Parlamento
Strada segnata, di Bobo Craxi

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La politica non è matematica ma ha pur sempre una sua logica.
A chi si ostina a pensare e predicare una modifica della Legge Elettorale detta “Italicum” Renzi ha risposto tagliando di corto, non se ne parla neanche.
Non si tratta di ostinazione dovuta al carattere ma ad una logica stringente per la quale Egli ha raggiunto il doppio traguardo ( guida del Partito e del Governo) vaticinando una soluzione dei mali italiani attraverso il drastico ridimensionamento della democrazia politica, dei suoi costi e di ciò che viene ritenuto del tutto accessorio ovvero un pluralismo di forze politiche disomogenee unite al solo scopo di governare. Per quello basto io-Egli pensa- Una forza che ha nel suo seno la cultura di Governo ed una di opposizione. A chi obietta che ormai le forze politiche italiane in grado di superare gli scogli dello sbarramento sono almeno tre ( ma forse persino di più) Egli risponde che se la vedranno fra di loro. Dopo trent’anni di chiacchiere dobbiamo far vedere ai nostri alleati europei e mondiali che l’Italia è una democrazia fondata su un bipolarismo che la “sera delle elezioni” dovrà sapere chi ha vinto e chi ha perso.
Sin qui il pensiero logico e determinato di un uomo politico che persegue una strada che è già segnata, che non prevede curve e neanche sconfitte.
Chi aveva da porre un problema di pluralismo, di compatibilità fra Leggi Elettorali e pluralismo delle democrazie, essendo l’Italia un paese di democrazia politica matura, fondata non nel 2014 ma con forze e tendenze politiche e culturali risalenti all’inizio del secolo scorso e persino prima, avrebbe dovuto porlo in Parlamento con un voto contrario e negando queste disposizioni che nella migliore delle ipotesi consegneranno ad una minoranza politica ed al suo capo le chiavi dell’intera democrazia italiana e nella peggiore genereranno il caos politico di cui ne abbiamo visto le prime avvisaglie con l’inconcludenza ed il pasticcio del caso romano.
Capisco i dubbi sollevati dal mio amico Mauro del Bue in seno al piccolo Psi ( partito di cui continuo a far parte), ma la partita con gli alleati è da considerarsi chiusa, verrà risolta a titolo personale con un diritto di tribuna per ciascuno dei fedeli alleati che hanno garantito a Renzi una discreta navigazione ed una lealtà a diciotto carati nei frangenti dove il Governo ha avuto delle vistose defaillances.
Si tratta o di togliere la spina in questi mesi, non raccogliendo l’illusoria speranza che dopo il referendum si possa rimettere mano alla legge elettorale, oppure di cambiare la spalla al proprio fucile e passare in una limpida posizione di opposizione ai quesiti referendari, chiedendone il differimento del voto e lo spacchettamento degli stessi, dinnanzi alla ovvia considerazione che dopo la Brexit tutte le legislazioni nazionali dovranno modificare i propri assetti istituzionali calibrando il rapporto fra l’Unione e i paesi sovrani rigenerando il più possibile il carattere democratico del rapporto coi cittadini.
La strada è segnata, per evitare una resa del centro-sinistra di fronte alle forze anti-sistema è necessario cambiare politica.
Per i socialisti io penso non sia mai troppo tardi e, per quello che comincio ma constatare, è possibile che una ragionevole posizione di ripensamento e di allontanamento dalle ragioni ottuse ma logiche di Renzi sia necessaria.
Bobo Craxi
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I socialisti per il NO al referendum costituzionale, di Felice Carlo Besostri

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Quest’autunno si gioca la partita decisiva per le sorti della democrazia italiana, messa in pericolo dall’intreccio perverso tra la deforma costituzionale e una legge incostituzionale iper-maggioritaria, come l’Italikum.
Noi socialisti abbiamo un dovere storico di rispettare la nostra storia e i nostri valori: contro la legge Acerbo l’inizio “legale” del regime fascista i socialisti hanno condotto una lotta intransigente, che è stata pagata con l’assassinio di Giacomo Matteotti e senza l’Assemblea Costituente, nella quale i socialisti erano la maggiore fomazione della sinistra e che la vollero con determinazione, insieme con la forma repubblicana dello Stato, la Liberazione dal nazi-fascismo non sarebbe stata coronata dalla nostra Costituzione. ”L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, nella quale “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” formulazione che esclude ogni forma plebiscitaria e l’esistenza di ogni concentrazione di potere in un partito e in una persona. Per questo i socialisti sono stati in prima fila, con i discorsi appassionati di Pietro Nenni, contro la cosiddettta legge truffa, che assegnava il 65% dei seggi, a un passo dai 2/3 per cambiare la Costituzione senza rischi di referendum, alla coalizione, che avesse raggiunto il 50%+1 dei voti. Il sistema elettorale è essenziale per poter garantire una rappresentnza, rispettosa dei valori della Costituzione, che non può essere cambiata da forze che non rappresentino la maggioranza reale del popolo, uno depositario come corpo elettiorale della sovranità.
