura degli Esecutivi sui Parlamenti, la penalizzazione della rappresentanza di interi territori visto che il Senato è eletto su base regionale e l’innalzamento oggettivo di uno sbarramento implicito per accedere alla rappresentanza da parte di forze politiche che prenderanno comunque milioni di voti. Ci vorranno molti più votanti della media europea per eleggere un deputato ed un senatore, ma in questo caso l’Europa non è più un riferimento a quanto pare.

Ma quello che accadrà, che verrà ulteriormente sancito, sarà che solo ricchi e benestanti, libero professionisti ed affini calcheranno le Aule parlamentari, alla faccia del sogno del giovane Peppino Di Vittorio che le voleva ripiene di cafoni del Sud e di operai del Nord. Il dialogo tra il Segretario nazionale della Cgil Maurizio Landini e Massimo D’Alema, pubblicato dalla rivista ItalaniEuropei ed oggetto di una comune riflessione presso la sede della Cgil Nazionale, è stato costellato da considerazioni come la necessità di “sardine operaie” e dalla assoluta mancanza di operai, precari, impiegati ed similia tra chi può fare e fa politica nelle assemblee elettive.

Secondo voi, tagliare il numero dei Parlamentari risolverà il problema o lo peggiorerà? Certo, quella che abbiamo di fronte è una lunga stagione di sovversivismo delle classi dominanti che ha introdotto a partire dagli anni Novanta una continua torsione autoritaria nell’architettura costituzionale. Il primato del Governabilità rispetto alla Rappresentanza (un Governo in realtà debole di fronte alla forza delle multinazionali e della finanza globalizzata proprio perché privato di una robusta legittimazione popolare), l’esclusione di intere culture politiche attraverso l’ibridazione di sistemi maggioritari e spinte bipolari, l’accettazione del primato della Tecnica rispetto alla Politica, l’accettazione passiva del non ci sono alternative di tatcheriana memoria. Chi ne ha fatto le spese è stato il Lavoro, la sua rappresentanza politica.

Chi ne ha fatto le spese sono i lavoratori e le lavoratrici in carne ed ossa, precari, disoccupati, sottoccupati. Ma può darsi piena Democrazia se il sistema stesso seleziona ed esclude “la classe più numerosa e più povera”, usando una espressione Ottocentesca? Non di meno ma di più democrazia abbiamo bisogno: a fronte di una crisi economica e sociale paragonata a quella del ’29, alla folle riduzione del perimetro pubblico e dei sistemi di protezione sociale proprio nella crisi, una crisi la cui gestione da parte delle classi dominante ha prodotto il maggior tasso di diseguaglianze sociali e territoriali che la storia recente dell’Europa abbia mai conosciuto, base materiale per le preoccupanti avanzate di forze fasciste e neonaziste. La pulsione per l’uomo forte e solo al comando che il rapporto Istat ci consegna non va blandita, va contrastata a viso aperto e coraggiosamente. E noi che facciamo sindacato con l’immutata passione e voglia di cambiare il mondo lo sappiamo bene.

Dietro la svalorizzazione della Politica come capacità collettiva di cambiare le cose e costruire il proprio destino ci sta, come c’è sempre stato, il Primato insindacabile dell’Impresa e del Mercato, del Profitto e del Pareggio di Bilancio. L’abolizione dell’articolo 18 (e l’articolo 8 di sacconiana memoria) va di pari passo con la corrosione e lo svilimento delle istanze rappresentative. La lotta alla Casta è una parola d’ordine di destra. E il Parlamento non è una Casta. Ridare valore e prestigio al Parlamento deve andare di pari passo col ridare dignità al lavoratore ed alla lavoratrice a partire dal posto di lavoro, al precario a partire da un lavoro stabile, ad un disoccupato a partire da una occupazione. Noi della Cgil abbiamo tutte la carte in regola per dire NO al taglio dei parlamentari perché diciamo SI ai diritti dei lavoratori.