Non per ragioni formali, ma sostanziali, come potrebbe altrimenti realizzare i suoi compiti? Grazie al socialista Lelio Basso abbiamo un secondo comma dell’art. 3, quello sull’uguaglianza, afferma solennemente, che “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limutando di fatto la libert e l’eguagluianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva parytecipazione di tutti i lavoratori all’organizazione politica, economica e sociale del Paese”.
In particolare, come socialisti, non posssiamo tollerare l’uso della parola “RIFORMA”, che non sia una modificazione migliorativa. La revisione promossa dalla coppia Renzi-Boschi dietro al paravento demagogico di una riduzione del numero dei Senatori, mantiene una camera di 630 deputati, quando una riduzione del 10% delle indennità di tutti i parlamentari avrebbe consentito risparmi molto maggiori, come anche la riduzione dei privilegi delle Regioni autonome. Le parole contro la casta, come se questa fosse composta solo da Senatori, mette al sicuro con l’immunità consiglieri regionali e sindaci, protagonisti di malversazioni e corruzioni. Non uno dei problemi viene risolto non la semplificazione e accelerazione del procedimento legislativo, il cui problema principale è la qualità delle leggi e il loro numero eccessivo, da un articolo 70 di 9 parole, ”La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere” si passa a sei commi di 422 parole: talmente confuso, che nemmeno i costituzionalisti si sono accordati sul numero dei procedimenti di approvazione delle leggi si va da sei a dieci. Non si potranno più fare leggi organiche, come i resti unici che regolino materie la cui competenza non sia esclusiva della Cammera dei deputati.
Tamponati i conflitti Stati-Regioni, con una nuova centralizzazione, si aprono continui conflitti tra Camera dei Deputati e Senato della Repubblica. Si affermano principi come che i senatori consiglieri debbono essere eletti dai Consigli regionali “con metodo proporzionale” e si fissa un numero di 95 senatori eletti di secondo grado, di cui 21 sindaci, che nella maggioranza dei casi prevede di eleggere un consigliere senatore e un sindaco: impossibile farlo con metodo proporzionale!. La nomina del Presidente del Consiglio, in violazione dell’art.92 Cost., viene afidato ad un ballottaggio, cui sono ammesse le due liste più votate tra quelle sopra la soglia del 3%, senza alcuna soglia minima di votanti e di voti validi per avere lo stesso premio di maggioranza di 340 seggi, attribuito ad una lista che al primo turno avesse avuto il 40% dei voti validi, cioè comprensivi delle schede bianche e delle liste sotto soglia: assurdamente il premio di maggioranza è tanto più alto, quanto minore è il consenso elettorale!
Il premio di maggioranza consenta ad un sola lista e ad un Presidente del Consiglio, che ne sia alla testa come capo poliitico di controllare/determinare l’elezione del Presidente della Repubblica, per il quale dalla settima votazione non serve più la maggioranza assoluta del Parlamento in seduta comune ma solo i 3/5 dei votanti e quindi la maggioranza della Corte Costituzionale sarà controllata dall’accoppiata Presidente della Repubblica.
Basta e avanza per dire un chiaro e rotondo NO socialista!
Felice C. Besostri
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Il popolo italiano e i suoi diritti, di Alberto Benzoni

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Con Renzi abbiamo conquistato, anzi ci è stato erogato un nuovo diritto: quello di sapere, la sera stessa delle elezioni, chi ha vinto.
Nuovo, forse. Importante, non si sa bene perchè. Comunque, meno importante di altri che ci sono stati tolti per la loro asserita inutilità. Quello di votare: perchè per le province, per gli enti intermedi,
per il senato, questo diritto ci è stato già tolto. Quello di difenderci dalla devastazione ambientale: perchè, con lo sblocca Italia, quasi tutto sarà permesso. Quello di difendere collettivamente gli interessi dei lavoratori: perchè ci si confronterà a livello aziendale e vinca il migliore.
Quello di avere uno stato che ci difenda: perchè si continua a demolirne il ruolo e l’autorità. Quello di controllare l’attività dell’esecutivo: perchè avremo una Corte costituzionale a sua immagine e
somiglianza. Quello di vedere rispettata la nostra opposizione: perchè questo esercizio verrà considerato inutile e dannoso, per non dire antiitaliano. Quello di avere un governo, frutto di scelte largamente condivise: perchè vivremo in una democrazia in cui tutto il potere apparterrà ad una minoranza. Abbiamo però una occasione unica e irripetibile per dire no, per fermare tutto questo. Possiamo e dobbiamo utilizzarla dicendo no al referendum promosso da Renzi.
Ve lo chiediamo come socialisti; ma in nome della democrazia liberale. Perchè la democrazia liberale è l’aria che respiriamo. La causa che ci accomuna.
Alberto Benzoni
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La Costituzione di Lelio Basso, l’eguaglianza possibile e l’attacco ai nostri diritti, di Marco Zanier

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“Attribuiva grande valore al movimento di resistenza non solo perché aveva combattuto per la libertà e la giustizia ma perché essendo stata una lotta di popolo aveva promosso la partecipazione delle masse alle scelte politiche del Paese”. Così Aldo Aniasi [1], partigiano in Valsesia e nella Repubblica dell’Ossola, dirigente socialista di livello e poi sindaco di Milano inquadrava un aspetto centrale del pensiero di Lelio Basso.
Resistenza, lotta di popolo, partecipazione delle masse possono sembrare a noi oggi cose circoscritte nel tempo della guerra di liberazione e lontane dai nostri giorni ma invece costituiscono ancora l’intelaiatura di alcuni articoli molto importanti della nostra Costituzione, il n. 3 e il n. 49, che proprio Basso ha contribuito in modo determinante a scrivere e costruire nella loro forma definitiva.
Come ha detto lucidamente Stefano Rodotà[2]: “Contraddizione e conflitto, e partecipazione dei lavoratori, ci conducono così al capolavoro istituzionale di Basso (assistito dalla fiduciosa sapienza giuridica di Massimo Severo Giannini): all’art.3 della Costituzione, e soprattutto a quel suo secondo comma sull’eguaglianza sostanziale che innesta sul tronco istituzionale la contraddizione sociale, che forza le istituzioni a misurarsi con il conflitto tra esclusione e partecipazione. Si precisano così le modalità dell’intreccio tra lotta politica e strumenti istituzionali, e il ruolo di questi strumenti nel processo rivoluzionario”. Chiarendo senza possibilità di dubbi quello che Basso immaginava col termine “rivoluzionario”: “Un processo le cui caratteristiche diventano più chiare nel momento in cui il riferimento alla legalità non allude ad un “dopo”, ad una legalità rivoluzionaria che si pone come momento terminale, successivo alla presa del potere realizzata per vie diverse, ma diventa una delle componenti essenziali di una lotta politica e sociale, qualificando così modalità e caratteri di quel processo.”
La commemorazione di Stefano Rodotà, è chiaramente più ampia di questi pochi passaggi, abbraccia un periodo più vasto che comprende l’impegno di Basso nell’Assemblea Costituente, ma anche il suo contributo nel 1976 alla stesura del documento fondante del diritto delle Nazioni Unite, la cosiddetta Carta d’Algeri, in cui lui individua un legame sostanziale tra la rimozione degli ostacoli materiali per l’individuo indicata nell’art. 3 della Costituzione italiana e quelli per i i popoli nella carta del 1976. E questo ci riporta al momento iniziale del nostro ragionamento, alle parole del partigiano Aldo Aniasi che vedeva nel socialismo di Basso un processo in divenire per portare attraverso la lotta di popolo le masse alla partecipazione democratica del potere.
Ma chi era in quegli anni Lelio Basso e cosa aveva significato il suo pensiero negli anni precedenti la lotta di liberazione e la Resistenza? La domanda non è delle più semplici ma è estremamente importante perché ci permette di ricostruire le origini di un’elaborazione teorica tra le più significative del Novecento che tanto ha influenzato negli anni successivi gli sviluppi e l’affermazione di una politica di classe che è stata uno degli aspetti migliori del socialismo italiano del dopoguerra.