Maurizio Brotini

tratto dal sito: https://fortebraccionews.wordpress.com/

I bagliori (apparenti) del Lingotto e l’operoso lavorio dei “Socialisti in Movimento”, di Nicola Cariglia

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A Torino non si è riaccesa la stella di Renzi. A Roma un’affollata riunione di socialisti e laici seriamente e senza clamori ha iniziato un percorso accidentato che potrebbe anche portare lontano.
Hanno voglia a menare il can per l’aia, i soliti zelanti cantori delle epiche gesta del potere, ancora abbriccati al carro condotto sempre più incertamente da Matteo Renzi. A fotografare lo stato di precarietà in cui si trova, basta considerare che determinante per la sua vittoria, se si verificherà, sarà Dario Franceschini. E che dagli umori del medesimo Franceschini dipenderà, in gran parte, se e quanto resterà alla guida del PD. Non solo: con l’annuncio, nel suo intervento al Lingotto per il lancio della candidatura di Renzi alle primarie, della necessità di una intesa con Forza Italia e i moderati, il ministro della cultura ha anche indicato quale linea politica il PD dovrà tenere nella prossima legislatura se Renzi vuole restare segretario del partito.

E’ l’ennesimo paradosso e l’ultima contraddizione dell’ormai ex rottamatore: dipendere dall’uomo che, chiamato a sostituire Veltroni alla segreteria del PD, aveva definito il “vicedisastro”. Ecco cosa Renzi dichiarava alla Stampa di Torino il 23 febbraio del 2009: “Sabato è stata un’occasione persa. Non avrei votato Dario: se Veltroni è stato un disastro, non si elegge il vicedisastro per gestire la transizione. In questi anni Franceschini è stato una delusione, percepito come il guardiano di Quarta Fase, l’associazione degli ex popolari: basta con questa storia degli ex!”. E’ sufficiente tutto questo per capire che al di là dei proclami eclatanti di ripartenza, di una nuova fase, del passaggio “dall’io al noi” lo spettacolo emerso al Lingotto nella tre giorni per il lancio della candidatura di Renzi ci parla di un uomo sulla difensiva. Un uomo che si sforza di tenersi stretti i suoi, non proiettato ad aggredire i problemi del Paese.

Ben diverso (si parva licet…) quanto abbiamo potuto constatare (di persona) ad un altro evento che si è svolto a Roma domenica 12 marzo. Associazioni, circoli, gruppi di facebook, siti web soprattutto di matrice socialista si sono ritrovati per prendere una iniziativa che vuole avere come approdo la creazione di un soggetto unitario ispirato alla cultura laica, liberale e socialista. Quale il risultato della giornata? Una buona partenza. La sala era affollata. Non so quanti fossero i presenti: certamente tanti e, oltretutto, provenienti da molte regioni italiane. Sono intervenuti anche Michele Emiliano, governatore della Puglia e uno dei tre pretendenti alla segreteria del PD; Miguel Gotor, esponente del neonato movimento dei Democratici progressisti, e la bravissima Anna Falcone, vicepresidente dei Comitati per il No al recente referendum costituzionale. L’idea è che si sia preso coscienza di due esigenze. La prima è di considerarsi solo gli iniziatori di un processo che dovrà coinvolgere altre realtà per dare vita assieme ad un soggetto politico che dovrà, a pieno titolo, rivolgersi a tutti gli italiani senza limitare l’orizzonte al proprio interno. In altre parole: non basta rimettere assieme i cocci dell’universo laico, liberale e socialista. La seconda esigenza è di passare decisamente alla fase organizzativa della presenza sul territorio e dell’autofinanziamento.
Credo che i tempi siano veramente stretti. Non bisogna disperdere energie su obbiettivi troppo numerosi e vaghi. L’assemblea ha adottato decisioni che possono rappresentare anche una base per una buona organizzazione. Niente è scontato e niente è compromesso.