Tra i molteplici studi che si sono susseguiti negli anni su di lui, segnalo per tanti motivi l’ultimo ampio lavoro di Chiara Giorgi[3] che ne ricostruisce il percorso dalla sua formazione alla costruzione passo dopo passo della nostra Carta costituzionale nei lavori dell’Assemblea Costituente.
Basso, che apparteneva alla generazione di Piero Gobetti, Rodolfo Morandi e Carlo Rosselli, ossia di coloro che sentivano sulle loro spalle il peso e la responsabilità di una generazione da reimpostare seguendo gli insegnamenti di Antonio Labriola e Rodolfo Mondolfo, fin dai primi saggi negli anni Venti ha espresso una consapevolezza rara del dover dare vita ad un processo che facesse rinascere su basi nuove il socialismo italiano partendo sia da una lettura attenta dell’opera di Marx che dalla necessità di registrare la coscienza di classe del proletariato. Fin da questi primi scritti, il cammino delle masse proletarie si configura come una pressione del lavoro sul capitale e della classe lavoratrice sullo sviluppo della grande industria. Negli anni insomma dell’affermazione vittoriosa e tronfia del fascismo, con la negazione dei diritti essenziali ed il controllo del regime sulla classe operaia, Lelio Basso, afferma che “il socialismo dev’essere non solo lo sbocco cosciente della rivoluzione proletaria, ma anche la realizzazione del pensiero filosofico del proletariato”. Saranno queste le premesse dell’antifascismo di classe degli anni Trenta, quel Centro socialista interno diretto da Rodolfo Morandi e costruito clandestinamente con Eugenio Colorni, Lucio Luzzatto ed Eugenio Curiel che avrebbe impostato, con maggiore consapevolezza del gruppo di Giustizia e Libertà ormai falcidiato dal regime, le premesse di classe della futura Resistenza e della collaborazione tra socialisti e comunisti per la creazione di un futuro democratico del Paese.
È questo il terreno da cui nasce e si sviluppa in lui la necessità di fare posto alla partecipazione popolare alla democrazia unita alla tutela dei diritti inviolabili della persona umana nell’ordinamento del nuovo Stato italiano. Per questo si batterà con successo nell’Assemblea Costituente per costruire l’impianto dell’articolo 3 e dell’articolo 49 in relazione a quanto espresso nell’articolo 1, ossia normare l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e la loro possibilità di associarsi liberamente per partecipare alle scelte politiche della Repubblica democratica fondata sul lavoro. Se entriamo ora nelle pieghe della scrittura della Carta costituzionale, diventano ancora più appassionanti le sue posizioni e le sue battaglie per far passare i principi del socialismo e del rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo, visto come parte di un insieme di lavoratori che hanno il diritto di trasformare progressivamente i rapporti di forza che ancora determinano l’esclusione dai processi decisionali.
L’articolo 3
Tutti conosciamo, credo, il testo dell’articolo 3 della nostra Costituzione, che recita:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Ma dietro questo articolo forse non molti di noi sanno quanto lavoro c’è stato da parte dei costituenti ed in particolare di Lelio Basso, che è riuscito a fare affermare alla nostra Costituzione che non si realizzerà l’uguaglianza affermata nel primo comma (“tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”) , se lo Stato italiano non avrà rimosso gli ostacoli che impediscono ai suoi cittadini di avere la sostanziale uguaglianza (comma due). Ed essendo in contrasto il comma due (ci sono ostacoli da rimuovere per realizzare l’uguaglianza ) col comma uno (tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge) esiste nell’art. 3 la concezione dei rapporti di forza sociali da modificare progressivamente in uno Stato democratico, di chiara derivazione marxista, che Basso espresse più tardi [4] con queste parole: “riconosce che in Italia c’è un ordine sociale di fatto che è in contrasto con l’ordine giuridico”. Se la definizione dell’eguaglianza sostanziale che spetta di diritto ai cittadini si configura come un processo in divenire, è anche la critica della definizione di “uomo naturale e isolato” che il suo contributo in Assemblea costituente contesta, affermando che la persona è al centro dei rapporti umani e sociali e si afferma all’interno del contesto sociale. Ed anche questo è evidentemente un concetto di derivazione marxista che lui porta dentro la legge fondamentale del nuovo Stato italiano. Non si capisce la portata delle affermazioni contenute nell’art. 3 se non si tiene presente la visione politica complessiva di Basso che nel 1947 [5] espresse con queste parole: “Noi pensiamo che la democrazia si difende […] non cercando di impedire o ostacolare i poteri dello Stato, ma al contrario, facendo partecipare tutti i cittadini alla vita dello Stato […]. Solo se noi otterremo che tutti siano effettivamente messi in condizione di partecipare alla gestione economica e sociale della vita collettiva, noi realizzeremo veramente una democrazia”.
L’articolo 49
L’altro articolo della nostra costituzione sul quale dobbiamo soffermarci è il 49, che recita:
Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.
Anche qui l’impegno di Basso è stato fondamentale e già da una prima lettura se ne può scorgere il nesso profondo con quanto sancito dall’art.3. Ma nondimeno è legato strettamente con quanto scritto nell’art. 1, secondo cui la sovranità appartiene a tutto il popolo. È con il riconoscimento ai partiti del ruolo di strumenti democratici per determinare la partecipazione della democrazia, si badi bene, a tutti i partiti, non solo quelli al governo ma anche quelli all’opposizione che in questo articolo si rende manifesto quanto espresso nell’articolo 1 legando ad essi la sovranità popolare, il carattere democratico della forma repubblicana, il riconoscimento di partecipare tutti con le proprie idee e convinzioni politiche alle scelte del governo ed alle osservazioni dell’opposizione, perché entrambe portate avanti da partiti che sono riconosciuti dalla nostra Costituzione perché espressione della libera associazione dei cittadini (che l’articolo 3 afferma essere tutti uguali davanti alla legge senza distinzioni e dunque tutti in grado di esprimere una propria idea politica e di partecipare delle scelte dello Stato). Per Basso i partiti consentono di superare la vecchia logica de sistema parlamentare di impostazione liberale, perché esprimono “le differenze effettive del popolo reale”. Sono i partiti, banditi ricordiamolo sempre dal regime fascista contro il quale i nostri costituenti hanno lottato e Basso con loro, i massimi garanti che questa unitaria volontà corrisponda quanto più possibile agli interessi della popolazione. Sono essi il tramite fra la sovranità popolare riconosciuta dall’art. 1 quale fondamento dello Stato italiano e gli organi deputati a realizzare la sua volontà in forma di legge.
La riforma Renzi- Boschi ed il ruolo dei socialisti
Ricostruito il percorso che ha portato il massimo costituente socialista ad inserire nella Carta costituzionale il riconoscimento dell’inviolabilità dei diritti di ogni cittadino ad esprimere una propria opinione, il ruolo dello Stato che riconoscendo l’esistenza di un ordine sociale difforme da quanto affermato come diritto inviolabile di tutti si deve impegnare a rimuovere gli ostacoli che vi si frappongono, il ruolo dei partiti come espressione massima della volontà popolare e portatori delle diverse istanze della gente che vive quotidianamente le difficoltà più diverse e vuole contribuire col voto a determinare le scelte politiche nazionali dei singoli governi, come potrebbe essere possibile che i socialisti oggi sostengano le ragioni della riforma Renzi-Boschi che di fatto toglie la voce alla gran parte dei cittadini, non riconosce valide e degne di nota le opinioni differenti dal partito che con una risicata maggioranza potrebbe controllare l’intero Parlamento, stravolto peraltro nella sua forma e nelle sue funzioni dall’abolizione di fatto dei contrappesi necessari presenti nella formulazione di una Camera e di un Senato con pari dignità giuridica ed introduce parlamentari nominati direttamente dal Presidente del Consiglio? Per me tutto questo se per un comune cittadino è inaccettabile, deve esserlo a maggior ragione per chi si definisce nel socialismo, nei suoi principi, nei suoi obiettivi, nel suo orizzonte di trasformazione sociale complessiva attraverso passaggi graduali ed il metodo democratico del confronto delle idee diverse.
Per mantenere la democrazia in Italia, continuare a far sentire ciascuno la nostra voce, confrontarci sui problemi reali e trovare delle soluzioni possibili, al Referendum di ottobre diciamo NO all’attacco del governo Renzi ai nostri diritti in nome della nostra bella inimitabile Costituzione, amata e studiata in tante parti del mondo.
Marco Zanier.