Nicola Cariglia


Appello finale- Socialisti in Movimento, Roma 12 marzo 2017

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L’Assemblea dei “Socialisti in Movimento” che si è svolta a Roma il 12 marzo 2017 ha concluso i propri lavori con il seguente appello rivolto a tutti i socialisti di buona volontà perché, a partire dal loro diverso vissuto e dalle loro comuni aspettative, partecipino da protagonisti alla ricostruzione di una nuova area socialista in Italia larga e unitaria, indipendente e distinta dall’attuale Pd, che abbia come obiettivo l’affermazione di una nuova sinistra socialista, riformista e democratica.
L’Assemblea si propone la costituzione di un movimento politico nuovo, inclusivo e non divisivo rispetto alle esperienze che i socialisti italiani hanno fatto nei lunghi anni della Seconda Repubblica.

L’ambizione, il bisogno, il desiderio di dare alla cultura socialista una nuova rappresentanza politica ha attraversato la storia dei socialisti negli ultimi decenni ed ognuno l’ha coltivata e praticata come poteva.
Adesso siamo a un punto di svolta, il sistema politico italiano non è più bipolare e la crisi economica mette in evidenza la giustezza delle battaglie storiche del socialismo a favore delle componenti più deboli della società.

Dopo un quarto di secolo dalla nascita della Seconda Repubblica abbiamo il dovere di fornire una risposta alternativa all’anomalia italiana che si è caratterizzata a sinistra non solo nella progressiva cancellazione dei socialisti dalla scena politica, ma soprattutto nel fatto che il più grande partito italiano della sinistra e membro del Pse, per convenienza, abbia contribuito a cancellare il socialismo non solo nel nome, ma anche nella “sostanza”, al punto di avallare, se non di promuovere, nel corso degli ultimi vent’anni una serie di riforme di segno liberista profondamente contrastanti con i valori e le conquiste del socialismo democratico.
Di fronte alle macerie della Seconda Repubblica e di fronte ai segnali di grave preoccupazione per un ulteriore involuzione democratica del sistema politico solo una presenza socialista ancorata ai principi di giustizia e democrazia.

Socialisti in Movimento” non è altro che la prosecuzione, dopo il 4 dicembre, dell’esperienza dei socialisti impegnati nei Comitati socialisti per il No.

Infatti la straordinaria esperienza dei Comitati socialisti del No, il voto che quasi venti milioni di italiani hanno espresso senza equivoci contro il progetto di riforma costituzionale e contro un’idea di una democrazia monocratica, insieme alla sentenza della Corte costituzionale contro l’Italicum che ha definitivamente aperto la strada per il ritorno ad un sistema elettorale prevalentemente proporzionale, sono oggi i punti di forza da cui si può ripartire.

Se non ora quando? Di fronte ad una fase che si è chiusa ed una nuova che si apre, chiediamo a tutti i socialisti delle più diverse appartenenze, a coloro che  ritengono di dover rimanere nelle loro “case”, associazioni, partiti e circoli, e non intendono abbandonarle, ma anche a tutti coloro che sono socialisti senza saperlo, di iniziare con generosità un percorso nuovo che ci consenta di fare delle “cose” insieme, proposte e battaglie politiche comuni.
Per costruire una prospettiva nuova, per senso del dovere, non solo per noi stessi e per i tanti nostri compagni chiusi da anni nella propria autoreferenzialità, ma per dare ai socialisti un ruolo nuovo nella politica e nella società italiana.

A questo proposito l’Assemblea del 12 marzo indica i seguenti obbiettivi:
– dar vita a un movimento socialista largo a cui partecipano senza distinzione tutti coloro che si riconoscono nella cultura socialista democratica italiana e che ritengono necessario che i valori e i principi unificanti di questa cultura possano prevalere nella sinistra italiana. Non un partito, ma un movimento di iniziativa politica, che, con uno Comitato promotore nazionale, si organizza a livello locale su tutto il territorio nazionale in Comitati regionali, provinciali e municipali, aperti a tutti coloro che progressivamente vorranno partecipare.

  • costruire le condizioni perché i socialisti ritornino a partecipare con la propria identità alla competizione elettorale nazionale e da subito alle prossime elezioni amministrative con liste a forte impronta socialista.