[1] Aldo Aniasi, “Maestro di socialismo”, intervento pubblicato in “Lelio Basso”, edizioni Punto Rosso 2012, p. 137
[2] Stefano Rodotà, “Vocazione costituente” (estratti dal discorso commemorativo tenuto il 15 novembre 1988 presso la sala Zuccari del Senato della Repubblica) ora in “Lelio Basso”, ed. Punto Rosso cit., p. 47
[3] Chiara Giorgi, “Un socialista del Novecento. Uguaglianza libertà e diritti nel percorso di Lelio Basso”, Carocci editore, 2015
[4] Lelio Basso, “Interventi”, a cura di F. Livorsi, “Stato e Costituzione”, atti del convegno organizzato dalla Fondazione Basso- ISSOCO e dal Comune di alessandria, Marsilio, 1977, p. 130
[5] Lelio Basso, AC, A, 6 marzo 1947
Questa voce è stata pubblicata in Assemblea Costituente, Costituzione italiana, Lelio Basso, Parlamento, Riforma Renzi Boschi, Senato, Senza categoria, Socialismo, Riforme, Referendum, Governo Renzi, PSI, Comitato socialista per il NO.
Un NO rotondo e motivato, fermo, deciso e intransigente, ma sempre sereno e pacato. Come nel referendum cileno di Pinochet votare NO con allegria, di Felice Besostri

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Una proposta di revisione costituzionale, come la Renzi Boschi non avrebbe avuto alcuna probabilità di passare nella XIIIa Legislatura (1996-2001) in una Commissione Affari Costituzionali, dove ero il capogruppo dei DS ed era presieduta dal prof. Massimo Villone e non dalla senatrice Finocchiaro. In questa riscrittura di 48 articoli della Costituzione manca la trasparenza: il primo ministro è di fatto eletto direttamente, grazie ad un ballottaggio, cui si accede senza quorum di partecipazione al voto e/o di percentuale delle liste ammesse, ma formalmente facendo salve le prerogative del Presidente della Repubblica come prevede la forma di governo parlamentare: quella scelta dai padri costituenti. Malgrado l’ art. 92.2 Cost. 1 potrebbe il Capo dello Stato nominare Presidente del Consiglio dei Ministri un personaggio diverso da quello indicato come capo politico della lista, che dispone almeno di 340 seggi su 630 della Camera? No! Lo scriveva sul Sole 24 Ore del 26 aprile 20152 il prof. D’Alimonte, quindi dicono il falso i sostenitori del SI’, quando dicono che non è cambiata la forma di governo: questa passa da parlamentare a un premierato assoluto.
La preoccupazione maggiore è che questa revisione sia un antipasto di quella vera, fatta non più da un Parlamento di 945 parlamentari eletti più 6 senatori a vita o di diritto, ma da una Camera di 630 deputati e da un Senato a mezzo servizio di 100 membri. I principi fondamentali sono già stati toccati e proprio l’art. 1.2 Cost.3, togliendo al popolo sovrano il potere di eleggere il Senato, come gli è stato negato il diritto di eleggere gli organi provinciali e delle Città metropolitane. L’elezione diretta di un Senato di 100 membri non avrebbe migliorato la situazione. La vera soluzione, che avrebbe avuto ampio consenso, era la riduzione della Camera a 400 deputati e del Senato a 200 in totale 600 invece di 7304: un risparmio maggiore dei costi della politica5. L’altra soluzione sensata era di passare davvero ad un Parlamento monocamerale con una legge elettorale proporzionale, corretta da una soglia di accesso. Per dare stabilità ai governi basta la sfiducia costruttiva. I premi di maggioranza non sono conformi alla Costituzione, perché se vincolano il parlamentare , eletto grazie al premio, sono in contrasto con l’art. 67 Cost6., che vieta il mandato imperativo. Se, invece, non lo vincolano ,come è avvenuto nelle legislature conseguenti alle elezioni del 2006, 2008 e 2013, si sacrifica gravemente e inutilmente la rappresentatività.
L’attuale Senato è composto da 315 senatori eletti su base regionale. Il nuovo “ Senato della Repubblica è composto da 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da 5 senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica” L’art. 57 Cost. revisionato è inapplicabile perché richiede che i consigli regionali e di provincia autonoma eleggano i senatori “con metodo proporzionale”, impossibile quando i senatori siano 2 o 3 in totale, di cui uno sindaco. Ebbene è il caso di 11 regioni e 2 province autonome su 21, cioè la maggioranza. Con i sindaci tutti e i 5 di nomina presidenziale il totale dei senatori non eletti con sistema proporzionale è il 36% del nuovo Senato. Con un popolo informato la vittoria dei NO è scontata, ma questo deve essere evitato ad ogni costo. Quindi nella parte finale della campagna referendaria ci sarà il terrorismo politico-finanziario sulle famiglie che hanno un mutuo a tasso variabile: il diritto di voto dei cittadini sarà espropriato dalle agenzie di rating, dal FMI e dalla BCE: alla faccia del voto libero, uguale e personale previsto dal nostro art. 48.2 Cost..
Il passaggio alle elezioni di secondo grado, che per gli enti locali territoriali è in contrasto con la Carta Europea dell’Autonomia Locale ratificata dall’Italia- serve solo a sapere chi governerà la seraprima delle elezioni, ridotte a una farsa e nel caso del Senato- a differenza di cosa vuol far credere la propaganda a favore del SI’ del PSI- non saranno rappresentati, né i maggiori Comuni, né le Città metropolitane, ma i consiglieri regionali sindaci dei Comuni sotto i 5.000 abitanti: gli unici che possono permettersi di fare i Senatori senza indennità. Le eccezioni saranno rappresentate da sindaci, che abbiano urgenza di avere l’immunità, che non si giustifica per chi non rappresenta più la Nazione, rappresentanza che il nuovo art. 67 Cost. riserva ai soli deputati.
La revisione costituzionale è stata fatta in fretta dettata da esigenze di dimostrare chi comanda, Bossi usava un’altra espressione genitale, ma il concetto è lo stesso e quindi approvazione in ogni caso e a ogni costo. Si è arrivati all’assurdo, che i Sindaci metropolitani, se si fanno eleggere direttamente dai cittadini, insieme con il Consiglio metropolitano, non possono essere più eletti senatori e se lo fossero stati, come Sindaci del Comune capoluogo, dovrebbero decadere. Per dare un contentino ad alcuni esponenti della minoranza PD, hanno accolto un emendamento al V° comma del famigerato nuovo art. 57 Cost., per il quale a un comma che riguardava la durata del mandato dei Senatori “eletti” è stato, in aggiunta, specificato “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma”. Non essendosi cambiati né il II°, né il primo periodo del V° comma, né il VI° comma , sostituendo le parole “eleggono”, “eletti” ed “elezione” rispettivamente con “nominano”, “nominati” e “nomina” il legislatore boschian-renziano ha combinato un bel pasticcio. Se le scelte espresse dagli elettori fossero vincolanti, come indicherebbero le parole “in conformità” quella del Consiglio sarebbe una nomina e non una elezione. Inoltre l’ultimo periodo del VI° comma, per cui “i seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun consiglio” impedirebbe che i futuri Senatori potessero essere scelti unicamente in base alle scelte degli elettori, cioè non tenendo conto dei premi regionali di maggioranza, di norma superiori a quelli dell’Italikum (54%), perché arrivano al 60% e più, se contassero anche il seggio consiliare attribuito al Presidente della Regione. Questa confusione è stata dettata dal fatto che l’abolizione dell’elettività diretta del Senato non è stata una scelta meditata, ma improvvisata, dettata dall’impossibilità di trovare un algoritmo, che contro la volontà degli elettori, attribuisse un premio di maggioranza politicamente omogeneo nelle due Camere. Per demagogia populista e per parlare al basso ventre dei cittadini si è stabilito che i nuovi Senatori non avranno un’indennità di carica aggiuntiva a quella di cui godono come Consiglieri regionali o Sindaci. I senatori a vita e quelli di diritto(ex Presidenti della Repubblica godranno delle indennità piene, mentre per i nuovi di nomina presidenziale non è chiaro. Tuttavia se la logica è che i senatori consiglieri regionali e i sindaci non ricevono indennità perché già ne godono di un’altra, che succede se i 5 senatori a tempo non sono né consiglieri regionali, né sindaci? Devono essere ricchi di famiglia o pensionati d’oro? e l’uguaglianza dei cittadini dove la mettiamo?
Il vertice della confusione, che contrasta con la semplificazione annunciata e sbandierata, è raggiunta nel procedimento legislativo regolato dall’art. 70 Cost., che nella formulazione vigente7 è di una chiarezza esemplare di nove parole. Il nuovo non è possibile trascriverlo: sei commi e molte centinaio di parole. Non le ho contate, ma ho letto che son più di novecento, chiederò conferma ad un esponente del SI’ a uno dei prossimi e rari confronti. Tante parole ma poco chiare perché ho sentito parlare di 5, 7 e anche 9 procedimenti legislativi diversi, perché oltre che l’art. 70 Cost. entrano in gioco anche gli artt. 72, 77 e 117 Cost.. Il conflitto Stato/ Regioni può diventare conflitto Camera/Senato con rischi di incostituzionalità delle leggi per violazione del procedimento e il rischio di conflitto di attribuzione con le Regioni non è evitato, poiché per alcune materie, già di competenza concorrente, l’esclusiva competenza statale è limitata alle norme generali e comuni, cioè queelo che avrebbe dovuto fare con le materie di competenza concorrente.