    Per raggiungere questi obbiettivi si da mandato al Comitato promotore nazionale di insediare al più presto due gruppi di lavoro, il primo con il compito di affrontare gli aspetti organizzativi del movimento compreso la scelta del nome e di un eventuale simbolo da presentare alle prossime elezioni, il secondo con il compito di organizzare momenti di approfondimento per il perfezionamento dei contenuti programmatici fondamentali della nostra iniziativa.

    I “Socialisti in Movimento” sostengono la battaglia dei lavoratori contro la riforma del Jobs Act e della scuola e sostengono i referendum sul lavoro promossi sulla CGIL.
    Aderiscono e appoggiano la Petizione nazionale per restituire la sovranità agli elettori e sollecitano il Parlamento, nel rispetto della sentenza della Corte, di approvare una legge elettorale di tipo proporzionale che escluda ogni forma di premio maggioritario, che abolisca i capolista bloccati e le candidature multiple.

Sindacati e riforma costituzionale, di Vincenzo Russo

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Vincenzo Russo

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È singolare che sull’abrogazione del CNEL (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), previsto dall’art. 99 della Costituzione vigente, si sia determinata la stessa unanimità conformista che ho riscontrato, nei decenni passati, sul presunto problema del superamento del bicameralismo paritario. Vista la disattenzione che c’è sull’argomento, l’abrogazione può essere considerato un obiettivo acquisito, una opinione talmente consolidata che non c’è bisogno di alcuna motivazione.
Se uno legge il documento della CGIL dell’8 settembre u.s. con il quale la Confederazione invita a votare NO si accorge che l’abrogazione del CNEL non è menzionata.
Posizione singolare quella della CISL come rintracciata in una dichiarazione breve della segretaria generale Annamaria Furlan che si esprime a favore del SI alla riforma nel suo insieme e che dà una motivazione, a mio giudizio, non coerente sulla questione del CNEL: “Il confronto ed il dialogo sociale devono diventare il modello con il quale si può risollevare il Paese. Quando si fanno le cose insieme non si fanno cose sbagliate….. per questo, occorre anche un luogo istituzionale di dialogo che sostituisca il CNEL perché quando manca il dialogo si dà fiato solo al populismo o si fanno scelte solitarie e disastrose per i cittadini come è accaduto con la legge Fornero”.
Trovo singolare la posizione di chi acconsente all’abrogazione di una sede di rango costituzionale per proporne un’altra non meglio identificata.
Trovo dubbia e, per dirla in modo chiaro, pilatesca la posizione della UIL che, in un suo lungo documento, cita l’abrogazione del CNEL, a suo dire, dovuta al fatto che non avrebbe proposto iniziative legislative.
Su una riforma costituzionale di tanta portata (47 articoli modificati), per non parlare del combinato disposto con la legge elettorale, abbiamo il NO e il SI raccomandati rispettivamente dalla CGIL e dalla CISL e un fate come vi pare e/o votate secondo coscienza della UIL. Non credo che si tratti di un giusto mezzo perché il quesito è netto: No o SI. Naturalmente entrambe le risposte sono pienamente legittime.
Per quanto mi riguarda, è la motivazione montanelliana di un dirigente della UIL che mi ha lasciato perplesso e mi ha indotto a scrivere questa nota. E non è vero che bisogna votare SI perché non ci sono proposte alternative come, invece, è aduso fare il sindacato quando critica una soluzione ad un problema. Ci sono diverse proposte di legge in Parlamento tra le quali una molto recente portata avanti da D’Alema e Quagliariello: in questa si propone: a) la riduzione drastica di 300 parlamentari (200 deputati e 100 senatori) e la conferma della loro elezione diretta; b) la semplificazione del processo legislativo e la introduzione di una Commissione di conciliazione per evitare comunque la tanto deprecata navetta che per altro ricorre in un numero limitato di casi. La proposta riprende alcuni punti da un documento (di ben 27 pagine) sottoscritto da 14 Fondazioni (politiche e/o vicine a partiti politici), rappresentative di tutto l’arco costituzionale, che nella Primavera del 2008 concordava su una premessa fondamentale, ossia, quella di porre fine alla stagione delle riforme costituzionali approvate a colpi di maggioranza governativa. E ovviamente su molti altri punti fondamentali che non sto a riassumere qui.