Il dominio dell’esecutivo, cioè del Presidente del Consiglio dei Ministri non è solo di fatto avendo una maggioranza precostituita di 340 seggi più una quota dei 12 della circoscrizione all’estero, ma di diritto potendo chiedere l’approvazione di leggi a data certa entro un termine di poco superiore a quello di ratifica dei decreti legge, che quindi solo formalmente sono stati limitati. Inoltre è stata introdotta una clausola di supremazia8, che in una democrazia parlamentare introduce una pericolosa novità: una materia, formulata in termini general-generici, riservata all’iniziativa legislativa del solo Governo, come unico rappresentante dell’interesse nazionale, quando la Costituzione affida ad ogni singolo parlamentare la rappresentanza della Nazione. In pratica quando vuole lo Stato si riserva di intervenire senza limiti comprimendo l’autonomia regionale.
Dire mezze verità, che come insegna il Talmud, sono bugie intere è la regola. Dicono che sono stati aumentati i quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica: è vero a metà. Dalla quarta votazione sono richiesti i 3/5 e non più la maggioranza assoluta dei componenti di un’assemblea composta da Camera, Senato e delegati regionali, un migliaio di persone, ma dalla settima bastano i 3/5 dei votanti, che possono essere meno della maggioranza assoluta, che a revisione approvata è comunque ridotta dai 505 attuali9 ai 367 post-revisione10. I 3/5 degli aventi diritto a Costituzione riformata sarebbero 440, ma i 3/5 dei votanti con 80 assenti sono appena 390 un quorum facilmente raggiungibile da chi parte dai 340 del premio di maggioranza.
L’altro organo di garanzia la Corte Costituzionale, la Corte Costituzionale di 15 membri, 5 designati dalle magistrature superiori, 5 nominati dal Presidente della Repubblica, 5 eletti dal Parlamento, non più in seduta comune , ma 3 dalla Camera dei Deputati e 2 dal Senato ben potrebbe avere una maggioranza di designazione politica, determinata dal Partito o gruppo parlamentare, beneficiario del premio di maggioranza, che elegga il Presidente della Repubblica, potendo contare sui 5 di nomina presidenziale e di 3 di elezione parlamentare, cioè della maggioranza di 8 su 15. Il quorum dei 2/3 e poi dei 3/5 è una garanzia diversa se i votanti sono i 945 del Parlamento in seduta comune o i 630 della Camera ovvero i 100 del Senato, di nomina presidenziale e di elezione da parete di Consigli regionali eletti con sistemi iper-maggioritari.
Nella revisione le pochissime innovazioni positive come i referendum propositivi non sono di immediata entrata i vigore ma rinviati ad una legge costituzionale futura, non si sa quanto prossima e gli istituti di garanzia delle opposizioni aspettano norme regolamentari di cui la maggioranza parlamentare drogata dal premio di maggioranza. Un po’ poco rispetto alle ragioni per il NO illustrate e che sono aggravate dalla legge elettorale per la Camera, che prescinde dalla sentenza di annullamento del Porcellum , anzi ne è una plateale elusione. D’altra parte cosa c’era da aspettarsi da un Parlamento eletto con una legge incostituzionale? Che manometta la Costituzione e sconfessi la Corte Costituzionale.
Milano 10 giugno 2016, nell’anniversario dell’assassinio di Giacomo Matteotti
Felice Besostri
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1“Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”
2 “Gli elettori sceglieranno chi governa ma il sistema non sarà «presidenziale»” Commento: purtroppo, cioè senza una netta divisione dei poteri e senza quel sistema di checks and balances, che lo caratterizza.
3“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”
4 Per esempio il ddl costituzionale A.S. n.1195
5 400+200=600˂630(sola Camera)˂630+100(Camera+Senato)
6“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”
7 “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”
8“Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”(art. 117.4 Cost.rev.).
9 Deputati 630+ Senatori 315+Delegati regionali 58+Senatori a vita 4+Senatori di diritto 2= 1009
10 Deputati 630+Senatori 100+Senatori di diritto 2=732
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