Mi sarei aspettato che un sindacalista avesse preso posizione non solo sul comportamento di un governo che non riconosce il ruolo dei sindacati dei lavoratori mentre affida il Ministero dello sviluppo economico a esponenti della Confindustria. Ma non è così.
Ora le domande da porsi sull’argomento specifico sono:
C’è o non c’è un collegamento tra l’art. 1 e 99 della Costituzione?
L’art. 99 non valorizza la rappresentanza dei lavoratori o no?
E’ o non è l’abrogazione del CNEL coerente con la posizione del governo contraria a riconoscere il ruolo dei c.d. corpi intermedi e dei sindacati dei lavoratori?
E’ non è la proposta del governo in contrasto con i diritti e gli interessi del sindacato?
Ai sensi dell’art. 99 sul ruolo del CNEL i sindacati sono organi di consulenza delle Camere e del governo. La sua abrogazione non riduce le sedi di partecipazione democratica dei rappresentanti dei lavoratori alle scelte politiche e legislative delle Camere e del governo centrale?
Nel 2013 il prof. Gustavo Zagrebelsky ha pubblicato un bellissimo pamphlet sulla Repubblica “Fondata sul lavoro, sottotitolo: La solitudine dell’art. 1”, Einaudi Editore, Torino, 2013. Nella prima di copertina il libro riporta dal testo la seguente frase: “Unico tra i diritti, il diritto al lavoro è esplicitamente enunciato tra i principi fondamentali della Costituzione. La politica deve essere condizionata al lavoro e non il lavoro alla politica. E’ bene ribadirlo, oggi, mentre è in corso il rovesciamento di questo rapporto”.
La solitudine dell’art. 1 sulla quale scrive il Prof. Zagrebelsky ovviamente è una metafora o, meglio, un’amara constatazione di come il problema della piena occupazione e della giustizia sociale in questo paese sia stato e sia continuamente trascurato o messo in seconda linea. L’art. 1 nella Costituzione sta in buona compagnia con il 3, 4, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 46 e per l’appunto con il 99. E la parola lavoro ricorre 21 volte.
Per inciso, tempo fa, il premier Renzi, in una trasmissione televisiva, tagliando corto rispetto alle diverse interpretazioni contrastanti sui dati sull’occupazione, ebbe a precisare che il suo governo non si era dato un obiettivo sui posti di lavoro da creare. E se ora uno guarda al dato sulla disoccupazione che il governo prevede, nella legge di bilancio per il 2017, si accorge che la riduzione prevista è di soli sette decimali rispetto al 2016, passando dall’11,5 al 10,8 nel 2017 e al 9,9% nel 2019.
Che fare? Siccome nel dibattito politico i fautori del SI insistono su una presunta assenza di proposte alternative io ne voglio fare una singolare. Premetto che nel dopoguerra e sino agli anni sessanta i partiti di sinistra facevano eleggere i vertici dei sindacati in Parlamento. Dopo passò e fu attuato il principio della incompatibilità tra cariche politiche e quelle sindacali. A me sembra che oggi, visto che formalmente non si modifica l’art. 1 della Costituzione, i sindacati dovrebbero difendere a spada tratta il CNEL e, quindi, votare di conseguenza oppure potrebbero chiedere le quote non solo a favore delle donne ma anche per la rappresentanza dei lavoratori e delle lavoratrici e dire basta con un Parlamento imbottito di avvocati e professori.
In conclusione, a me sembra del tutto evidente che se dovesse passare la riforma proposta da Renzi, l’art. 1 della Costituzione vigente sarà ancora più solo e non è vero che essa non tocca i diritti fondamentali.

Vincenzo Russo

tratto dal blog personale: http://enzorusso2020.blog.tiscali.it/2016/11/23/sindacati-e-riforma-costituzionale/?doing_wp_cron